Questo post è tutto un enorme spoiler. Se non avete visto la dodicesima puntata della terza stagione, The Star, fatevi un giro e tornate tra un po’.
Un po’ di considerazioni sull’ultimo episodio:
- Il tema centrale dell’ultimo episodio è il trattamento che gli Stati Uniti riservano ai loro uomini che fanno il lavoro sporco in giro per il mondo. Brody è l’ultimo di una lista di antieroi emarginati, maltrattati, arrabbiati che però finiscono per essere i migliori servitori possibili perché la loro redenzione passa per la vittoria del governo che disprezzano. Brody è un po’ come Sylvester Stallone in Rambo II. Condannato ai lavori forzati per il casino montato in Rambo I, a John Rambo viene offerta l’opportunità di riscattarsi andando in Vietnam a cercare prove fotografiche della presenza di prigionieri statunitensi in alcuni campi militari.
Come Brody, Rambo compie il suo dovere anche oltre le aspettative, e come Brody viene abbandonato una volta portata a termine la missione. Sono la carne da macello da sacrificare per il bene di un’istituzione (la Cia in un caso, l’esercito in un altro, il governo in generale) che alla fine cade sempre in piedi e non va mai messa in discussione. La differenza è che Rambo torna sempre a casa, mentre Brody muore tristemente e senza gloria in una piazza di Teheran. Ma il tema del riconoscimento e della redenzione del protagonista torna nella puntata anche dopo la sua morte. Anzi, diventa l’immagine finale dell’intera stagione, quando Carrie disegna a mano una stella sulla parete degli agenti caduti.
(Ogni scusa è buona per rivedere questa scena stupenda)
- L’uscita di scena di Brody, che ha fatto arrabbiare molti, era inevitabile. Per vari motivi. Salvarlo all’ultimo minuto sarebbe stato un disastro: avrebbe tolto alla serie quel po’ di credibilità rimasta alla fine di una brutta stagione e, soprattutto, avrebbe aperto inquietanti scenari da spy-comedy – durante la scena nel rifugio, quella in cui Carrie rivela a Brody di aspettare un figlio da lui e cominciano a intravedere un futuro insieme, ho temuto il peggio: ho immaginato una quarta stagione con mamma Mathison e papà Brody in giro per il mondo a rovesciare governi e a selezionare baby-sitter.
Peraltro l’idea che Brody muoia consapevole del fatto che non otterrà mai la redenzione che cerca è una delle più coerenti e riuscite della serie. C’è una scena, nel rifugio, in cui il protagonista si guarda allo specchio e noi vediamo solo metà del suo viso. L’altra parte è nell’oscurità. È il momento in cui realizza che i suoi tentativi per riscattarsi agli occhi di sua figlia e del suo paese sono stati inutili e l’hanno anche portato sempre più in basso sulla scala della dignità umana (“in quale universo puoi redimerti da un omicidio commettendone un altro?”).
E poi l’idea di sacrificarlo per rafforzare Javadi nella sua scalata al potere non fa una piega.
- La scena centrale della puntata è quella dell’impiccagione pubblica di Brody. Una scena brutale che trasmette tutta l’incredulità e l’impotenza di Carrie, e che sarebbe narrativamente perfetta se non fosse per la moglie di Abu Nazir (la donna spunta fuori dal nulla per sputare in faccia a Brody e per avvolgergli il cappio intorno al collo: un po’ come quelle vecchie glorie che vengono chiamate a dare il calcio d’inizio di una partita).
Qual è il significato “politico” di questa scena? Come si collega alla scelta dell’Iran di ammorbidire le sue posizioni sul programma nucleare? Forse, come scrive Michael Cowen sul Guardian, l’idea di fondo è che la pace mondiale o la riconciliazione con paesi ostili sia possibile solo attraverso omicidi segreti e infiltrazioni che portano al regime change. Insomma, va bene la diplomazia, ma prima qualcuno deve morire.
Due critiche alla terza stagione, oltre a quelle fatte nel post precedente:
Nella quarta stagione non vedremo più la faccia afflitta e le moine ribelli di Dana Brody, né i suoi scazzi isterici con la madre (la produzione ha annunciato che entrambe le attrici, Morgan Saylor e Morena Baccarin, sono fuori dalla serie). Questo rende ancora più incomprensibile l’attenzione dedicata a Dana in alcune puntate della stagione. In un’intervista al Daily Beast Alex Gansa, uno dei creatori della serie, ha ammesso che è stato un errore.
Si possono fare considerazioni simili riguardo al Venezuela. Il pese latinoamericano viene tirato in ballo due volte all’inizio della terza stagione: è la destinazione dei soldi accumulati da Javadi alle spalle del regime di Teheran e il luogo dove viene tenuto prigioniero Brody per circa tre mesi. So che a molte persone non è piaciuta la terza puntata, Tower of David, quella tutta ambientata nello slum di Caracas. Io invece l’avevo trovata esaltante, soprattutto perché poco prima avevo letto questo articolo meraviglioso di Jon Lee Anderson (pubblicato anche da Internazionale). La trama venezuelana mi sembrava promettente e avrei voluto che fosse sviluppata, o che per lo meno non fosse accantonata così frettolosamente.
Verso la quarta stagione
Gli ultimi venti minuti di The Star sono abbastanza deludenti. Dopo averci sconvolto mostrandoci la morte di Brody in primo piano, con uno stacco di quattro mesi gli sceneggiatori ci trasportano in una situazione di serenità surreale. All’improvviso sembrano tutti felici: Carrie sarà la più giovane direttrice di un ufficio della Cia all’estero; Saul è fuori dalla Cia ma si capisce che rientrerà dalla finestra, già assunto da un’agenzia di sicurezza privata; lo spregiudicato Dar Adal in fondo è solo un vecchietto tranquillo che aspetta la pensione; il senatore Lockart ha tutto sotto controllo e il nome e il prestigio della Cia sono pienamente ristabiliti. L’unico aspetto controverso riguarda la maternità di Carrie.
A parte questo, The Star ha fatto quello che ci si aspetta da un episodio finale: ha voltato pagina (la morte di Brody costringerà gli sceneggiatori a cambiare profondamente la serie) e ha lasciato aperte delle piste per la prossima stagione. Dopo una pessima terza stagione, Homeland potrebbe tornare a essere quello che ci si aspetta da una serie del genere: un bel thriller sugli intrighi nell’intelligence del ventunesimo secolo.
Alessio Marchionna lavora a Internazionale dal 2009. Editor delle pagine delle inchieste, dei ritratti e dell’oroscopo. È su twitter: @alessiomarchio
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