17 gennaio 2017 19:16

Parlando al leader dell’opposizione Adama Barrow in una telefonata trasmessa in tv il giorno dopo le elezioni del 1 dicembre, il presidente Yahya Jammeh aveva detto: “Chiamo per augurarti il meglio, la gente del Gambia ha parlato”.

Questa ammissione di sconfitta era stata accolta con un misto di stupore ed esaltazione per le strade del paese. Dopo gli assalti brutali nei confronti di esponenti dell’opposizione e l’allontanamento degli osservatori internazionali, molti pensavano che Jammeh avrebbe trovato un modo per vincere comunque, a prescindere dai voti. La fine di 22 anni di potere attraverso le urne era visto come un trionfo dei princìpi democratici, in Gambia e non solo.

Tuttavia i festeggiamenti sono durati poco visto che, una settimana più tardi, Jammeh ha ritrattato la sua ammissione, accusando “anomalie gravi e inaccettabili” nel processo elettorale.

L’allarme per questo brusco deragliamento del processo di transizione ha portato quattro capi di stato dell’Africa occidentale, parte del blocco regionale Ecowas, ad andare a visitare Jammeh il 13 gennaio in un fallito tentativo di convincerlo ad accettare i risultati delle urne. Nel frattempo, l’Unione africana, le Nazioni Unite, l’Unione europea, gli Stati Uniti e altri, hanno tutti sostenuto pubblicamente Barrow.

La pressione è salita anche in Gambia, con la camera di commercio, il sindacato degli insegnanti, l’unione della stampa e la commissione elettorale che hanno condannato il dietro front di Jammeh.

L’alleato più forte
Tuttavia, mentre Jammeh è ancora al suo posto, c’è un gruppo importante che ancora si schiera con lui: le forze di sicurezza. Quando Jammeh aveva ammesso la sconfitta, anche il capo dell’esercito, generale Ousman Badjie, si era congratulato con Barrow e gli aveva offerto la sua fedeltà. Ma quando Jammeh ha fatto marcia indietro, Badjie ha fatto lo stesso, e le forze armate hanno per un momento minacciato di occupare la sede della commissione elettorale.

Perché le forze di sicurezza continuano a stare a fianco di Jammeh?

Parte della spiegazione sta nel fatto che le forze armate sono strutturate intorno alla fedeltà a Jammeh. Promozioni (e retrocessioni) si basano sulla fedeltà, non sulla formazione, l’esperienza o l’anzianità di servizio. I militari ritenuti fedeli a Jammeh possono fare una rapida carriera, da soldato semplice a ufficiale. Invece chi non dimostra sufficiente devozione può essere retrocesso, licenziato, imprigionato e perfino ucciso. Un’opaca rete d’informatori all’interno dei servizi di sicurezza mantiene i soldati in un clima di diffidenza.

Un’altra ipotesi sulla strategia di fidelizzazione di Jammeh riguarda il reclutamento di militari non gambiani nelle forze armate (come anche della magistratura). In particolare il presidente avrebbe arruolato alcuni militanti dell’Mfdc, un gruppo di ribelli separatisti della regione della Casamance, in Senegal. Questi soldati sono probabilmente scarsamente interessati alla volontà del popolo del Gambia e sarebbero più disposti ad appoggiare Jammeh.

Un’altra strategia adottata da Jammeh è quella di non tenere alti ufficiali in carica per troppo tempo, nel timore che possano diventare una minaccia ai suoi interessi. Allo stesso tempo, però, il presidente è consapevole che un gruppo di ufficiali arrabbiati è una potenziale causa di problemi. Molti di quelli licenziati vanno pertanto a ricoprire posizioni ministeriali o posti di ambasciatore all’estero. L’influenza dei militari dovrebbe così limitarsi alle caserme.

In campo militare molti temono che sotto una nuova leadership ci sarebbe grande incertezza intorno al destino della loro istituzione. Con il precedente presidente, Dawda Jawara, i militari si sentivano emarginati. Invece Jammeh, dopo aver realizzato un golpe di successo nel 1994, aveva immediatamente aumentato il numero di militari e fornito migliori armamenti e alloggi.

Sotto Jammeh, le forze di sicurezza hanno goduto di una protezione speciale garantita dalla legge. Il controverso Indemnity act del 2001 permette al presidente di concedere l’amnistia alle forza di sicurezza che commettono atti di cattiva condotta durante una situazione di emergenza. Questa legge è stata motivata dal desiderio di proteggere i poliziotti che avevano aperto il fuoco contro le manifestazioni degli studenti nel 2000, uccidendone dodici.

I rappresentanti delle forze armate possono anche temere per il loro destino sotto un’eventuale nuova leadership politica. Subito dopo aver vinto le elezioni, i militanti dell’opposizione avevano cominciato a discutere la possibilità di indagare sulle violazioni dei diritti umani commesse sotto il regime di Jammeh. Tale indagine avrebbe lo scopo di far luce sulle numerose accuse di torture e omicidi contro giornalisti, esponenti dell’opposizione, leader religiosi e altri da parte delle forze di sicurezza.

Le divisioni nei ranghi
Tuttavia, anche se molti militari sarebbero preoccupati all’idea che Jammeh perda il potere, ci sono segni d’insoddisfazione anche tra i loro ranghi. Dal suo insediamento, Jammeh ha subìto almeno otto tentativi di colpo di stato, l’ultimo nel 2014. Questo suggerisce l’esistenza di fazioni dell’esercito che sarebbero felici di vederlo sparire. Inoltre, ci sono numerosi casi di diserzioni.

Infine, i favoritismi su base etnica hanno creato divisioni profonde tra i militari. Jammeh ha dato una serie di posizioni di rilievo sproporzionate al suo piccolo gruppo etnico, i jolas. Attualmente, il capo dell’esercito, quello delle guardie di stato e quello dei servizi segreti sono tutti di etnia jola. Un discorso di Jammeh contro il gruppo mandinka, fatto in campagna elettorale, ha intensificato queste preoccupazioni.

Gli eventi in Gambia nel corso dell’ultima settimana hanno messo in gioco gli alti livelli della politica: dichiarazioni di alti funzionari, negoziati con i capi di stato a porte chiuse, petizioni presentate alla magistratura.

Il generale Badjie ha parlato a nome delle forze armate, ma è difficile dire cosa faranno i singoli soldati. Finora hanno seguito gli ordini ma la loro fedeltà sarebbe davvero messa alla prova in caso di manifestazioni di piazza o di un intervento internazionale.

Gli sforzi regionali di mediazione guidati dall’Ecowas si sono concentrati nel provare a convincere Jammeh ad ammettere la sconfitta, probabilmente in cambio dell’immunità. Ma ora sono a un punto morto. Tuttavia, vista l’importanza delle forze armate per assicurare una transizione pacifica, i colloqui avrebbero bisogno di essere allargati e discutere il futuro degli alti ufficiali e il ruolo delle forze armate in generale.

Se Jammeh deciderà alla fine farsi da parte, convincendo le forze armate ad accettare Barrow come nuovo comandante in capo, sarebbe solo il primo passo. Barrow dovrebbe gestire l’eredità di Jammeh tra i servizi di sicurezza e un corpo paramilitare altamente addestrato e armato.

Dopo 22 anni di relazioni tese gravemente tra i civili e le forze armate, per far tornare la fiducia nel paese serviranno più dei tre anni del mandato di Barrow.

(Traduzione di Stefania Mascetti)

Questo articolo è apparso sul sito African Arguments.

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