05 marzo 2010 12:22

Giuro che ho fatto del mio meglio per seguire in tv l’incontro sulla sanità tra il presidente Barack Obama e alcuni parlamentari. Ma è stato un po’ come guardare una gara di sci di fondo alle Olimpiadi. Tutti sembrano impegnati al massimo e sai che qualcuno vincerà, ma prima di arrivare alla fine ti sei già addormentato.

Obama era il solito Obama: calmo, imperturbabile, documentato, pronto a discutere civilmente. I democratici erano quasi tutti insopportabili, una manica di incompetenti. I repubblicani se la sono cavata meglio di quanto mi aspettassi, anche se contestano la legge con il pretesto che è costosa. Evidentemente soffrono di amnesia: durante la presidenza di George W. Bush spendevano e spandevano senza scrupoli. Si sono miracolosamente convertiti al risparmio solo il 21 gennaio 2009.

Il no dei repubblicani

L’unica cosa utile che è emersa dall’incontro è una maggiore chiarezza su una questione spinosa. I democratici vogliono garantire la copertura sanitaria a 40 milioni di lavoratori poveri che oggi non ce l’hanno. I repubblicani no. Entrambi i partiti vogliono garantire a chi è già malato la possibilità di ottenere una polizza sanitaria, ma se passasse solo questo punto le compagnie d’assicurazione alzerebbero i prezzi lasciando senza copertura ancora più persone.

Quindi bisogna trovare un modo per indorargli la pillola con altri 40 milioni di clienti per compensare i costi. E solo con il piano di Obama è possibile farlo. I repubblicani non propongono alternative. Il disegno di legge di Obama è ragionevole e sensato. È carente solo dal punto di vista del controllo dei costi, ma su questo si può lavorare.

Cosa succederà adesso? È chiaro che i repubblicani non vogliono collaborare. Ma l’incontro ha dimostrato ancora una volta che Obama è una persona ragionevole e pronta ad ascoltare l’opposizione. Questo è importante. Secondo i sondaggi, se si chiede alla gente chi si sta sforzando di più per trovare la soluzione a un problema comune, le risposte a favore di Obama sono il doppio di quelle per i repubblicani. I consensi per il presidente sono ancora appena al di sotto del 50 per cento, che non è male in un periodo di recessione.

Obama potrebbe far approvare il suo piano alla camera e al senato con il metodo della “conciliazione”, che richiede solo la maggioranza di un voto in entrambe le camere. Ma per farlo ci vorrebbe una forte disciplina da parte dei democratici. Su questo, gli interessi di Obama e quelli del suo partito divergono. I democratici alla camera devono essere rieletti a novembre, alle elezioni di medio termine, mentre lui sarà in carica fino al 2012. Però dal punto di vista elettorale non fare nulla sarebbe dannoso come fare qualcosa di leggermente impopolare.

Un sistema contro i cambiamenti

Ho la sensazione che la proposta sarà approvata, ma non ci scommetterei molto. Molti dimenticano che il sistema politico statunitense è concepito in modo da impedire i cambiamenti. Perfino dopo l’assassinio di Kennedy, la legge sui diritti civili rimase bloccata per 37 giorni dall’ostruzionismo parlamentare. La proposta di legge sull’assistenza sanitaria di Bill Clinton non è mai stata approvata, e neanche la riforma della previdenza sociale di Bush. La colpa è del senato, con le sue misteriose procedure. Basta un senatore contrario per fermare tutto.

Gli stati rurali quasi disabitati hanno due senatori ciascuno, mentre la capitale del paese, Washington, non ne ha nessuno. La percentuale di popolazione rappresentata dai senatori favorevoli alla riforma sanitaria è molto superiore a quella rappresentata dai suoi oppositori. Come disse una volta Churchill: “Gli americani fanno sempre la cosa giusta dopo aver escluso tutte le alternative”. Ed è quello che volevano i padri fondatori: è la caratteristica del nostro sistema, non è un difetto.

Dopo la deprecabile presidenza “imperiale” di Bush, Obama sta cercando di ristabilire l’ordine e l’equilibrio costituzionale. Mentre l’ex vicepresidente Dick Cheney la disprezzava, Obama tiene molto alla legalità. La sua apparente passività in effetti è quello che un tempo si chiamava costituzionalismo. Se riuscirà a far approvare questa legge, nessuno penserà che l’ha imposta con la forza. Ha fatto quel che poteva.

Se imporrà le sanzioni all’Iran, nessuno potrà dire che non ha fatto il possibile per convincere Teheran. E questo alla lunga rafforzerà la sua posizione. Se non ci riuscirà e il prossimo novembre i repubblicani avranno più voti, potrà concentrarsi sul deficit e chiedere alla destra di proporre seri tagli alla spesa. Può dimostrare quanto è facile fare opposizione in tempi difficili e aspettare che la gente si accorga dell’estremismo antigovernativo della destra. È così che fece Roosevelt.

Obama guarda lontano: vede il futuro più di quanto sappia fare la maggior parte di noi, e l’America è un

paese con grandi capacità di ripresa, anche se oggi i suoi problemi sono gravi. Non è il momento di disperarsi né di essere troppo ottimisti. È il momento di osservare un leader che porta avanti il suo piano giorno dopo giorno. Una cosa che i nostri frettolosi mezzi d’informazione sembrano incapaci di vedere o capire.

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