16 gennaio 2015 13:33

Il 15 gennaio la Banca nazionale svizzera (Bns) ha annunciato che il valore del franco nei confronti dell’euro sarebbe tornato a fluttuare liberamente dopo più di tre anni. Nel 2011, infatti, la Bns aveva deciso di fissare il cambio tra le due monete a 1,20 franchi per 1 euro. La notizia ha provocato un rialzo del franco del 30 per cento (secondo molti esperti, un fatto senza precedenti nella storia recente). Nella stessa giornata la borsa di Zurigo ha perso il 9 per cento: gli investitori temono che il franco rivalutato abbia gravi ripercussioni per un’economia come quella svizzera in cui le esportazioni e il turismo hanno un peso decisivo.

L’annuncio della Bns ha sorpreso tutti. Nessuno si aspettava che arrivasse in modo così “brutale, minando la credibilità dell’istituto”, ha scritto il quotidiano Le Temps. Il Nobel per l’economia Paul Krugman l’ha definito “un grosso errore”. Ma cos’è successo?

Nel 2010, con lo scoppio della crisi dell’euro, molti investitori alla ricerca di un “porto sicuro” per i loro soldi avevano puntato sulla Svizzera e sulle sue banche. Questo afflusso di capitali aveva mandato alle stelle il franco svizzero, che nel giro di un anno si era rivalutato del 44 per cento nei confronti dell’euro. Un’ottima notizia per gli istituti finanziari, per gli importatori e per gli svizzeri che vanno all’estero, ma pessima per le aziende esportatrici e per il turismo locale. La Bns era corsa ai ripari tagliando il costo del denaro per ridurre l’interesse degli investitori (oggi in Svizzera il tasso d’interesse è negativo, -0,75 per cento: questo vuol dire che chi deposita soldi presso la Bns deve pagare degli interessi) e aveva comprato euro e venduto franchi per tenere sotto controllo il tasso di cambio. Alla fine si era decisa per un cambio fisso tra le due monete: 1,20 franchi per 1 euro.

Negli ultimi tre anni la misura ha funzionato, ma mantenere il tasso di cambio fisso comportava interventi sempre più costosi per la Bns, che doveva stampare miliardi di franchi per far diminuire il valore della moneta nazionale. Con l’annuncio shock del 15 gennaio, evidentemente, la banca centrale svizzera ha preso atto che quella politica non era più sostenibile. Anche perché da tempo l’euro è in discesa ed è probabile che continui a svalutarsi se, com’è ormai probabile, il 22 gennaio la Banca centrale europea lancerà un programma di quantitative easing (alleggerimento quantitativo), cioè l’acquisto in grande quantità di titoli di stato dei paesi in crisi dell’eurozona.

Il caso svizzero dimostra che l’intervento delle banche centrali – in molti casi (vedi Stati Uniti ed eurozona) decisivo per tenere a galla l’economia dopo lo scoppio della crisi globale nel 2008 – non è una soluzione definitiva ai problemi. Serve a dare un po’ di respiro in attesa di riforme e novità importanti in campo economico. Lo stesso quantitative easing della Bce sarà sì fondamentale per sostenere l’euro, ma senza l’innovazione di cui ha bisogno l’Europa, nel tempo potrebbe smettere di produrre effetti positivi.

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