14 aprile 2021 19:05

Le relazioni tra l’Italia e la Germania non potrebbero essere più armoniose, almeno stando ai massimi rappresentanti dei due paesi. Ogni loro incontro – che sia tra la cancelliera e il presidente del consiglio o tra il presidente della repubblica italiano e quello tedesco – si conclude con un comunicato che celebra l’amicizia inossidabile, la perfetta comunanza di vedute, la fiducia reciproca.

Ma sappiamo bene che la realtà è un po’ diversa. Certo, i rapporti economici sono strettissimi, a cominciare dal fatto che la Germania è il mercato numero uno per l’export italiano. Certo, centinaia di migliaia di italiani sono emigrati in Germania e milioni di tedeschi ogni anno passano le loro vacanze in Italia. Certo, i due governi, i due paesi cooperano proficuamente in mille campi.

Ma quanto quest’amicizia si riveli a volte fragile è stato sotto gli occhi di tutti l’anno scorso, all’inizio della pandemia di covid-19. Quando l’Italia nel marzo del 2020 si trovava già in piena emergenza la Germania per tutta risposta ha pensato bene di vietare l’esportazione di mascherine e camici verso sud. E quando l’Italia, sempre nello stesso mese, ha lanciato la proposta di una vigorosa risposta europea al terremoto economico causato dalla pandemia, in un primo momento il governo tedesco ha fatto spallucce, bollando gli Eurobond come “puro slogan”.

Di nuovo quindi l’Italia ha avuto la sensazione di “essere stata lasciata sola”, come già nella crisi dell’euro, come durante l’emergenza dei rifugiati, una sensazione per fortuna superata dal varo del recovery fund europeo. Sullo sfondo anche di queste esperienze recenti la Fondazione Friedrich Ebert – vicina al Partito socialdemocratico tedesco – ha commissionato a Ipsos un ampio sondaggio realizzato nei due paesi per capire di più su valutazioni, giudizi e pregiudizi che italiani e tedeschi danno di se stessi, dell’altro popolo, del ruolo che le due nazioni esercitano in Europa.

Italia sottovalutata
Colpisce in primis un’asimmetria (condivisa) nella valutazione economica. Sia gli italiani sia i tedeschi sono convinti che la Germania sia un paese prospero e che l’Italia si trovi invece di fronte a una forte crisi. E ne sono talmente convinti che tendono a sminuire le capacità dell’Italia. Il 74 per cento degli italiani si mostra convinto che l’Italia non abbia raggiunto i suoi obiettivi nella svolta energetica, concordati a livello europeo, e il 71 per cento pensa che la Germania invece sia stata virtuosa in questo campo. È vero l’esatto contrario: l’Italia ha addirittura superato i suoi obiettivi mentre la Germania li ha mancati.

Lo stesso discorso vale quando si parla di forza industriale. Sia gli italiani sia i tedeschi rispondono correttamente che la Germania in questo campo è la numero uno europea, ma mettono in seconda posizione la Francia e il Regno Unito, e collocano l’Italia soltanto al quarto posto. Invece l’Italia come produttore industriale è seconda in Europa!

Riscontriamo una simile asimmetria, con giudizi in parte contro-fattuali, anche sul ruolo dei due paesi nell’Unione europea. Interpellati se l’Italia sia un paese contribuente o beneficiario del bilancio europeo, soltanto il 5 per cento dei tedeschi la vede come contribuente, il 71 per cento come beneficiaria. È vero invece l’esatto contrario: l’Italia versa nelle casse dell’Ue quattro miliardi di euro in più di quanto riceva. Ma questo fatto a sua volta è chiaro soltanto al 41 per cento degli intervistati italiani.

Asimmetrico è anche il giudizio sul peso che i due paesi esercitano in Europa. Italiani e tedeschi concordano sul peso importante della Germania, ma mentre un 39 per cento dei tedeschi attribuisce all’Italia un ruolo importante nelle decisioni dell’Unione, ne è convinto solo il 22 per cento degli italiani. Non stupisce quindi se soltanto un 29 per cento di loro veda più vantaggi che svantaggi nell’appartenenza del proprio paese all’Ue e solo il 24 per cento nell’appartenenza all’euro.

Da questi giudizi scettici non consegue la volontà di lasciare l’Ue, anzi. Come la stragrande maggioranza dei tedeschi anche il 68 per cento degli italiani vuole restare nell’Unione, il 63 per cento nell’euro. Anzi, molti italiani desiderano un’Unione più incisiva. Il 63 per cento degli italiani è favorevole a una soluzione dei problemi economici a livello europeo, non nazionale (tedeschi: 36 per cento), il 79 per cento a una comune politica contro la pandemia di covid-19 (tedeschi: 64 per cento), l’87 per cento a un approccio europeo all’immigrazione (tedeschi: 70 per cento), l’87 per cento a una risposta comune al cambiamento climatico (tedeschi: 83 per cento).

Ed è senz’altro una buona notizia che sia gli italiani sia i tedeschi approvano a grande maggioranza il fatto che l’ingente recovery fund europeo sia finanziato in comune a livello europeo: soprattutto per la Germania è un cambiamento radicale. Partono da questo fatto sia Martin Schulz, ex presidente del parlamento europeo, deputato al Bundestag e presidente della Fondazione Ebert, sia Enzo Amendola, sottosegretario agli affari europei nel governo Draghi che il 14 aprile insieme hanno presentato il sondaggio.

Schulz ha parlato di una diffidenza, uno scetticismo nei rapporti tra i due paesi negli ultimi anni e ha citato un altro fatto evidenziato dal sondaggio: sia i cittadini italiani sia quelli tedeschi vedono sempre nell’altro paese quello che trae più benefici dall’Unione europea. Una visione da superare, secondo Schulz, a favore di una visione che contempla il fatto che tutti e due possano giovarne. E così afferma, il recovery fund può essere la base di una nuova partenza per l’Europa e per i rapporti italo-tedeschi. Una visione condivisa da Amendola: anche ai suoi occhi nell’Europa postpandemia abbiamo tutte le carte per aprire un nuovo capitolo.

Michael Braun, corrispondente del quotidiano tedesco Die Tageszeitung, collabora con la Fondazione Friedrich Ebert ed è uno dei coautori del report “Un’amicizia fragile” che riassume i risultati del sondaggio italo-tedesco.

Leggi anche:

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it