Alla stazione degli autobus di Ottawa una donna elegante dai capelli argentati si avvicina a una bambina e le dice con voce delicata: “Ti starai preparando per un lungo viaggio, se compri tutte queste caramelle”. La bambina la guarda ma rimane in silenzio. “Non sa che anch’io sono indigena”, mi dice Barbara Hill, la donna elegante.
Quel pomeriggio avevamo passato alcune ore insieme. C’era anche Larry Hill, suo marito da 36 anni. Larry è un ex vicecapo della polizia di Ottawa (non indigeno). Barbara mi ha raccontato di essere una indigena anishnabe. È il tipico esempio di donna che ha vissuto fuori dalle riserve. Quando era bambina si è trasferita con la famiglia in una città lontana, ed è diventata lo zimbello dei compagni di classe. Ancora oggi soffre per il distacco dalla famiglia allargata e dalle sue radici culturali.
A farci incontrare è stato M., il mio migliore amico di Gerusalemme. M. lavora come mediatore nelle conferenze per il dialogo tra arabi e israeliani (una fonte di continue liti tra noi). Di recente, in occasione di un evento organizzato dai pacifisti in Canada, M. ha incontrato Barbara e Larry. Barbara era stata invitata a tenere un discorso, dopo che gli arabi e gli israeliani si erano stancati di quei canadesi non indigeni che non sanno niente ma pensano di poter risolvere tutti i conflitti.
Barbara ha spiegato a quei canadesi che prima di offrirsi volontari per salvare il resto del mondo farebbero bene a guardare nel cortile di casa.
Internazionale, numero 922, 4 novembre 2011
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it