20 dicembre 2021 12:23

I conflitti sulla memoria storica dell’Asia si stanno nuovamente riscaldando, dopo la visita di 99 deputati giapponesi al controverso santuario Yasukuni il 7 dicembre scorso. La data segna l’ottantesimo anniversario del giorno in cui il Giappone attaccò Pearl Harbor e le forze statunitensi, britanniche e olandesi nel Pacifico, un assalto che ampliò notevolmente il teatro delle operazioni della seconda guerra mondiale. Tra i visitatori non c’erano solo deputati del Partito liberaldemocratico (Ldp), conservatore e al potere, ma anche due partiti di destra – il Partito dell’innovazione del Giappone e il Partito democratico nazionale del Giappone – usciti rafforzati dalle recenti elezioni per la camera bassa della dieta, il parlamento giapponese, a novembre.

La visita in massa esplicita quanto siano allineati questi due partiti di “opposizione” con l’Ldp, e in un modo che va ben oltre l’adesione alla retorica revisionista e negazionista relativa alla guerra nel Pacifico del Giappone.

Poiché i due partiti vogliono potenziare le forze armate del Giappone e rivedere la costituzione pacifista del paese, offrono dà all’Ldp un ulteriore impulso su questi due aspetti, entrambi controversi per i paesi vicini, i quali, come prevedibile, si sono lamentati della visita.

Tensioni future più profonde
La crescita del nazionalismo è probabilmente un fenomeno interno. Ma ci sono anche fattori esterni in gioco. La crescente forza dei conservatori in parlamento indica che sempre più cittadini giapponesi – preoccupati dalla crescente assertività della Cina, spaventati dai missili nordcoreani e irritati dalle continue denunce, da parte della Corea del Sud, dei misfatti storici del Giappone – sostengono queste tendenze.

Tutto questo suggerisce la probabilità di tensioni più profonde nel prossimo futuro tra Tokyo, da un lato, e Pechino e Seoul dall’altro, e che potrebbero diventare esplosive: l’Asia nordorientale è impegnata in una corsa agli armamenti spesso sottovalutata, in cui tutti gli attori aggiungono armi come missili, velivoli invisibili ai radar e portaerei.

Probabilmente queste tensioni frustreranno ulteriormente gli sforzi di Washington per convincere Seoul e Tokyo ad agire insieme contro Pechino in aree come il mar Cinese meridionale e lo stretto di Taiwan. Resoconti non confermati dei mezzi d’informazione sudcoreani, infatti, sostengono che Tokyo stia preparando ritorsioni economiche contro Seoul. Questa apparente sfida agli Stati Uniti suggerisce che i nazionalisti giapponesi non sono così strettamente allineati con Washington – nemesi di Tokyo al tempo della guerra ma in seguito alleato – come quest’ultima potrebbe sperare. Così si spiega il giubilo dei mezzi d’informazione cinesi e dei social network a proposito della data scelta per la visita.

Visione imperialistica
Per alcuni il santuario Yasukuni è semplicemente un sito scintoista che commemora i milioni di morti in guerra del Giappone, di cui fanno parte non solo soldati e marinai ma anche i civili uccisi nei combattimenti e dai bombardamenti atomici. Ma altri sottolineano la presenza di criminali di guerra, i cui nomi sono iscritti insieme agli altri, e il fatto che il museo del santuario promuova una visione imperialistica della guerra giapponese.

L’organizzazione di destra che ha promosso la visita, “parlamentari per una visita congiunta al santuario di Yasukuni”, è presieduta dall’ex vicepresidente della camera alta del Giappone, Hidehisa Otsuji. La visita più recente al santuario era stata nell’ottobre 2019; solitamente il gruppo si reca al santuario in primavera, in autunno e il 15 agosto, anniversario della fine della guerra del Pacifico. Nel 2020 e nel 2021 gli appuntamenti erano stati sospesi a causa della pandemia, e lo scopo dell’incontro del 7 dicembre era “chiedere agli spiriti dei morti in guerra una protezione dal coronavirus”.

Il 7 dicembre è l’anniversario dell’attacco giapponese a Pearl Harbor, che spinse gli Stati Uniti a entrare nella seconda guerra mondiale

La visita ha scatenato le lamentele della Cina, che è stata invasa dal Giappone nel 1937, e di Seoul (la penisola coreana è stata colonizzata dal Giappone tra il 1910 e il 1945). Il portavoce del ministero degli esteri cinese, Zhao Lijian, ha dichiarato: “Invece d’imparare lezioni dalla storia, cercano solo di far rivivere lo spettro del militarismo. I giapponesi dovrebbe adottare un atteggiamento corretto, riflettere profondamente sulle atrocità fasciste del militarismo giapponese, sui crimini contro l’umanità, e guadagnarsi la fiducia delle persone di tutto il mondo con azioni concrete”.

Il portavoce del ministero degli esteri sudcoreano, Choi Young-sam, ha espresso “profonda preoccupazione e rammarico” per le strutture che “glorificano” il passato coloniale e le invasioni del Giappone. In precedenza, il 17 ottobre, il ministero aveva fatto dichiarazioni simili dopo che il primo ministro Fumio Kishida aveva inviato un’offerta al santuario.

A sorprendere non sono state solo la consistenza numerica della delegazione parlamentare e la sua composizione multipartitica, ma anche la data: il 7 dicembre è l’ottantesimo anniversario dell’attacco aereo della marina giapponese alla base navale di Pearl Harbor, che spinse gli Stati Uniti a partecipare alla seconda guerra mondiale.

Anche se quell’attacco fu solo uno degli elementi di una più ampia e coordinata offensiva giapponese che colpì quasi contemporaneamente anche la Malesia britannica, le forze olandesi nelle Indie orientali e le forze statunitensi nelle Filippine, è Pearl Harbor a essere rimasta impressa nella memoria collettiva.

In virtù di una differenza di fuso orario tra aree geografiche così vaste, l’attacco a Pearl Harbor avvenne in realtà l’8 dicembre, ora giapponese, quando negli Stati Uniti era il 7 dicembre. È stata però quest’ultima data a essere iscritta nella maggior parte delle memorie storiche.

L’Ldp è un raggruppamento conservatore, e il primo ministro Fumio Kishida è considerato più moderato rispetto ai due predecessori

La grande domanda è se la tempistica sia stata un affronto deliberato agli Stati Uniti, orchestrato dai sempre più numerosi elementi della destra revisionista radicale nel parlamento giapponese, oppure un semplice caso di ordinaria (anche se poco sensibile) amministrazione. L’amministrazione di Barack Obama aveva criticato le visite dei primi ministri giapponesi al sito, ma stavolta Washington è rimasta in silenzio. Non c’è stata alcuna replica sul sito web del dipartimento di stato e l’ambasciata statunitense in Giappone – sollecitata da Asia Times – non ha rilasciato alcun commento.

I mezzi di’informazione e i social network cinesi invece non hanno mostrato un analogo riserbo. La testata statale Global Times ha dichiarato che la visita “sputa sulla vittoria degli Stati Uniti” nella seconda guerra mondiale. Da Zhigang, direttore e ricercatore dell’Istituto di studi del nordest asiatico presso l’Accademia provinciale di scienze sociali di Heilongjiang, ha dichiarato al giornale cinese che la visita è un atto di “sfida” agli Stati Uniti.

L’Ldp è un ampio raggruppamento conservatore, e il primo ministro Fumio Kishida è considerato una figura più moderata rispetto ai due suoi predecessori, Yoshihide Suga e Shinzō Abe. Esistono tuttavia pressioni che lo spingono decisamente a destra, come ha dimostrato la visita del 7 dicembre, dopo la quale Otsuji ha dichiarato serenamente, in una conferenza stampa: “Sono contento di aver potuto visitare il santuario per la prima volta dopo tanto tempo”. Ma ha anche parlato di Kishida, che non si è recato a Yasukuni da quando è diventato premier. “So che desidera visitare il santuario”, ha detto Otsuji. “Spero che lo farà alla prima occasione”. Se accadrà, sarà una retromarcia eclatante.

Omaggi senza scuse
Dopo lo scandalo causato nel 2013, in seguito a una visita al santuario, Abe non c’è più andato finché è rimasto premier, e così ha fatto il successore Suga. Abe ha tuttavia reso la sua posizione chiara a tutti, quando ha visitato il santuario dopo essersi dimesso. Più in generale, negli ultimi vent’anni, una serie di politici e figure pubbliche giapponesi hanno ripetutamente ritrattato le storiche ammissioni di colpa e responsabilità per la seconda guerra mondiale. Nel luglio 2006, in una sessione del parlamento, Abe aveva lasciato intendere che i criminali di guerra di classe A presenti a Yasukuni non erano affatto criminali e che non c’era niente di male a visitare il santuario. Nel 2016 Suga aveva chiarito, poco prima della visita di Abe a Pearl Harbor, che lo scopo era “rendere omaggio ai morti in guerra, non offrire scuse”.

Fondamentale, in questo atteggiamento, è il gruppo di pressione conservatore nazionale Nippon kaigi (conferenza del Giappone), che riunisce membri influenti della società, provenienti dal mondo dei mass media, dell’economia, della politica. Otsuji ha fatto parte del suo consiglio di amministrazione.

Tra gli obiettivi della Nippon kaigi c’è l’abolizione dell’articolo 9 della costituzione, che proibisce al Giappone di entrare in guerra, e permettere al paese di dotarsi di un esercito capace di condurre offensive militari, senza ostacoli di sorta. E anche se molti, negli Stati Uniti, sarebbero favorevoli a un esercito giapponese potenziato e meno limitato, all’interno della Nippon kaigi esiste una diffusa ostilità nei confronti della costituzione giapponese creata su ordine degli Stati Uniti affiancata dalla promozione di valori conservatori e tradizionalisti quanto riguarda l’assetto familiare e il ruolo delle donne.

Riscrivere la storia
Dal 2006, quando Abe ha svolto il suo primo incarico da premier, “liberarsi dalle catene degli Stati Uniti” è stato uno degli obiettivi delle correnti d’estrema destra dell’Ldp. Nel 2012 il partito ha creato una propria bozza di costituzione per sostituire l’attuale versione, in vigore dalla fine della seconda guerra mondiale, e che la maggioranza dei giapponesi ritiene ancora intoccabile.

Nippon kaigi vorrebbe anche un sistema scolastico che promuova un’identità inconfondibilmente giapponese, sollevando accuse di palese revisionismo per quanto riguarda episodi storici come il massacro di Nanchino e le “donne di conforto”. Per questi conservatori, Pearl Harbor non fu un attacco a sorpresa bensì un’azione difensiva resa necessaria dall’azione di Stati Uniti ed Europa, che negavano al Giappone risorse strategiche. E in un momento in cui gran parte dell’Asia era colonizzata dagli imperialisti occidentali, Tokyo dipinse il suo attacco nel sudest asiatico come una guerra di liberazione.

Da un punto di vista storico, non c’è dubbio che le azioni giapponesi abbiano accelerato la fine dell’imperialismo occidentale nel sudest asiatico e in India. Questa narrazione trascura tuttavia la precedente colonizzazione giapponese della penisola di Corea e la terribile e devastatrice guerra che il paese ha condotto in Cina.

La revisione costituzionale non riguarda solo la difesa. La nuova costituzione proposta dall’Ldp, che include una legge sui poteri di emergenza, permetterebbe al primo ministro di sospendere i diritti civili e di legiferare durante lo stato di emergenza.

Il giurista Lawrence Repeta ha scritto nel suo saggio del 2013, Japan’s Democracy at risk – The Ldp’s ten most dangerous proposals for constitutional change (La democrazia giapponese a rischio: le dieci più pericolose proposte di modifica costituzionale dell’Ldp), che questa revisione “negherebbe l’universalità dei diritti umani” e potrebbe mettere fine alla democrazia liberale del Giappone del dopoguerra.

“Yasukuni è un simbolo divisivo in Giappone, ma in molti si chiedono legittimamente ‘perché non possiamo andarci?’”

Dal 2009 Abe – che rimane una figura imprescindibile dell’Ldp, perché a capo della sua principale fazione interna – dirige un centro studi estremista e un gruppo di pressione, Sosei Nippon (Crea il Giappone), composto da parlamentari dell’Ldp e da altri conservatori. Esiste una notevole sovrapposizione tra Sosei e il gruppo “parlamentari per una visita congiunta al santuario di Yasukuni”.
L’ex ministro della giustizia Nagase Jinenm in un incontro sulla revisione costituzionale, organizzato da Sosei nel 2012, aveva dichiarato: “La sovranità del popolo, i diritti umani fondamentali e il pacifismo sono tre cose che risalgono al regime postbellico imposto da MacArthur al Giappone. Dobbiamo quindi liberarcene per creare una costituzione che sia davvero nostra”.

Nella stessa riunione Tomomi Inada, ex ministro della difesa, aveva proclamato: “Per proteggere il paese, il popolo deve versare il suo sangue. Solo il Giappone, che si è dedicato alla famiglia imperiale per 2.600 anni, è qualificato per diventare una superpotenza morale”. Questo tipo di commenti, così come la visita a Yasukuni, fa sobbalzare gli studiosi. “Si spera che siano andati lì a pregare per i tre milioni di giapponesi e i circa 15 milioni di asiatici sacrificati sull’altare dell’ultranazionalismo in una guerra sconsiderata, cominciata nel 1931 dai dirigenti militari e civili del Giappone. Non a genuflettersi nell’epicentro della narrazione revisionista autoassolutoria e di rivendicazione dell’aggressione bellica del Giappone”, ha detto Jeff Kingston, scrittore e docente di studi giapponesi.

Un altro studioso ha suggerito che la visita non sia dissimile da quelle ai cimiteri di guerra compiute dai politici occidentali, i cui eserciti hanno a loro volta combattuto guerre coloniali e d’invasione. “Stanno comunicando agli ambienti conservatori il loro rispetto per quello che in altri paesi sarebbe considerato un memoriale di guerra”, ha detto Shaun O’Dwyer, professore associato alla facoltà di lingue e culture dell’università di Kyushu. “Questo non significa che si stanno inchinando di fronte a una qualche ideologia scintoista di stato”. Ma, ha aggiunto, “è possibile che sia in aumento il numero di politici conservatori sostenitori dell’ideologia negazionista riguardo alla guerra del Giappone tra il 1937 e il 1945”.

Koichi Nakano, esperto di politica giapponese alla Sophia University di Tokyo, non è sicuro dei motivi e della scelta della data della visita. È difficile, secondo lui, dire se si tratti effettivamente di un affronto deliberato agli Stati Uniti, e fa notare che la sessione parlamentare si era appena aperta il giorno prima, il che significa che tutti i parlamentari erano a Tokyo. “Direi che non ci sono ragioni sufficienti per supporre che si sia trattato di uno smacco deliberato”, ha aggiunto. “Potrebbero facilmente fare qualcosa del genere contro cinesi o coreani, ma generalmente evitano di inimicarsi gli statunitensi”.

Un esempio in tal senso, ha aggiunto, è che le indicazioni del museo Yasukuni relative a Pearl Harbor sono state modificate a causa delle lamentele degli Stati Uniti. E ha suggerito anche che la visita del 7 dicembre fosse una compensazione per quella, mancata in autunno, resa impossibile a causa del covid-19.

Questioni regionali
Quest’ultimo punto è pertinente. Se è vero che ci sono visite di alto profilo ogni 15 agosto, le autorità dello Yasukuni preferiscono le visite durante le feste di primavera e d’autunno, poiché non sono legate a un singolo conflitto. Yasukuni è un santuario per tutti i morti di guerra giapponesi, non solo quelli della guerra del Pacifico.

Un altro studioso ha notato che, anche all’interno del Giappone, Yasukuni polarizza l’opinione, ma le critiche all’estero stanno innescando un rigurgito nazionalista. “Yasukuni è un simbolo divisivo in Giappone, ma in molti si chiedono legittimamente, a prescindere dal fatto che il santuario sia o meno davvero rappresentativo, ‘perché non possiamo andarci?’. Dovrebbe essere il nostro primo ministro a decidere se visitarlo o meno”, ha detto Haruko Satoh, che tiene corsi sulle relazioni del Giappone con l’Asia all’Osaka school of international public policy.

Satoh è critica nei confronti di Abe e spiega che il governo di Kishida non è di estrema destra, poiché conta ministri provenienti da un ampio spettro politico. Ma teme che Pechino e Seoul stiano – paradossalmente – rafforzando i nazionalisti giapponesi. “Sono soprattutto persone come Abe ed elementi della destra a essere interessate alla restaurazione dello stato imperiale e a un nazionalismo di quel tipo”, ha detto. “Ma c’è anche un fenomeno di reazione all’insistenza di cinesi e coreani su questi temi. C’è una stanchezza da eccesso di scuse”.

La testata coreana Kbs ha riferito che l’Ldp avrebbe organizzato un comitato per rispondere economicamente alle azioni della Corea del Sud, tra le quali ci sarebbe il sequestro dei beni delle imprese giapponesi per compensare le vittime del lavoro forzato durante la seconda guerra mondiale. Asia Times non è stata in grado di confermare questa notizia. La posizione del Giappone è che centinaia di milioni di dollari sono già stati pagati come compensazione per risolvere questa e altre questioni nel 1965, e che le azioni dei tribunali coreani violano quell’accordo.

Ma al di là dei battibecchi economici tra Corea del Sud e Giappone, e al di là delle dinamiche interne e delle aspirazioni dell’estrema destra giapponese, sono in gioco dinamiche di potere politico reali e rilevanti per la regione.

Politici di alto profilo hanno aperto un dibattito nazionale su quale debba essere la posizione del Giappone nei confronti della difesa di Taiwan, che sta rapidamente diventando un epicentro politico e strategico regionale.

Al di là della revisione costituzionale, finora non realizzata, il Giappone sta sta fornendo nuovi mezzi alle sue forze di autodifesa, con tanto di navi e portaerei, di cui non dispone dal 1945. Avendo rinunciato al sistema di difesa missilistica Aegis-ashore, Tokyo sta valutando la possibilità di dotarsi di strumentazioni di primo attacco contro la Corea del Nord.

E mentre Tokyo invitava i mezzi d’informazione ad assistere alle esercitazioni militari a Hokkaido, il primo ministro Kishida si è rivolto al parlamento sulla questione dell’aumento del bilancio della difesa nazionale. La cosa è arrivata dopo l’approvazione, il mese scorso, di una dotazione supplementare record per la difesa. In ottobre Kishida aveva evocato la possibilità di raddoppiare la spesa per la difesa, abitualmente mantenuta entro l’1 per cento del pil, conformandola allo standard Nato del 2 per cento. Considerando che il Giappone è la terza economia al mondo ed è già uno tra i primi dieci paesi al mondo per spese militari, si tratterebbe di una somma colossale.

Tra tutti questi sviluppi, il nazionalismo giapponese e l’aumento della spesa per la difesa di Tokyo “si saldano anche a causa dell’azione di Cina e Corea del Sud”, secondo Satoh. “Se continueranno a comportarsi così, è quel che succederà. Sono loro ad alimentare questa spinta inutilmente nazionalistica del Giappone”.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito su Asia Times.

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