30 aprile 2014 15:10

Una protesta contro Donald Sterling a Los Angeles, il 29 aprile. (Mario Anzuoni, Reuters/Contrasto)

Il 29 aprile Adam Silver, il commissioner dell’Nba, ha multato e radiato Donald Sterling, il proprietario dei Los Angeles Clippers. Sterling sarà squalificato a vita e multato di 2.5 milioni di dollari. Silver ha aggiunto che ha chiesto ai proprietari dell’Nba di avviare una mozione per costringere Donal Sterling a vendere il suo club.

La storia ormai è nota: il 25 aprile il sito di gossip americano Tmz ha pubblicato la ricostruzione audio di una telefonata in cui Sterling chiedeva alla sua fidanzata (di origini messicane) di non farsi vedere in giro con uomini afroamericani e, soprattutto, di non portarli con lei alle partite. Sembra che l’uomo d’affari facesse riferimento in particolare a Magic Johnson, ex stella dei Lakers, l’altra squadra di Los Angeles, che secondo alcune voci insistenti sarebbe interessato a comprare i Clippers.

La registrazione ha generato un’indignazione quasi unanime tra commentatori, i politici (a cominciare dal presidente Barack Obama), proprietari di altre squadre e giocatori, compresi quelli dei Clippers, che prima di una partita dei playoff hanno indossato la t-shirt al contrario. L’Nba ha avviato un’indagine lampo per verificare l’autenticità della telefonata e poco più di tre giorni dopo è arrivato l’annuncio di Adam Silver.

Adesso la palla, spiega il New York Times, passa ai 29 proprietari delle altre squadre, che dovranno decidere se confermare la radiazione di Sterling. Il regolamento dell’Nba prevede che ci voglia il voto favorevole dei tre quarti dei proprietari per decretare l’allontanamento di un altro membro del Board of governors. Si tratta di una formalità, perché nessuno sarà disposto a difendere il proprietario bianco razzista in una lega dove il 76 per cento dei giocatori sono afroamericani.

Un passato imbarazzante. Donald Sterling è indifendibile, senza dubbio. Ma in questi giorni c’è stato qualcuno che ha provato ad andare oltre l’indignazione a caldo, facendosi delle domande interessanti. A partire da Kareem Abdul-Jabbar, che in un bell’articolo su Time se l’è presa contro lo sdegno fine a se stesso, il buonismo e l’ipocrisia di molti di quelli che in questi giorni hanno commentato.

Donald Sterling ha comprato i Clippers nel 1981. In più di trent’anni da proprietario ha dimostrato più volte – e con i fatti, non con le parole come in questo caso – di essere un razzista. Nel 2006 il dipartimento di giustizia gli ha fatto causa, accusandolo di discriminazione razziale nella concessione di appartamenti per i senzatetto in alcuni quartieri di Los Angeles. Sembra che Sterling preferisse non affittare gli appartamenti ad afroamericani e ispanici (di cui diceva: “non fanno che bere, fumare e andarsene in giro per il quartiere”). In quel caso Sterling ha accettato un patteggiamento da 2,73 milioni di dollari.

Al tempo negli Stati Uniti se n’è parlato, ma con dei toni e un’intensità neanche paragonabili all’indignazione unanime di questi giorni. Perché? Perché Sterling si è salvato da un processo che aveva dato elementi sufficienti per considerarlo un razzista e adesso invece esce di scena a causa di una telefonata privata pubblicata illegalmente su un sito di gossip?

Forse una parte della risposta a questa domanda si trova in un pezzo di Frank Bruni sul New York Times, riassunta in una parola: soldi. “I Beatles cantavano che i soldi non possono comprare l’amore, ma evidentemente non hanno mai conosciuto Donald Sterling”. Secondo Bruni, Il proprietario dei Clippers è riuscito in un’impresa impossibile: comprare l’amore della comunità afroamericana di Los Angeles nonostante il suo razzismo ostentato. A metà maggio, infatti, Sterling avrebbe dovuto ricevere un premio – il terzo negli ultimi anni – dalla National association for the advancement of colored people (Naacp), una delle più importanti organizzazioni per la difesa dei diritti degli afroamericani. La cerimonia di consegna del premio era prevista per il 15 maggio.

Qualche giorno fa sul suo sito l’Naacp ha cancellato il nome di Sterling dal programma e ieri ha rilasciato questo comunicato: “Le rivelazioni su Sterling riportano a un periodo della storia americana in cui gli afroamericani erano segregati e discriminati. Sterling dovrà pagare un prezzo economico e sociale per il suo tentativo di riportare indietro l’orologio della storia riguardo ai rapporti razziali. E i soldi delle sue donazioni all’Naacp saranno restituiti”.

La generosità comprata. Frank Bruni spiega che in questi anni il proprietario dei Clippers ha ripulito la sua immagine pubblica finanziando molte associazioni afroamericane, non solo l’Naacp. Ha anche comprato degli spazi pubblicitari sui giornali per promuovere il Mese della storia afroamericana. Non c’è niente di sorprendente in tutto questo. È lo stesso meccanismo che porta l’industria del tabacco a finanziare gli istituti che si occupano della ricerca sul cancro.

Bruni lo spiega con un esempio: “Nel 2010 si è scoperto che David Koch, un politico e uomo d’affari con interessi nella raffinazione del petrolio, nella chimica e nel settore minerario, aveva donato decine di milioni di dollari alla ricerca contro il cancro. Inoltre faceva parte del National cancer advisory board e aveva ricevuto un premio dal centro di ricerca del Memorial Sloan-Kettering cancer center”. Sterling ha fatto lo stesso: ha usato i soldi per comprarsi un attestato di generosità che lo metteva a riparo dalla sue uscite razziste passate e future.

Perché stavolta non ha funzionato? Com’è possibile che nel giro di quattro giorni Sterling esca di scena sull’onda dell’indignazione collettiva? Forse adesso l’opinione pubblica statunitense è meno disposta ad accettare comportamenti razzisti rispetto a otto anni fa. Forse ha pesato il fatto che ci sia un afroamericano alla Casa Bianca.

O forse sono entrati in gioco fattori diversi, legati ad aspetti economici e sportivi. Probabilmente gli interessi di Sterling non coincidevano più con quelli dell’Nba, che ha approfittato di questa storia per allontanare un vecchio razzista e rimpiazzarlo con un proprietario giovane e simpatico (nel mondo giornalistico e sportivo molti spingono perché i Clippers finiscano nelle mani di Magic Johnson). In ogni caso, i trascorsi di Sterling, i suoi rapporti ambigui con l’Naacp e i comportamenti altrettanto ambigui dei mezzi d’informazione dimostrano che il razzismo è solo un pezzo della storia.

Alessio Marchionna lavora a Internazionale dal 2009. Editor delle pagine delle inchieste, dei ritratti e dell’oroscopo. È su twitter: @alessiomarchio

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