11 marzo 2013 09:00

Stavo intervistando un funzionario pubblico palestinese quando un uomo è entrato nel suo ufficio per fargli firmare un documento. “Non posso”, ha spiegato il funzionario, “sono in sciopero”. Come lui, migliaia di altri ingegneri del settore pubblico. Sono convinta che il funzionario abbia accettato di farsi intervistare da me perché voleva parlarmi di un nuovo piano per affrontare la “burocrazia dell’occupazione”. Nel suo ufficio arredato in modo semplice – senza alcun segno che indicasse il suo rango – mi ha spiegato che l’Autorità palestinese non sta rispettando una sentenza di tre anni fa, emessa da un alto tribunale palestinese, secondo cui gli ingegneri hanno diritto a un aumento di stipendio del 50 per cento. Per questo hanno promesso che il loro sciopero andrà avanti a oltranza.

Le proteste scoppiate negli ultimi mesi degli insegnanti e dei lavoratori del sistema sanitario si sono concluse quando sono stati stipulati degli accordi tra il governo palestinese e i rappresentanti sindacali dei dipendenti pubblici. Tuttavia, come mi ha raccontato un lavoratore di un altro ministero, nessuno conosce il contenuto di questi accordi. Entrambe le categorie hanno fatto sapere che potrebbero riprendere la protesta se i loro stipendi non saranno pagati integralmente e se le loro richieste di un aumento (adeguato all’impennata dei prezzi) non saranno accettate. Negli ultimi sei mesi i salari dei circa 160mila dipendenti pubblici della Cisgiordania e della Striscia di Gaza (compresi 60mila agenti delle forze di sicurezza) non sono mai stati pagati per intero e puntualmente. Molti, compresi insegnanti e poliziotti, non potevano permettersi il biglietto dei mezzi pubblici per andare al lavoro.

L’Autorità palestinese è in grossi guai finanziari, e su questo non c’è dubbio. I paesi arabi non hanno versato le somme promesse e anche altri donatori non hanno rispettato gli impegni presi. Israele ha congelato il pagamento di dazi doganali che dovrebbe trasferire ai palestinesi. Il governo di Hamas non condivide con quello di Ramallah le sue entrate, anche se è l’Autorità palestinese a pagare gli stipendi, l’assistenza medica e le visite in ospedale agli abitanti della Striscia di Gaza. L’evasione fiscale è galoppante, e al dissesto finanziario contribuiscono anche la distribuzione iniqua della ricchezza e le spese scriteriate dei funzionari di alto rango. Tuttavia la causa principale dei problemi economici palestinesi sono le limitazioni imposte dall’occupazione israeliana, che impediscono all’economia palestinese di espandersi e soddisfare le necessità degli individui e della società.

Questo tipo di notizie di solito non interessa agli israeliani. Eppure la settimana scorsa sono rimaste stupita nell’ascoltare l’opinione preconfezionata di alcuni corrispondenti militari israeliani. Secondo loro, l’ondata di proteste in Cisgiordania potrebbe degenerare perché gli agenti di polizia dell’Autorità palestinese non ricevono il loro salario e non svolgono il loro compito: impedire ai manifestanti di raggiungere i checkpoint, evitando che si scontrino con i militari israeliani.

Traduzione di Andrea Sparacino

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