04 dicembre 2019 11:37

La platea bolognese di Tutta un’altra storia, un’assemblea convocata dal Pd dal 15 al 17 novembre 2019 per discutere un programma sugli anni venti del duemila, si è spellata le mani di fronte alla domanda di radicalità sostenuta dal palco da Fabrizio Barca – economista, già ministro e adesso animatore del forum Disuguaglianze diversità – e alle sue 15 proposte per combattere la disuguaglianza. Ma ha discusso poco della più radicale tra le proposte radicali, quella destinata ai circa 600mila giovani che ogni anno in Italia entrano nell’età adulta. La proposta è questa: dare a ogni ragazza e ragazzo, al compimento del diciottesimo anno d’età, una dote di 15mila euro, finanziata con un’imposta progressiva sulle successioni e sulle donazioni, con esenzione dei piccoli patrimoni. Una sorta di “eredità di cittadinanza”.

Ci si sarebbe potuti aspettare che una proposta simile, avanzata autorevolmente – dal punto di vista della persona e della sede – monopolizzasse l’attenzione: soldi in tasca a tutti i ragazzi, dalle periferie metropolitane alla provincia? E con il ritorno di quella che la destra americana negli anni ottanta battezzò come “la tassa sulla morte”? Invece l’attenzione mediatica e politica è stata catturata da altro. Eppure quella di Barca non era affatto una provocazione, ma la traduzione in agenda politica di una ricetta avanzata da uno dei più grandi studiosi delle disuguaglianze, Tony Atkinson, l’economista di Oxford morto nel 2017 che ha più volte ripetuto: delle disuguaglianze cresciute nel mondo sappiamo già tanto, adesso è il momento di cominciare a fare qualcosa per contrastarle.

Il punto di partenza
Sembrerà strano dirlo, ma la ricchezza media italiana è sempre stata, e resta, tra le più elevate nel mondo ricco. Lo si deve alla grande diffusione della proprietà dell’abitazione, al fatto che storicamente gli italiani hanno un basso livello di debiti privati – contrapposto invece a un alto indebitamento pubblico – e a un’attitudine al risparmio. Fatto sta che la ricchezza del cittadino italiano medio, pari nel 2016 a 143mila euro, è tra le più elevate. E ancora più forte è la differenza rispetto agli altri paesi se si guarda al rapporto tra la ricchezza netta privata e il reddito nazionale: siamo circa al rapporto di 1 a 7 (per ogni euro guadagnato ce ne sono sette di ricchezza accumulata), mentre lo stesso rapporto è attorno a 6 nel Regno Unito e in Francia, 5 in Germania, poco più di 4 negli Stati Uniti.

Però questa ricchezza è sempre più concentrata. Se si va a guardare dentro la media, si scopre che la disuguaglianza in ricchezza è molto più forte di quella dei redditi. Le disuguaglianze sono tra ceti sociali: l’indice di Gini, che misura la concentrazione della ricchezza, in Italia è aumentato di quattro punti dal 1991 al 2016; durante la crisi cominciata nel 2008 la ricchezza media degli italiani è scesa del 15 per cento, mentre quella dei dieci italiani più ricchi è aumentata dell’83 per cento. Il “top 1 per cento”, ossia l’1 per cento più ricco della popolazione, possiede il 15 per cento della ricchezza totale: ma questo dato, va precisato, sale al 25 per cento se si fanno i conti non sulle indagini campionarie (quelle su cui di solito ci si basa, che sono corrette per i grandi numeri ma spesso sottostimano i più ricchi, che non la raccontano tutta nelle interviste) e si guardano i dati amministrativi (come i ricercatori del forum Disuguaglianze diversità hanno fatto). Non solo: la disuguaglianza di ricchezza spacca le generazioni, a beneficio dei più anziani, che hanno guadagnato, mentre gli under 40 hanno perso.

Le tasse sull’eredità
Negli stessi decenni in cui le disuguaglianze aumentavano, gran parte del mondo ricco procedeva a ridurre le imposte sulle successioni e sulle donazioni in famiglia (che sono un modo per anticipare la trasmissione del patrimonio di padre/madre in figlio). Formalmente, dice un riepilogo fatto dall’Ocse in un suo studio, queste imposte ci sono ancora nella maggioranza dei paesi; però il loro importo si è via via ridotto. Va detto che l’Italia è tra i paesi nei quali è sceso al livello più basso: le imposte di successione, abolite del tutto dal governo Berlusconi tra il 2001 e il 2006 sono poi tornate in forma minima – e si fa notare nel rapporto del forum Disuguaglianze che da quando lo stato unitario aveva introdotto quest’imposta l’unica precedente abolizione risaliva al periodo fascista.

Come si vede dal grafico, che fa riferimento alle imposte sui trasferimenti in linea di parentela diretta, la percentuale massima del valore tassato in Italia è del 4 per cento, rispetto a una media Ocse del 15 per cento e al 40 per cento nel Regno Unito e negli Stati Uniti, o al 45 per cento in Francia.

Risultato: mentre tra il 1970 e il 2015 il rapporto tra la ricchezza netta privata e il reddito nazionale saliva dal 2,5 al 7 per cento, il peso dell’imposta di successione sul totale degli introiti fiscali scendeva dallo 0,6 allo 0,1 per cento.

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Tutto ciò ha una conseguenza molto chiara: la ricchezza di famiglia conta sempre di più e plasma i destini delle generazioni future assai più di quanto accadesse in passato. Chi nasce nella “classe povera” ha il 32 per cento di possibilità di non affrancarsi dalla sua condizione, chi nasce in quella ricca il 38 per cento di restarci. Tutti gli studi mostrano che quella che si chiama “mobilità intergenerazionale di ricchezza” è diminuita. In linea generale, i più giovani sono più poveri dei loro genitori e nonni; ma quel che ricevono dai loro genitori e nonni è sempre più importante.

Non è certo solo “colpa” del regime delle successioni; ma, si legge nel rapporto del Forum, “le donazioni e i lasciti ereditari permettono alle disuguaglianze di ricchezza di cristallizzarsi nel tempo e di crescere”. Sono le stesse conclusioni a cui giunge l’Ocse nello studio citato, che fa riferimento a tutte le imposte patrimoniali. L’Ocse tra l’altro raccomanda fortemente le imposte sulle eredità “per combattere la persistenza di gap di ricchezza da una generazione all’altra”.

Matilde e Antonio
Adesso cambiamo registro, e passiamo a Matilde. La ragazza (la sua storia e il suo nome sono di fantasia) vuole iscriversi al corso di ingegneria meccanica all’università la Sapienza di Roma, ma la sua famiglia non ha i mezzi per aiutarla: la dichiarazione dello stato reddituale e patrimoniale (Isee) rientra nella fascia pari a 15mila euro. Per tre anni universitari, il costo totale sarebbe di 1.440 euro per le tasse universitarie. Immaginando che Matilde riesca a trovare un alloggio pagando 300 euro al mese per una stanza condivisa, sarebbero necessari altri 12mila euro per pagare l’affitto per il triennio universitario.

“Matilde” è l’esempio fatto dal gruppo di lavoro del forum per illustrare un possibile effetto di quella che chiamano “eredità universale” da dare a tutti al compimento dei 18 anni. “Con i 15mila euro ricevuti e alcuni lavoretti saltuari nel fine settimana, Matilde potrà laurearsi chiedendo molto poco o quasi nulla ai suoi genitori o familiari”. Postilla: “In questo esempio rimarrebbero anche ulteriori 1.560 euro per pagarsi la palestra di roccia che non si era mai potuta permettere”. L’esempio della roccia è importante, perché fa capire che l’eredità di cittadinanza proposta non prevede vincoli o condizioni: si può usare come si vuole.

Si prevede un tutoraggio da parte delle scuole superiori prima del diploma, ma anche che si possa scegliere in libertà cosa farne. Liberando così quel trasferimento da tutti i lacci, e anche dal peso burocratico, l’apparato investigativo e sanzionatorio, che accompagnano le misure “condizionate” – si pensi al reddito di cittadinanza, e all’ossessiva caccia alla truffa. Quei 15mila euro potrebbero essere usati per l’istruzione, l’avvio di un’attività, o anche un viaggio in India.

Ora prendiamo il caso di Antonio. “Anche Antonio, compagno di scuola di Matilde, vuole iscriversi al corso di ingegneria meccanica alla Sapienza. Nel suo caso però la sua famiglia è più fortunata e dichiara un Isee pari all’ultima fascia, superiore ai centomila euro”. Dovrebbe pagare 2.920 euro all’anno per l’iscrizione al corso, 8.760 euro in tre anni. Ma a differenza della sua compagna di corso, Antonio può permettersi una stanza in affitto pagata dai genitori.

“Può, dunque, mettere da parte i rimanenti 6.300 euro per comprarsi un portatile nuovo e pagarsi un master specializzante, o magari per realizzare quel viaggio in India che sognava da anni”.

L’esempio di “Antonio” può far discutere, e anche apparire urticante. Perché mai dare i soldi pubblici a un rampollo ricco per farsi un viaggio in India? Le risposte possono essere varie. La prima è una difesa dell’universalismo: siamo tutti uguali, a prescindere dalla lotteria della nascita. La seconda è che il “condizionamento” sui giovani non riguarda solo i più poveri, ma anche quelli benestanti, che con l’arrivo dell’età adulta si trovano a essere condizionati dalle scelte e dalle decisioni dei propri genitori, differenti tra figlie e figli. La terza è puntare su libertà e responsabilità individuale, invece che su raccomandazioni e divieti dall’alto, spesso difficilissimi da controllare. Infine, c’è da dire che la famiglia di Antonio sarebbe chiamata a contribuire all’eredità di tutti, essendo probabilmente una di quelle benestanti sottoposta alla nuova imposta di successione, chiamata “sui vantaggi ricevuti”.

L’imposta sui vantaggi ricevuti
Attualmente per le successioni tra coniugi o tra genitori e figli si paga solo per cifre superiori a un milione di euro, con un’aliquota del 4 per cento, mentre le donazioni in vita non sono tassate. La proposta del forum prevede: nessuna tassazione per i patrimoni fino a 500mila euro, un’imposta del 5 per cento tra i 500mila e un milione di euro, poi un’aliquota marginale del 25 per cento tra uno e cinque milioni di euro, e infine del 50 per cento per quelli superiori ai cinque milioni (va precisato che quando scatta l’aliquota più alta, questa si applica solo alla parte di reddito superiore, per esempio se una persona eredita 600mila euro non paga niente sui primi 500mila e paga il 5 per cento sui restanti centomila euro). Le case sarebbero incluse, e andrebbero valutate al loro reale prezzo di mercato, non a quello catastale. Questa precisazione, che comporta l’attuazione di una riforma attesa da anni, porta a due versioni della proposta: una con le case tassate a valori di catasto, l’altra con la tassazione “reale”, appunto basata sui prezzi di mercato.

Lo stesso regime si applicherebbe alle donazioni tra vivi, ovviamente sommando quelle che si ricevono nel corso degli anni. Rispetto alla situazione attuale, con “l’imposta sui vantaggi ricevuti” ci sarebbe una progressività maggiore, per un gettito totale che – non è facile fare i conti – starebbe tra 1,4 e 5,2 miliardi di euro (a seconda che si includa o meno la rivalutazione delle rendite catastali). D’altro canto, l’eredità universale costerebbe 8,8 miliardi di euro all’anno: dunque potrebbe essere coperta in buona parte dalla nuova imposta di successione, e per il resto con risorse da trovare (nella proposta c’è un elenco).

A questo punto, il catalogo di apprezzamenti, critiche e obiezioni potrebbe essere lungo. Tanto da sollecitare – finalmente – una discussione sulla questione dei trasferimenti di vantaggi e svantaggi tra generazioni.

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