16 ottobre 2019 12:53

Non è poi così importante chi, tra Matteo Salvini e Matteo Renzi, abbia vinto il duello televisivo allestito nello studio di Porta a porta su Rai1 il 15 ottobre. Importante è soprattutto che il duello ci sia stato perché ci racconta qualcosa dello scenario politico presente e futuro.

La posta in gioco, come appare evidente da tempo, è la centralità politica perduta. Per recuperarla, Renzi e Salvini sono costretti dalle circostanze a una strategia in parte simile, e hanno bisogno l’uno dell’altro. Anche gli attacchi al presidente del consiglio Giuseppe Conte – che siano a viso aperto o che assumano l’aspetto della guerriglia – sono da intendere in questa prospettiva. Si guarda al centro della scacchiera e si cerca di recuperare terreno per tornare a occupare da protagonisti lo spazio dal quale entrambi sono stati espulsi.

Ma occorre tempo, sempre che ciò possa ancora accadere. Nel frattempo si cerca di far sì che lo spazio piuttosto marginale che i due occupano oggi appaia meno defilato e, almeno dal punto di vista mediatico, recuperi fin da subito una parte di quella centralità. Perché ciò accada bisogna alzare i toni e costruire una contrapposizione che abbia anche un carattere personale. L’obiettivo è costringere chi ascolta a una scelta binaria: o di qua o di là. O Salvini o Renzi. Questo è il confine. Fuori non deve rimanere nulla di altrettanto allettante.

Nessun orizzonte
A questo serve insultarsi reciprocamente, perché questo farà i titoli dei giornali e attirerà l’attenzione di chi ascolta. A questo servono lo sbuffare, i toni da bisticcio, il teatro, il lamento interminabile a causa del quale Ra1 per un’ora abbondante è apparsa simile a un asilo d’infanzia. Ogni cosa è funzionale all’unico obiettivo comune ai due: concentrare l’attenzione su di sé, accreditando uno scontro tale da assorbire ogni altra possibile proposta politica agli occhi degli elettori e della propria militanza la quale, per questo, deve essere costantemente eccitata e chiamata a raccolta.

Non serve invece disegnare orizzonti politici di un qualche respiro, se anche vi fosse la volontà di farlo. È sufficiente limitarsi a una sequenza di obiettivi spot. Alla fine, se la politica non è più una costruzione di idee – e infatti tutti o quasi son d’accordo a dire che destra e sinistra non esistono più – ma viene rappresentata dagli stessi leader politici come una questione personale, la propria identità politica la si finirà per costruire non sulla base di una spinta ideale ma soprattutto contro un nemico. E tanto basta, a quanto pare.

L’Italia è da sempre accogliente nei confronti di questo genere di dinamiche che polarizzano l’attenzione su due figure – Coppi e Bartali, per dire – oscurando ogni altra cosa. Ma a volte questo genere di processi viene aiutato anche dalle circostanze. La seconda repubblica è stata una di queste circostanze, essendo nata e cresciuta in una condizione sconosciuta alla storia italiana dal dopoguerra in poi, costruita su un bipolarismo muscolare senza idee e senza più clausole di salvaguardia né vie di fuga.

La sensazione è quella di aver assistito a uno spettacolo non genuino

Il fatto è che in questi 25 anni anche l’informazione ha finito per adattarsi. E, a seguire, lo hanno fatto anche i lettori e gli elettori. Basti pensare alla polarizzazione che a partire dagli anni novanta del novecento ha diviso i giornali in due fronti più o meno compatti e sovrapponibili a quelli nei quali s’era divisa la politica. Basti pensare alla contemporanea fine dei giornali di partito e all’avvento dei giornali-partito. Basti pensare infine a come lettori ed elettori si siano abituati a tutto questo, o forse si siano arresi, schiacciati da un genere di scontro – e di racconto di quello scontro – che non ha più ammesso altre possibilità se non quella di stare da una parte o dall’altra.

Chiunque abbia provato a esprimere un’idea diversa o anche soltanto una sfumatura di pensiero capace di aprire una contraddizione in quel bipolarismo coatto, è risultato spesso irrilevante. Semplicemente, da un certo momento in poi è stato perfino difficile ascoltare un pensiero diverso, a causa del rumore prodotto dallo scontro permanente tra i due schieramenti che si andavano riproducendo su ogni terreno e rimodulando su ogni argomento, occupando così ogni spazio possibile.

Su questo genere di dinamiche contano ora Renzi e Salvini per recuperare la centralità politica perduta. Quando però si costruisce una parte della propria identità politica sull’esistenza di un nemico e sulla chiamata alle armi contro quel nemico, il rischio che si corre alla lunga è quello di svelare la propria insussistenza politica. Oggi questo rischio – più per Renzi, per la verità, perché Salvini ha ancora il sostegno degli elettori – è più forte. La sensazione infatti è quella di aver assistito a uno spettacolo non genuino e, soprattutto, fuori tempo massimo.

E, allora, di fronte alla stanchezza dei protagonisti, a una retorica decisamente imbolsita, a certe posture artefatte, il rischio per Renzi e Salvini è quello che corrono gli attori quando perdono smalto o quando il copione non funziona più.

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