06 novembre 2020 16:22

If your photographs aren’t good enough, you’re not close enough.
Robert Capa

Recentemente ho letto Robert Capa mi ha detto, un librino che si legge in un soffio, pubblicato dal Corriere della Sera nel 2013. L’autore è John Morris, il photo editor di Life che ebbe un ruolo decisivo nella storia del fotogiornalismo pubblicando gli scatti realizzati da Capa nel 1944, durante lo sbarco delle truppe alleate in Normandia. In queste pagine ricorda la nascita e l’evoluzione del loro sodalizio, personale e professionale, regalandoci anche degli aneddoti divertenti e preziosi per capire come si lavorava nelle grandi riviste statunitensi dell’epoca.

Morris racconta che nonostante l’ascesa di Adolf Hitler in Europa, Henry Luce – l’editore di Life, Time e Fortune – fosse cauto nel prendere posizioni antifasciste per timore di dare spazio ai comunisti. Questo si traduceva in servizi fotografici che sminuivano la minaccia rappresentata dai nazisti nella Germania degli anni trenta. Tuttavia visto che Life non aveva mandato nessun fotoreporter per coprire la guerra civile in Spagna, pubblicava le foto di un giovane freelance ungherese. Si trattava di Robert Capa, nato a Budapest nel 1913 come Endre Ernő Friedmann, ma che aveva scelto un altro nome per cominciare la sua nuova vita a Parigi, dove si era trasferito nel 1933.

Bilbao, maggio 1937. Civili scappano mentre la sirena annuncia un raid aereo. (Robert Capa, Per gentile concessione di Damiani e Icp)

Capa documentò il fronte spagnolo per tutta la durata del conflitto insieme alla compagna e fotografa tedesca Gerda Taro, che rimase uccisa nel 1936. Era in auto e fu travolta da un carro armato durante la battaglia di Brunete. La vita di Taro è stata raccontata da Helena Janeczek in La ragazza con la Leica (2017), vincitore del premio Strega nel 2018.

Le foto erano apparse anche sul Picture Post, una rivista simile a Life ma britannica. Il 3 dicembre 1938 aveva pubblicato un lungo reportage di ventisei pagine intitolato semplicemente The greatest war photographer in the world (Il più grande fotografo di guerra del mondo). Nello stesso anno quelle foto diventarono un libro, Death in the making. Nonostante sia firmato solo da Robert Capa, nacque come progetto collaborativo a cui parteciparono anche Gerda Taro, David Seymour e André Kertész.

In copertina c’è la foto più famosa di Capa, il miliziano colpito a morte. Scattata a Cordova, in Andalusia, nel 1936, coglie l’attimo in cui un soldato repubblicano cade per un proiettile sparato dai franchisti. Nei primi anni settanta fu messa in discussione l’autenticità della foto e da allora è cominciato un lungo dibattito di cui onestamente ho perso le fila.

La copertina: morte di un miliziano lealista, vicino a Espejo, fronte di Córdoba, Spagna, settembre 1936. (Robert Capa, Per gentile concessione di Damiani e Icp)

In un’intervista radiofonica del 1947 il fotografo raccontò cos’era successo.”Ero in trincea con venti soldati repubblicani. Correvano a ondate verso una mitragliatrice fascista. Al terzo o quarto assalto ho messo la macchina fotografica sulla testa, senza guardare ho fotografato un soldato che si spostava sopra la trincea. Questo è tutto”. Che sia autentica o meno, è diventata un simbolo per tutte le donne e gli uomini che hanno combattuto quella guerra. Come scrive Richard Whelan, il biografo di Capa, si tratta di “un’affermazione potente sul dilemma dell’esistenza umana, in cui un uomo da solo è colpito da un nemico invisibile, come dal suo destino”.

Death in the making è costruito come una lunga sequenza sulla guerra civile spagnola, dal punto di vista degli antifascisti. Le immagini sono interrotte solo dalle lunghe descrizioni scritte da Capa. A ottobre la casa editrice Damiani, in collaborazione con l’International center of photography, ha pubblicato una nuova edizione del libro, che riproduce esattamente l’impaginazione originale concepita da André Kertész, i testi di Capa e la prefazione dello scrittore Jay Allen. Stavolta però le foto di David Seymour, che nella prima edizione erano state attribuite a ignoti, sono state giustamente ridate al suo autore. Inoltre è stato aggiunto un saggio che offre nuove informazioni sulla realizzazione e l’accoglienza del libro, oltre che un elenco dettagliato di didascalie.

La dedica di Capa che apre il libro resta sempre la stessa:

For Gerda Taro, who spent one year at the Spanish front – and who stayed on.

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