16 marzo 2021 07:58

Era il 1970 e i Beatles, ufficialmente sciolto il gruppo, cominciarono a prendere sul serio la loro carriera solista. George Harrison era reduce da anni di frustrazione perché John Lennon e Paul McCartney non sembravano pigliarlo troppo sul serio come autore. Così prese un mucchio di pezzi, alcuni dei quali già scartati dai Beatles, e li usò per farci un album colossale, All things must pass. Fu un successone, al quale contribuì anche la produzione di Phil Spector, mai così scatenato nella creazione del suo muro del suono.

La massa di sovraincisioni è talmente mostruosa (in particolare per le chitarre, per le quali l’obiettivo di Spector era che “si percepissero ma non si sentissero”) da rendere impossibile ricostruire con precisione tutti i musicisti che suonano e dove. Qualche nome: Eric Clapton, Billy Preston, i Badfinger, Peter Frampton, Leon Russell e, pare, anche The Band, Richard Wright e Phil Collins quando non era ancora uno dei Genesis. Uno dei singoli che ne uscirono è la #canzonedelgiorno. Ma se vi ascoltate almeno i primi due lp dei tre dell’album non sbagliate di sicuro.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it