30 aprile 2021 12:35

Questo articolo è stato pubblicato il 9 novembre 2018 sul numero 1281 di Internazionale.

Dovendo scegliere se odorare di escrementi di balena o di delicati fiori bianchi, pochi preferirebbero la prima opzione. Quando parliamo di bile, feci, vomito e oli animali sappiamo già che hanno un odore ripugnante. Le parole stesse risvegliano la memoria olfattiva di quella volta che il nostro cane ha svuotato le sue ghiandole anali sulla coperta o dell’estate in cui lavoravamo vicino al porto e l’aria d’agosto era impregnata dei miasmi oleosi delle teste di aringa. La parola gelsomino, invece, sembra il titolo di una canzone, una specie di sogno disneyano. Prendiamo l’odore del gelsomino in fiore: la nostra memoria, poco adatta a localizzare gli aromi nel suo barocco sistema di archiviazione, evocherà qualcosa di dolce e sciropposo o di morbido e floreale. Ed è questo l’odore che vogliamo che abbia il nostro corpo, giusto?

Sbagliato: se scegliamo l’opzione numero due, ce ne andremo in giro spargendo pungenti note vegetali temperate da una puzza leggermente terrigna. Il gelsomino assoluto è un fluido oleoso e semiviscido color ambra scuro, più denso e concentrato dell’olio essenziale di gelsomino. Gli oli essenziali si estraggono con la distillazione, la bollitura o la spremitura della materia vegetale, mentre gli assoluti si ottengono grazie a un antico procedimento chiamato enfleurage, in cui i germogli o le spezie più delicate vengono immersi nel grasso per poi estrarre le molecole fragranti con solventi come l’alcol etilico. Pur essendo un ingrediente comune nei laboratori di profumi naturali, il gelsomino assoluto ha un odore strano: complicato, bellissimo, non completamente gradevole. Ha un sentore di indolo, un composto chimico organico che si trova anche nel catrame, nelle feci umane e nei cadaveri in decomposizione.

Se scegliamo l’opzione numero uno, invece, saremo ricompensati dal bacio dell’ambra grigia, una sostanza naturale molto ricercata che ha un profumo dolce e marino allo stesso tempo, come di vaniglia e zucchero non raffinato mescolati con acqua di mare. L’odore mi ricorda un po’ quello delle zampe del mio cane: rosa, chiaro e animale. Sta al profumo come il cashmere sta al tatto. Annusare l’ambra grigia è un piacere di cui anche un neonato è in grado di riconoscere la dolcezza, come il primo sorso di latte.

Vogliamo avere un odore complesso, in modo che i nostri simili siano attratti da noi come le api dai fiori e tornino ad annusarci

Da più di un millennio l’uomo si cosparge il corpo di prodotti animali come l’ambra grigia e di derivati delle piante dall’odore putrido come il gelsomino assoluto. Ci copriamo il corpo di sostanze sgradevoli per migliorare e mascherare i nostri odori naturali. Come i cani si rotolano nelle carcasse dei cervi, cerchiamo di trasformare le nostre emissioni olfattive prendendo in prestito quelle di altri animali. Lo scopo non è solo avere un buon odore: vogliamo avere un odore complesso, in modo che i nostri simili siano attratti da noi come le api dai fiori e tornino ad annusarci, a inebriarsi del nostro aroma e ad avvicinarsi sempre di più alle nostre parti umide e calde.

Secondo la profumiera Charna Ethier, l’ambra grigia odora di “luce dorata” o di “una camicia di flanella stesa sul filo ad asciugare in una calda giornata d’estate”. Esistono diverse varietà di ambra grigia (tra cui grigia, dorata e bianca), ma in questo caso Ethier si riferisce al suo campione personale, descritto come “morbido, fresco e ozonico”. Ethier è la proprietaria della Providence Perfume Company, nel Rhode Island, e nel suo fornitissimo armadietto di curiosità olfattive ha anche la preziosa sostanza. L’ha messa al sicuro accanto a un campione di olio di cade di cent’anni fa (è un liquido puzzolente che si estrae dal ginepro, l’ha comprato all’asta) e sotto la sua collezione di assoluti floreali ed essenze erbacee. La fialetta di vetro trasparente contiene una miscela di alcol e ambra grigia al 5 per cento. Allo stato puro, questa sostanza è una palla cerosa di secrezione di balena, un piccolo iceberg di grasso galleggiante “che vale più dell’oro”. A differenza del gelsomino assoluto, presente in molti profumi di Ethier, la vera ambra grigia è troppo costosa per essere usata in un prodotto commerciale. “È considerata l’ingrediente miracoloso di ogni profumo”, dice. “Migliora qualsiasi cosa”.

Nei suoi profumi Ethier non usa sostanze sintetiche né prodotti animali, anche se le essenze animali sono un ingrediente tradizionale della profumeria. Oltre a essere molto costosi, i prodotti ricavati dai mammiferi come il muschio, lo zibetto e l’ambra grigia hanno spesso un costo in termini di crudeltà. Le balene vengono ammazzate per il loro grasso oleoso e la bile nascosta nello stomaco; gli zibetti vengono ingabbiati e spaventati per estrarne le preziose secrezioni anali; il muschio viene prelevato dalle ghiandole dei cervi macellati. È risaputo che i profumieri prosperano grazie allo sterminio di milioni di piccoli fiori bianchi, ma non è altrettanto noto che imbottigliano e vendono i frutti del dolore e della sofferenza degli animali. In un certo senso, i profumieri che usano sostanze sintetiche sono meno colpevoli, così come quelli che usano materiali trovati o d’annata. L’ambra grigia di Ethier è “molto vecchia” e “a quanto si dice” è stata ritrovata sulla spiaggia (“spero che sia vero”, commenta). Ma anche i profumi che contengono composti sintetici o bile di recupero hanno un olezzo di morte: la storia del settore ne è piena, ed è un odore che non si lava via facilmente.

C’è un motivo se i profumieri usano queste sostanze: migliorano gli aromi floreali, compensando la leggerezza con un sentore di oscurità. In questa vicenda i prodotti animali hanno il ruolo degli antieroi: anche quando li detestiamo, in realtà, almeno un po’, li amiamo. È così che funziona il canto delle sirene, e l’ambra grigia è quella che canta più forte. Una volta Ethier ha realizzato un profumo usando tutti i suoi ingredienti più preziosi: ha mescolato un’essenza di legno di sandalo vecchia di un secolo con la tintura di ambra grigia e gli assoluti di frangipane e boronia, due fiori che vengono rispettivamente dall’America Centrale e dalla Tasmania. Era la prima volta che usava l’ambra grigia, e il profumo – un pezzo unico – era talmente buono che “sembrava di fare un bagno nell’oro. Era magnifico”, ricorda con una punta di nostalgia.

Un senso misterioso
L’olfatto è il più sottovalutato e il più misterioso dei sensi. Nella sua autobiografia Il mondo in cui vivo, del 1908, Helen Keller lo chiama l’“angelo caduto”. “Per qualche inspiegabile motivo, l’olfatto non è tenuto nella considerazione che merita tra i suoi fratelli”, scrive. Keller si orientava nel mondo attraverso gli odori: era in grado di fiutare un temporale ore prima del suo arrivo e di capire quale tipo di legno era stato tagliato nel suo amato bosco dall’intenso odore di pino. Rispetto al tatto, che definiva “permanente e definito”, gli odori le davano sensazioni “fugaci”. Il tatto la guidava; l’olfatto la nutriva. Senza, il suo mondo sarebbe stato privo “di luce, di colore e della scintilla di Proteo. La realtà sensuale che permea e sostiene il brancolare della mia immaginazione andrebbe in frantumi”.

Non ci capita spesso di pensare in termini di colori e luci quando ci riferiamo all’olfatto, forse perché ci sono talmente poche parole per descriverlo che siamo costretti a usare il lessico degli altri sensi. Nonostante l’olfatto sia il senso più antico – il cosiddetto cervello della lucertola, chiamato anche rinencefalo, letteralmente “cervello del naso” – è anche quello che sembra sfuggire di più alla definizione del linguaggio. “L’olfatto è il senso muto, senza parole”, scrive Diane Ackerman in Storia naturale dei sensi. “Privi di un vocabolario, restiamo ammutoliti, cercando a tentoni le parole in un mare di esaltazioni e piaceri inespressi”. Abbiamo avuto millenni per trovare le parole per descrivere il profumo della terra appena arata o di un falò che arde sulla spiaggia, ma il meglio che siamo riusciti a trovare è “odore di terra” e “odore di fumo”.

I profumieri hanno un linguaggio tutto loro, che solo da qualche anno ha cominciato a diffondersi nella cultura popolare grazie alle riviste e ai blog di bellezza. Oggi i profumieri e i loro scatenati fan parlano non solo di assoluti, oli e tinture, ma snocciolano nomi di composti come cumarina ed eugenolo. Un mastro profumiere addestrato (o “naso”) è in grado di distinguere gli aromi in un profumo dalle molteplici sfaccettature. Non dice semplicemente che c’è qualcosa che puzza: sa individuare la nota pungente del muschio o il fetore del tabacco, ingredienti che possono essere deliziosi in piccole dosi ma che diventano coprenti quando se ne fa un uso poco bilanciato.

Giacomo Bagnara per Internazionale

Nel tentativo di capire il fascino di questi ingredienti ripugnanti, ho parlato con medici che studiano il naso e profumieri che lo alimentano, e perfino con la custode di uno zoo che passa le sue giornate a respirare l’aroma puro e concentrato delle deiezioni di zibetto. Pur avendo teorie diverse sul perché l’oscurità sia un elemento apparentemente essenziale della bellezza, tutti concordano su una cosa: dipende tutto dal contesto. Nel giusto contesto, anche l’odore della morte può essere piacevole. Nel giusto contesto il vomito può essere più desiderabile dell’oro. Nel giusto contesto, con la musica giusta in sottofondo, cominciamo a fare il tifo per l’assassina ricca di fascino o per lo spacciatore di droga più sprezzante.

Tutti poi concordano che il sesso è un elemento chiave, ed è forse la spiegazione più scontata. Ma il profumo non è solo questione di avere un buon odore per attirare un partner. È un fatto di estetica, gusto e desiderio in senso più generale. Vogliamo avere un profumo inebriante, e ciò che è inebriante spesso è anche un po’ repellente: ha qualcosa che va oltre il semplice piacere sensoriale. Del resto, nonostante le apparenze, gli incontri con il bello non sono quasi mai del tutto piacevoli. Se così fosse, i casali screziati di luce di Thomas Kinkade sarebbero considerati la massima espressione delle arti figurative, e tutti ce ne andremmo in giro odorando di gelsomino sintetico e fiori d’arancio finti. E invece no: amiamo la sensualità sanguinolenta delle tele di Caravaggio e ci cospargiamo i polsi di pozioni che contengono i miasmi di paludi putrescenti, l’odore nauseabondo delle feci e il fetore pungente della morte che si attacca alle tonsille. La bellezza è tagliente, è intensa e ha un prezzo. Come il desiderio e la repulsione camminano negli stessi corridoi della nostra mente, così bellezza e distruzione vanno mano nella mano. Tutte le volte che scopriamo qualcosa di talmente bello da essere insopportabile, sullo sfondo vediamo stagliarsi l’ombra familiare della decomposizione.

Una delle prime profumiere della storia è stata una donna di nome Tapputi-Belatekallim. Secondo alcune tavolette di argilla dalla scrittura cuneiforme del 1200 aC, Tapputi visse nell’antica Babilonia e probabilmente lavorava per un re. La seconda parte del suo nome, Belatekallim, rivela che era una capofamiglia, oltre ad avere un ruolo riconosciuto a corte. Migliaia di anni prima dell’avvento delle amministratrici delegate, quindi, Tapputi ricopriva una posizione gerarchicamente più alta e dava ordini ai suoi sottoposti. Era una maestra nell’arte del profumo ed era riconosciuta come tale dai suoi colleghi. Molto di quello che sappiamo di lei viene da fonti secondarie, ma il procedimento di distillazione e raffinazione degli ingredienti per produrre un balsamo fragrante (olio, fiori, acqua e calamo, che è una canna di palude simile alla citronella) è descritto su una tavoletta d’argilla superstite. La modernità delle sue essenze ha quasi del miracoloso; o piuttosto, è incredibile quanto poco siano cambiate le cose dall’antichità. Tapputi conosceva tecniche di estrazione delle essenze che i profumieri naturali usano ancora oggi, come la distillazione, l’enfleurage a freddo e la tintura. E mescolava le sue essenze con l’alcol etilico, creando profumi più vivaci, leggeri e resistenti di qualsiasi altra cosa ci fosse al tempo. Forse in antichità questi aromi avevano una funzione religiosa, o magari erano solo un modo di abbellire il corpo e compiacere i sensi.

Purtroppo la storia di Tapputi è molto frammentaria: probabilmente fu la prima chimica donna, ma la storia ne ha perso le tracce. Molto più numerose sono le prove documentali sui profumi dell’antico Egitto, della Persia e dell’antica Roma. Nel 2003, una squadra di archeologi ha scoperto a Cipro la fabbrica di profumi più antica del mondo. L’ipotesi degli archeologi è che questa costruzione di fango e mattoni e i profumi che vi si producevano spinsero i greci ad associare l’isola ad Afrodite, la dea del sesso e dell’amore: nata dai resti magici dei testicoli del dio del cielo, che erano stati strappati e gettati in mare da Crono, il dio titano dei raccolti, Afrodite sarebbe emersa dalle acque spumeggianti e comparsa sulla spiaggia di Pafo, un antico insediamento sulla costa meridionale dell’isola. L’analisi dei resti ritrovati sul sito rivela che quegli antichi profumieri sfruttavano ingredienti di origine vegetale come il pino, il coriandolo, il bergamotto, la mandorla e il prezzemolo.

Sembrano tutti profumi piuttosto piacevoli. Mi vedo a strofinarmi sui polsi un po’ d’olio di mandorla mischiato con il bergamotto lasciando una scia di note botaniche. È scontato che la gente voglia profumare come le piante. Le prime opere d’arte rappresentano i fiori, le foglie e gli alberi. Gli studi dicono che ognuno di noi cerca inconsciamente la simmetria e che siamo attratti dai colori, perciò è del tutto logico che i fiori reclamino la nostra attenzione con le loro spirali di Fibonacci e le loro tonalità vivaci. Capisco anche che la curiosità possa spingere qualcuno a incamminarsi lungo la spiaggia per raccogliere un blocco di grasso marino e annusarlo. Faccio un po’ più fatica a capire come i profumieri medievali abbiano fatto il salto concettuale, passando dall’annusare i sacchi ghiandolari dei moschi morti a strofinarseli sui polsi. Eppure a un certo punto dev’essere successo, perché a partire dalla fine delle crociate gli europei sono diventati ossessionati dal muschio.

I clienti dicono che queste fragranze oscure e sporche sono potenti afrodisiaci

Come la maggior parte delle spezie, dei tessuti e dei beni di lusso, il muschio è arrivato in Europa dall’estremo oriente. La parola “muschio” deriva da un termine sanscrito che significa testicolo, e indica il contenuto delle ghiandole di un piccolo cervo asiatico chiamato mosco. Questi sacchetti di fluido animale venivano prelevati dalle carcasse dei cervi macellati e lasciati asciugare al sole. Allo stato naturale, il muschio ha un odore di urina, acuto e pungente. Da asciutto, però, acquista un aroma più delicato. Perde via via l’odore di ammoniaca e diventa dolce, con una nota di cuoio. Smette di puzzare di pipì e comincia a odorare di sudore fresco, è come la coroncina lanuginosa sulla testa di un bambino. Era considerato un afrodisiaco: secondo una leggenda, Cleopatra usò oli di muschio per sedurre Marco Antonio e attirarlo nel suo letto. Il successo del profumo è anche dovuto alle dimensioni delle sue molecole: le molecole più grandi si ossidano più lentamente e quelle del muschio, che sono piuttosto grandi, durano di più rispetto a quelle di altri odori e gli permettono di allungare la vita delle altre essenze. Grazie alle sue proprietà fissanti il muschio viene usato come base di molti profumi, anche di quelli che non sanno apertamente di muschio.

Nel 1979 il mosco è stato inserito nella lista delle specie a rischio dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione della flora e della fauna selvatica (Cites), perciò l’uso del muschio naturale nei profumi commerciali non è più consentito dalla legge. Ciò nonostante, i moschi tibetani continuano a essere uccisi per le loro ghiandole alimentando il commercio illegale del muschio, venduto online. Il muschio viene anche usato in alcuni rimedi naturali tradizionali in Cina e in Corea, quindi è ancora uno dei prodotti animali più preziosi e ricercati del pianeta. Nel suo libro The fly in the ointment (La mosca nell’unguento), Joe Schwarcz, direttore del McGill university office for science and society, spiega che il muschio è “più prezioso dell’oro”.

Lo zibetto è una fragranza meno nota, anche se si ritrova spesso nei profumi. Ricavato dalle ghiandole dell’omonimo mammifero, lo zibetto è simile al muschio a livello di struttura molecolare, ma chi l’ha annusato dice che ha un odore ancora più animale. “È molto pungente”, conferma Jacqueline Menish, dello zoo di Nashville. Gli zibetti sono animali insoliti per uno zoo. Non sono né felini né roditori, anche se vengono erroneamente scambiati per entrambi. Poche persone vanno allo zoo per ammirare queste strane creature notturne, ma lo zoo di Nashville ospita diversi esemplari di zibetti dalle palme fasciate perché il direttore “li adora” (qualcuno di voi avrà sentito parlare del caffè di zibetto, un prodotto che si ottiene facendo ingoiare a forza dei chicchi di caffè agli zibetti asiatici per poi raccoglierne la cacca. A quanto pare, gli umani hanno escogitato molti modi per ricavare soldi dal culo degli zibetti). Quando sono sorpresi, spaventati o eccitati, gli zibetti lasciano “esprimere” le loro ghiandole anali e spruzzano un liquido untuoso. L’odore rimane nell’aria per giorni. “Immagino che se fosse diluito non avrebbe un odore così sgradevole”, concede Menish. “Ma quanto t’arriva in faccia è veramente terribile”.

A differenza del muschio, questa sostanza può essere estratta senza uccidere l’animale, ma il procedimento è comunque crudele. Gli animali vengono tenuti in minuscole gabbie e punzecchiati con dei bastoncini o spaventati con rumori forti finché non reagiscono e rilasciano le loro preziose secrezioni. Anche se i laboratori che fanno profumi commerciali non usano più lo zibetto naturale per le loro fragranze, James Peterson, un profumiere di New York, possiede una piccolissima fiala di tintura. “All’inizio quando lo annusi ha un odore tremendo”, dice. “Ma io ne ho un po’, ha cinque anni e posso dire che acquista una nota fruttata man mano che invecchia. La tintura di zibetto ha un aroma ricco che funziona benissimo con le essenze floreali”. In rare occasioni, Peterson ha usato il muschio o lo zibetto naturale per produrre “piccolissime quantità” di profumi speciali che hanno “una qualità intensamente erotica”. I clienti dicono che queste fragranze oscure e sporche sono potenti afrodisiaci. “Danno il meglio quando agiscono a livello inconscio”, aggiunge.

Come il muschio e lo zibetto, l’ambra grigia ha origine animale, ma per produrla non è necessario uccidere le balene. Da sempre le balene vengono cacciate per i prodotti del loro corpo come l’olio, lo spermaceti e l’interno dello stomaco, ma oggi è più facile che l’ambra grigia si trovi sulle spiagge, poiché proviene da una specie in via di estinzione, il capodoglio. L’ambra grigia è una sostanza cerosa che si forma nell’intestino crasso dei capidogli per proteggere le loro tenere interiora dai becchi duri e appuntiti dei calamari. Secondo Christopher Kemp, autore di Floating gold: a natural (and unnatural) history of ambergris (Oro galleggiante: storia naturale e innaturale dell’ambra grigia), all’inizio è come una massa di corna e artigli che irritano il sistema digerente della balena. Mano a mano che la massa scende nell’intestino crasso della balena, cresce e diventa “un blocco solido aggrovigliato e indigeribile, saturo di feci, che comincia a ostruire il retto”. Una volta scaricata nell’oceano, comincia lentamente ad ammorbidirsi. La massa nera, simile al catrame, viene sbiancata dall’oceano fino a diventare liscia, pallida e fragrante. La scala di colori va dal burro al carboncino. L’ambra grigia più pregiata è bianca, poi diventa color argento e infine color grigio-luna. Si ritiene che solo l’1 per cento della popolazione mondiale dei capidogli produca ambra grigia. È una sostanza molto rara, molto bizzarra e molto pregiata.

Olfatto evolutivo
L’appetito dell’uomo per l’ambra grigia risale ai tempi antichi. I cinesi pensavano che fosse saliva di drago che si era solidificata dopo essere sprofondata nell’oceano, mentre gli antichi greci amavano aggiungere l’ambra grigia alle bevande per dare un tocco in più. A re Carlo II d’Inghilterra piaceva mangiarla insieme alle uova, una pratica che a quanto pare all’epoca era abbastanza diffusa tra gli aristocratici in Inghilterra e nei Paesi Bassi. Non è così sorprendente che la gente si concedesse questa lieve forma di coprofagia: olfatto e gusto sono profondamente legati, e anche se non so dire che sapore abbia l’ambra grigia posso assicurare che l’odore è allettante. Avendone la possibilità, spargerei sicuramente un pizzico di polvere argentata di balena sulle mie uova, giusto per sapere di che sa (di certo non è più strano che mangiare ali di pollo ricoperte d’oro, altra pratica che sembra essere stata inventata per distruggere valore facendo passare l’oggetto del desiderio attraverso il retto prima di scaricarlo nell’inevitabile tazza di ceramica bianca).

L’ambra grigia viene spesso usata nei profumi per migliorare altri aromi. Ha un ruolo da attrice non protagonista più che da star, perché l’odore è seducente, ma non è molto forte. Ha una fragranza ultraterrena. Profuma di mare, ma anche di erba dolce e pioggia fresca. È incredibile che una sostanza che si forma nelle viscere di una balena abbia un odore tanto puro. Se trovassi dell’ambra grigia fresca, nera come la pece, appiccicosa e puzzolente, probabilmente non mi verrebbe voglia mangiarla. Ma se lasciata maturare e diluita, può trasformarsi da rifiuto animale in ambrosia.

Il libro di Schwarcz prova a spiegare perché siamo attirati da questi aromi e cita una serie di studi secondo i quali le donne, avendo le ovaie, sono più sensibili al muschio, soprattutto nel periodo dell’ovulazione. Forse, ipotizza timidamente, l’odore del muschio ricorda quello delle sostanze chimiche prodotte dall’organismo umano per attrarre potenziali partner.

Al telefono Schwarcz è ancora più prudente nell’ipotizzare una possibile spiegazione evolutiva per le nostre preferenze olfattive. “Il senso dell’olfatto è stato studiato a fondo, con risultati sorprendentemente modesti in termini di ciò che sappiamo. È molto complicato”, dice. “Non sappiamo perché il muschio attrae più alcune persone che altre. Non sappiamo perché ha un odore diverso quando viene diluito, ma sappiamo che è così”. Quando gli chiedo se amiamo il muschio perché siamo programmati per amare gli odori corporei, subito sposta il discorso sulla “questione dei feromoni”, che “forse in realtà addirittura non esistono” nella nostra specie, per quanto ci piaccia attribuire vari fenomeni empirici a questi invisibili messaggeri. Secondo Schwarcz, molto di quello che si dice sui feromoni vale solo per certe specie non umane. Per esempio, i feromoni dei cinghiali sono universalmente noti, facili da riprodurre e sfruttati dagli agricoltori per aumentare il tasso di natalità negli allevamenti. Alcuni profumi di cui si enfatizza il fatto che hanno “veri feromoni” magari contengono davvero molecole di feromoni: peccato che facciano effetto solo ai maiali.

Dove la scienza non riesce a dare una spiegazione esaustiva, gli artisti ci offrono uno strumento illuminante per comprendere il nostro rapporto con il desiderio e l’estetica. Per la profumiera Anne McClain, della Mcmc Fragrances di New York, è la tensione tra sgradevole e dolce a elevare una fragranza da prodotto di consumo a opera d’arte. Questo è un elemento chiave quando si usano ingredienti ripugnanti come gli estratti floreali indolici o le secrezioni muschiose. Il tocco indecente diventa una specie di segreto, un dettaglio raccapricciante appuntato a margine della ricetta, visibile solo da chi se ne intende ma apprezzato da tutti. Sotto la bellezza si sente sussurrare l’oscenità. Combinati insieme, questi elementi creano un aroma che sa paradossalmente di pulito e di sporco, di leggero e di pesante.

“L’indolo è quello che rende interessante l’odore del gelsomino”, dice. “Ti fa venire voglia di annusarlo di nuovo, è come una droga”. A differenza degli aromi agrumati, che hanno un’unica nota e sono piuttosto semplici, nei fiori c’è un elemento di decomposizione, un sentore di putrescenza. McClain sottolinea giustamente che è questo che rende i fiori attraenti per le api e gli altri impollinatori. L’aro titano è famoso per il suo odore di cadavere, ma lo stesso vale per molti altri fiori, anche se in misura minore.

Inoltre, l’uomo è per natura “un po’ schifoso”, dice McClain. Come gli zibetti, i moschi e le balene, facciamo la cacca, emaniamo secrezioni, ci accoppiamo e talvolta vomitiamo. Ma allo stesso tempo siamo capaci di creare la vita e la bellezza, e per McClain è proprio questa capacità vitale ad accomunare i fiori e gli esseri umani. “Penso che ci sia qualcosa di profondo in tutto ciò che è fatto di vita e crea vita. C’è qualcosa d’intrinsecamente sessuale”, dice. “Magari lo zibetto preso di per sé ha un odore disgustoso, ma aggiunge un elemento di realtà”. Opportunamente mescolato ad altre delizie olfattive, crea un aroma che ci fa venire voglia di tornare sui nostri passi, d’interrogarlo con le narici allo stesso modo in cui ci soffermiamo davanti a un quadro. Stratificando il piacere e il disgusto, i profumieri creano qualcosa che somiglia alla vita: soave, effimero e misterioso.

(Traduzione di Fabrizio Saulini)

Questo articolo è stato pubblicato il 9 novembre 2018 sul numero 1281 di Internazionale. Era uscito su Longreads con il titolo The ugly history of beautiful things: perfume.

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