05 giugno 2020 16:36

Il cambiamento climatico ha già cominciato a trasformare in profondità le foreste di tutto il mondo. Uno studio pubblicato su Science ha rilevato che il tasso di mortalità degli alberi sta aumentando in modo preoccupante, specialmente quello degli esemplari più grandi e antichi, che svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione del clima e degli ecosistemi.

La ricerca ha preso in esame i risultati di oltre 160 studi precedenti e li ha combinati con nuovi rilevamenti satellitari. Gli autori hanno visto che tra il 1900 e il 2015 il mondo ha perso più di un terzo delle foreste primigenie, cioè quelle quasi non contaminate dall’intervento umano. In Europa e in Nordamerica i dati mostrano che i tassi di mortalità sono raddoppiati negli ultimi quarant’anni, e che l’incremento è più forte tra gli alberi più vecchi.

Questo fenomeno sta cambiando la composizione e la struttura delle foreste, rendendole più giovani, cambiando gli equilibri tra le specie, riducendo la biodiversità e la loro capacità di assorbire e immagazzinare anidride carbonica. “Lo vediamo praticamente ovunque guardiamo”, ha dichiarato al National Geographic Nate McDowell, l’autore principale dello studio.

Secondo i ricercatori le cause sono molte, a cominciare dalla deforestazione, ma negli ultimi anni il cambiamento climatico ha aggiunto nuove minacce e ha aggravato quelle esistenti. Le alte temperature e la mancanza di precipitazioni stanno rendendo più frequenti i grandi incendi, come quelli che nel 2019 hanno colpito l’Australia e la Siberia. Inoltre i periodi di siccità sempre più lunghi, intensi e frequenti spingono molte specie oltre il limite. “Vedremo meno foreste”, ha dichiarato al National Geographic Monica Turner dell’università del Wisconsin. “Ci saranno zone dove attualmente ci sono foreste e in futuro non ci saranno più”.

Quando la temperatura sale oltre un certo limite e l’aria si fa troppo asciutta si possono prosciugare i canali linfatici degli alberi

Uno studio realizzato dai ricercatori dell’università di Basilea durante l’estate del 2018, che in Europa centrale è stata finora la più calda e secca di sempre, suggerisce che gli alberi potrebbero essere più vulnerabili di quanto si pensava. Durante la stagione secca gli alberi possono ridurre il loro fabbisogno di acqua chiudendo gli stomi delle foglie e riducendo la traspirazione. Ma quando la temperatura sale oltre un certo limite e l’aria si fa troppo asciutta, l’evaporazione residua dalla superficie delle foglie può essere sufficiente a prosciugare i canali linfatici degli alberi e a ucciderli. Secondo gli autori della ricerca, gli esemplari più alti potrebbero essere maggiormente a rischio perché sono più esposti alla luce solare.

Anche quando gli alberi sopravvivono alla siccità, i loro tessuti possono restare permanentemente danneggiati. Questo li lascia indifesi di fronte all’azione dei funghi e dei parassiti, che grazie agli inverni più brevi e miti hanno più tempo per riprodursi. È il caso del bostrico tipografo, un coleottero da sempre presente in Europa, ma che negli ultimi anni sta decimando le foreste di abeti rossi.

Contributo ridotto
Questi fenomeni hanno pesanti implicazioni non solo per il futuro del patrimonio forestale in sé e per le specie e gli ecosistemi che dipendono da esso, ma anche per la lotta al cambiamento climatico. Le foreste assorbono circa il 30 per cento delle emissioni di anidride carbonica, e il loro contributo ha un ruolo fondamentale in tutte le strategie di contrasto. Finora si ipotizzava che questo contributo avrebbe potuto rimanere stabile o addirittura aumentare, dato che l’incremento della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera accelera la crescita delle piante e quindi anche l’assorbimento. Ma quando gli alberi chiudono gli stomi o perdono le foglie per difendersi dalla siccità, la fotosintesi si riduce fino a interrompersi. Anche la perdita degli esemplari più vecchi ha delle conseguenze negative, perché assorbono e trattengono più anidride carbonica rispetto a quelli più giovani, e quando si decompongono ne rilasciano una parte nell’atmosfera.

Le iniziative per la tutela del clima e degli ecosistemi dovrebbero tenere conto di questi studi. Recentemente la Commissione europea ha presentato la sua strategia sulla biodiversità per il 2030, che prevede di piantare tre miliardi di alberi nei prossimi dieci anni e di espandere le aree protette fino a coprire il 30 per cento del territorio europeo. Il piano dovrebbe essere concepito in modo da aumentare la resilienza degli ecosistemi ed evitare di sprecare risorse piantando specie vulnerabili in aree dove non esistono più le condizioni per la loro sopravvivenza, com’è successo in Germania. Inoltre sarebbe meglio dare la precedenza alla conservazione delle grandi foreste primigenie rimaste, come quelle dell’Europa orientale, minacciate dal disboscamento.

In Europa la primavera del 2020 è stata la più calda mai registrata e diverse regioni del continente sono già afflitte da una siccità senza precedenti. Secondo alcune previsioni, l’estate che sta arrivando potrebbe essere ancora peggiore di quella del 2018. Finora le preoccupazioni per gli effetti del cambiamento climatico si sono concentrate sull’agricoltura e sull’allevamento, che hanno già subìto danni per miliardi di euro. Ma questi settori funzionano su cicli a breve termine e possono essere adattati alle nuove condizioni con interventi mirati, come il passaggio ad altre colture. La scomparsa delle foreste secolari, invece, può avere conseguenze di una portata più ampia, e per evitarla serviranno interventi molto più vasti e complessi.

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