29 aprile 2014 11:00

Gira in rete una crescente quantità di video che mostrano il meglio (e più frequentemente il peggio) di tutti noi. Ma di che si tratta? Leggete qui, e guardate i video.

C’è, per esempio, un breve video ceco che indaga le reazioni dei passanti al malessere di un tizio vestito da vagabondo e a quello del medesimo tizio vestito da dirigente, con tanto di copia di Forbes tra le mani: le persone non intervengono in un caso e nell’altro sì. Il fatto che questa lezioncina sull’indifferenza nei confronti dei vagabondi serva a vendere un periodico che si occupa di affari e finanza la rende, se possibile, ancora più disturbante.

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Torna su un’idea analoga, ma con diversi buoni motivi in più, questo video prodotto dalla New York City rescue mission. Tesi: i senzatetto sono invisibili, e nei loro panni perfino un parente stretto non viene riconosciuto.

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Se i due video precedenti vi hanno messo a disagio guardatevi quest’altro, che viene dalla Norvegia e, invece, potrebbe commuovervi: un ragazzino è solo, al freddo, a una fermata d’autobus, e…

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Video così si guadagnano migliaia di condivisioni in rete e appaiono sempre più spesso su YouTube: provate a cercare “social experiment”. Il primo che ricordo di aver visto mostra il famosissimo violinista Joshua Bell che, in una mattina di gennaio, suona Bach per quaranta minuti alla stazione della metropolitana.

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Davanti a Bell passano centinaia di persone. Solo sei si fermano ad ascoltare. Venti gli danno qualche soldo e lui mette insieme 32 dollari, eppure poche sere prima ha fatto il tutto esaurito a Boston: ingressi a 100 dollari, tutti in piedi ad applaudire. L’articolo che racconta questa storia si intitola [Pearls before breakfast][1] ed esce sul Washington Post. L’autore, Gene Weingarten, ci si guadagna il premio Pulitzer nel 2008.

Gli “esperimenti sociali” in video titillano, nel bene o nel male, e a volte con espedienti discutibili, il nostro voyeurismo e le nostre emozioni. Alcuni sono struggenti, pochi sono divertenti, molti sono sgradevoli. Eppure il loro stesso moltiplicarsi ci dice che, in un modo o nell’altro, coinvolgono.

Per capire come e perché, può essere interessante avere qualche coordinata in più. E, dunque, di che roba si tratta, e da dove arriva? In realtà, ci sono precedenti di due tipi: il primo rimanda alle scienze sociali, il secondo all’intrattenimento televisivo.

Parliamo del primo. La psicologia sociale studia l’interazione tra individui, gruppi e contesti ambientali e ha una forte componente sperimentale. La definizione e la modalità del social experiment vengono da lì: persone inconsapevoli sono coinvolte nella messa in scena di una situazione più o meno estrema e il ricercatore registra le loro reazioni.

Uno degli esperimenti più noti viene attuato nel 1961 da Stanley Milgram, lo stesso che mette [alla prova la teoria][2] di sei gradi di separazione.

[L’esperimento di Milgram][3] ha come oggetto l’obbedienza all’autorità. È una faccenda cruenta, a base di (finte, per fortuna) scariche elettriche, che i soggetti dell’esperimento, incitati dallo sperimentatore, devono infliggere a una persona ogni volta che questa sbaglia nello svolgere un compito (in realtà si tratta di un attore che simula dolore, e alla fine finge di svenire). Qui trovate una [spiegazione dettagliata][4].

L’esperimento è noto perché la maggior parte dei partecipanti ignora il dolore della vittima e continua a infliggere scariche elettriche come prescritto e previsto.

Un esperimento analogo, ancora più noto, è lo Stanford prison experiment che si svolge nel 1971, nel seminterrato dell’istituto di psicologia dell’università di Stanford, modificato per somigliare a un carcere. Lo psicologo Philip Zimbardo divide 24 dei suoi studenti, selezionati tra i più sani ed equilibrati, in “guardie” e “detenuti”.

L’esperimento vuole indagare le dinamiche dell’abuso di potere e dovrebbe durare due settimane. Viene interrotto dopo sei giorni perché le persone entrano nel ruolo al di là di ogni aspettativa e la situazione degenera troppo in fretta. Qui la spiegazione dettagliata dell’esperimento. Qui [il sito dedicato][5]. Ecco alcune riprese originali.

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La vicenda viene raccontata in diversi film (tra questi [The experiment][6] di Paul Scheuring, con Adrien Brody).

Ed eccoci alla componente di intrattenimento. Già a partire dalle fine degli anni quaranta negli Stati Uniti ha molto successo un format televisivo basato sulla candid camera (telecamera nascosta): si tratta di situazioni curiose ma tutto sommato inoffensive che coinvolgono persone comuni, le cui reazioni vengono filmate e riproposte con l’accompagnamento di risate registrate. Guardatevi l’episodio [Car without a motor][7]. Nanny Loy importa qui da noi il format nel 1964, con la trasmissione Specchio segreto, aggiungendo una componente surreale, che va oltre la pura spettacolarità. Guardate l’episodio [della commessa legata][8]. O l’episodio della scala mobile.

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A oggi YouTube propone quasi 500mila filmati cercando “social experiment”: sesso, disagio, abbandono, indifferenza, violenza sono i temi più ricorrenti. Molti sono prodotti da singoli utenti che puntano sul voyeurismo e l’indignazione a buon mercato per guadagnarsi un facile successo in rete.

A questi vanno aggiunti i video di prankvertising: prank significa scherzo, ma si tratta spesso di scherzi discutibili, che hanno l’obiettivo di suscitare attenzione attorno a un prodotto o a un’offerta. Ecco il [finto rapimento di un neonato][9] dal passeggino. Ecco [Test drive][10], per la Pepsi Cola. Ma c’è anche, per esempio, un

poltergeist nella caffetteria.

Ormai dovrebbe essere piuttosto chiaro: la maggior parte delle persone, se messa nella condizione di dare il peggio (oppure il meglio) di sé, lo farà e, se messa in una situazione spaventosa, si spaventerà. Spettacolarità, voyeurismo, emozione e immedesimazione garantiranno a ogni video una dose di successo in rete.

Ma quando ‘sta roba esce dal contesto (in teoria, piuttosto sorvegliato) dei laboratori, e quando svanisce la bonarietà delle vecchie candid camera televisive, qual è il limite? Qualcuno sta cominciando a chiederselo. E ci sarebbe anche da chiedersi cosa succede se, magari, un malcapitato reagisce in maniera esagerata, facendosi male, infuriandosi o pigliandosi un coccolone.

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