13 gennaio 2001 00:00

Ho accettato controvoglia l’invito a una colazione nella residenza dell’ambasciatore francese a Tel Aviv per festeggiare l’anno nuovo. Curiosità antropologica. Non capita tutti i giorni di vedere deputati e giornalisti di primo piano che si scambiano pettegolezzi. Ho riconosciuto un paio di deputati, gli altri me li ha indicati il mio collega Gideon Levy.

“È arrivato il momento di migliorare i miei rapporti con i rappresentanti stranieri, nel caso un giorno dovessi chiedere asilo”, ho detto scherzando a un’addetta dell’ambasciata, che però non ha sorriso. Devo aver fatto una battuta infelice. Tuttavia è innegabile che ultimamente gli attacchi della destra ai critici interni di Israele sono sempre più frequenti.

L’ultimo bersaglio sono le organizzazioni che criticano l’esercito. Avigdor Lieberman, ministro degli esteri e capo del partito promotore di questi provvedimenti antidemocratici, ha accusato anche Ha’aretz. Il suo partito è composto perlopiù da immigrati dall’ex Unione Sovietica.

Alla fine, dopo aver parlato con l’unico arabo israeliano presente (un ex consigliere del Vaticano), ho capito che si trattava di un incontro monoetnico. Nelle stesse ore, diversi miei amici – palestinesi, ebrei e stranieri – dovevano difendersi dai gas lacrimogeni sparati alla manifestazione di Bil’in contro l’occupazione.

Ripensandoci, potrei anche chiedere asilo politico a Bil’in. Se non fosse che la cittadina è sotto l’occupazione militare di Israele. Che è molto più duro con i palestinesi che con i critici interni.

*Traduzione di Nazzareno Mataldi.

Internazionale, numero 880, 14 gennaio 2011*

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