26 gennaio 2017 11:30

Il capo del cartello di Sinaloa Joaquín Guzmán Loera, detto El Chapo, non si era ancora ripreso dal suo stupore quando la notte del 19 gennaio è sceso dall’aereo che da Ciudad Juárez, alla frontiera con il Messico, lo aveva portato all’aeroporto di MacArthur, a Long Island. Il boss sarà processato dal tribunale federale del distretto est di New York per i reati commessi durante almeno venticinque anni di carriera criminale nel traffico di droga.

Solo poche ore prima El Chapo, considerato dagli Stati Uniti il narcotrafficante più potente del mondo, riposava con una mascherina per dormire in una cella del carcere di massima sicurezza di Ciudad Juárez, dov’era detenuto. Confidava nel fatto che i ricorsi presentati dalla sua numerosa squadra di avvocati e le istanze davanti alla Corte interamericana dei diritti umani a Washington per le presunte violazioni dei diritti umani che avrebbe subìto in carcere sarebbero bastati per posticipare di anni la sua estradizione. Lui, inserito dalla rivista Forbes tra gli uomini più ricchi del pianeta, ne era così sicuro che il 20 gennaio, quando si è presentato davanti al tribunale di Brooklyn per la prima udienza, è stato rappresentato da un avvocato di ufficio.

Guzmán Loera, 59 anni, originario di una famiglia di contadini poveri dello stato di Sinaloa e con un’istruzione che si è fermata alla terza elementare, non voleva essere estradato negli Stati Uniti. Se c’è una cosa di cui hanno paura i narcotrafficanti messicani è proprio essere processati in quel paese. Sanno che in Messico è facile applicare la regola plata o plomo, soldi o pallottole, per assicurarsi l’impunità e una latitanza a tempo indeterminato, o per ottenere privilegi quando sono arrestati e incarcerati.

L’impero dei narcos
El Chapo lo sapeva meglio di chiunque altro: nel gennaio del 2001, durante l’amministrazione del presidente Vicente Fox, riuscì a evadere dal carcere di massima sicurezza di Puente Grande, nello stato di Jalisco. E nel luglio del 2015, durante il governo dell’attuale presidente Enrique Peña Nieto, è scappato dal penitenziario El Altiplano. Dopo la seconda evasione El Chapo è stato arrestato nel gennaio del 2016, sempre nello stato di Sinaloa. Il governo degli Stati Uniti ha subito chiesto la sua estradizione per i processi penali aperti contro di lui in sei tribunali federali del paese: California, Texas, Illinois, New Hampshire e due nello stato di New York.

Davanti al tribunale federale del distretto est di New York, Guzmán Loera dovrà affrontare almeno diciassette imputazioni per crimini commessi tra il 1989 e il 2014 che vanno dal traffico di centinaia di chili di cocaina, eroina, marijuana e metanfetamine negli Stati Uniti, al riciclaggio di denaro fino all’uso illegale di armi. Il voluminoso fascicolo criminale del tribunale di New York conferma le indagini sulla carriera criminale del Chapo e sul cartello di Sinaloa che porto avanti da dodici anni. I risultati del mio lavoro sono stati pubblicati nel 2010 nel libro intitolato Los señores del narco, tradotto in italiano con il titolo La terra dei narcos.

Secondo le accuse penali di cui ho copia, in trent’anni Guzmán Loera ha costruito un impero internazionale del narcotraffico grazie a diversi fattori. Il primo è l’alleanza stabilita alla fine degli anni settanta tra il cartello di Guadalajara, poi diventato di Sinaloa, e i potenti cartelli colombiani dell’epoca, soprattutto quello di Medellín guidato da Pablo Escobar Gaviria.

Con il declino dei cartelli colombiani, El Chapo ha cominciato a controllare lo spaccio di droga nelle principali città degli Stati Uniti

All’inizio il Messico era solo un luogo di passaggio per migliaia di tonnellate di cocaina che dovevano arrivare negli Stati Uniti, in particolare a Miami e a New York. “Insieme alla diffusione delle droghe nelle nostre comunità, è arrivata un’ondata di violenza e di criminalità”, dice la procura. I narcotrafficanti messicani, che fino a quel momento si occupavano solo di marijuana ed eroina, usavano le stesse rotte per aiutare i colombiani a trasportare la polvere bianca. El Chapo si guadagnò la simpatia dei colombiani per l’efficacia con cui gestiva il trasporto della droga e per i guadagni consegnati in tempo record. “La sua efficienza gli è valsa il soprannome di El Rápido”, si legge nel fascicolo.

“Mentre godeva della protezione delle forze dell’ordine (messicane), Guzmán ha affinato i suoi metodi operativi e ha modellato il moderno cartello di Sinaloa, rafforzando le alleanze con altri narcotrafficanti messicani” come Ismael Zambada García, ancora oggi latitante.

Il secondo fattore è che, con il declino dei cartelli colombiani, El Chapo e il cartello di Sinaloa non si sono limitati a trasportare la cocaina dal Messico agli Stati Uniti, ma hanno cominciato a controllare direttamente lo spaccio di droga per le strade delle principali città degli Stati Uniti, soppiantando i colombiani e raddoppiando i guadagni.

“Guzmán Loera ha usato questa ricchezza per aumentare il suo potere e quello del cartello di Sinaloa nel mondo del narcotraffico. In Messico ha rafforzato il controllo nei porti sull’Atlantico e sul Pacifico, e nelle città di frontiera non solo tra gli Stati Uniti e il Messico, ma anche tra il Messico e il Guatemala. Guzmán e il cartello di Sinaloa si sono espansi in altri paesi centroamericani, compresi l’Honduras, El Salvador, la Costa Rica e Panamá”.

Il terzo fattore è che Guzmán Loera e la sua organizzazione hanno spazzato via i cartelli colombiani dall’intera catena criminale, stabilendo un contatto diretto con i produttori di cocaina in Colombia, in Ecuador e in Venezuela. In questo modo hanno acquisito il controllo di tutta la filiera del narcotraffico, dalla produzione alla vendita diretta ai consumatori.

Il quarto fattore è che, grazie alla sua conoscenza profonda del settore, El Chapo si è adattato ai cambiamenti del mercato, trasformando il cartello di Sinaloa nel principale produttore di metanfetamine del mondo. “Come risultato Guzmán ha stabilito contatti con fonti di rifornimento di precursori chimici per la produzione di metanfetamine in Africa e in Asia, ma anche in Cina e in India”.

Il quinto fattore, decisivo per la costruzione del suo impero criminale, è la corruzione delle autorità. Secondo la procura, contemporaneamente all’aumento della presenza a livello internazionale, Guzmán Loera ha rafforzato il suo potere in Messico corrompendo funzionari pubblici di ogni livello, pagandoli con grosse mazzette in contanti, anche di milioni di dollari, per agevolare il transito di tonnellate di droga dal Sudamerica agli Stati Uniti. Nel fascicolo si afferma che questi pagamenti garantivano che la droga raggiungesse il territorio messicano. Poi le tonnellate di cocaina erano scortate direttamente da funzionari del governo messicano per arrivare senza contrattempi alla frontiera con gli Stati Uniti.

Potere intoccabile
Nelle accuse contro El Chapo il governo degli Stati Uniti ha riconosciuto per la prima volta che negli ultimi dieci anni di presunta “guerra contro le droghe” condotta dal Messico (che ha provocato più di 120mila vittime nel paese), il cartello di Sinaloa e il suo capo hanno avuto il sostegno di diverse istituzioni: durante la lotta per il controllo delle piazze con i gruppi rivali avrebbero evitato di perseguire il cartello di Sinaloa, consentendogli di conquistare i territori degli avversari.

Tenuto conto di questa rete di potere e corruzione, per Washington era chiaro che il governo messicano sarebbe stato incapace di mantenere Guzmán Loera dietro le sbarre. Secondo la procura, l’ultima evasione del boss, risalente al luglio del 2015, è stata “un esempio del potere dell’impero della droga di Guzmán e del suo controllo sui funzionari di governo, anche durante la sua detenzione”.

El Chapo ha capito che la sua carriera criminale si è definitivamente conclusa quando è arrivato all’aeroporto di Long Island ed è stato recluso al Metropolitan correctional center di Manhattan, un carcere di massima sicurezza dove, secondo il New York Times, i detenuti vivono in condizioni peggiori di quelli di Guantanamo. Ma Joaquín Guzmán Loera non dev’essere il solo a preoccuparsi del processo che lo attende davanti al tribunale federale di New York. Dovrebbero farlo anche centinaia di funzionari pubblici, politici messicani e imprenditori che negli ultimi venticinque anni hanno aiutato El Chapo a costruire il suo impero e la sua carriera criminale. L’era di Guzmán Loera potrebbe essere finita, ma finché queste reti di corruzione non saranno smantellate, il potere del cartello di Sinaloa resterà intoccabile in Messico e nel mondo.

(Traduzione di Francesca Rossetti)

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