Questa è l’ultima puntata. Un paio di settimane fa, a partire da un innocentissimo quesito sui nomi e l’atto del nominare, e mossa da una di quelle curiosità che sembrano tanto più urgenti perché non hanno un motivo pratico, mi sono lasciata prendere da una bizzarra vertigine classificatoria e ho consultato una quantità di fonti (cosa che, ovviamente, non mi mette al riparo dalla possibilità di aver fatto qualche errore).

Risultato: cinque post sui nomi. Questo sui soprannomi e i due precedenti, usciti su Internazionale (Dare nomi, sembra facile e Chiamare i prodotti per nome), più uno sugli pseudonimi e uno sull’atto del nominare, usciti su Nuovoeutile. E, insomma: spero che vi lasciate prendere dalla curiosità anche voi, perché il mondo dei nomi è davvero pieno di sorprese.

Per distinguersi Questa è una storia singolare: dal 2009 a Chioggia i soprannomi sono ufficializzati grazie a un decreto ministeriale nel registro dell’anagrafe dei detti. Motivo: nella cittadina ci sono due cognomi dominanti, e oltre diecimila cittadini si chiamano Boscolo (40 pagine di elenco telefonico) o Tiozzo. Risultato: infiniti casi di omonimia, e innumerevoli disguidi.

Oggi a Chioggia i soprannomi appaiono sulle patenti, le carte d’identità, le tessere sanitarie. Ci sono i Forcola, i Bachetto, gli Anzoletti, i Gioachina, i Cegion, i Bariga (tutti Boscolo) e i Caenazzo, i Fasiolo, i Napoli, i Campanaro, i Brasiola, i Pagio (tutti Tiozzo). Del resto, come ricorda la Treccani, a soprannomi risalgono i cognomina latini (per esempio, Cicero “quello dal cece”, Naso “nasuto”, Flaccus “dalle orecchie flaccide”, Verres “cinghiale”, eccetera), e soprannomi in origine sono gran parte dei nostri cognomi (per esempio, Borboni, Nasini, Fabbri, Bevilacqua, Leoni, Passerini, Meloni).

Ricordo familiare: il soprannome dell’ampia parentela di mia nonna (siamo in quel di Magenta) era Tividin: i tiepidini, per via del fatto che era gente né troppo né troppo poco di chiesa. Il soprannome veniva declinato: el Pepp Tividin, l’Alfunsina Tividina.

Per celebrare o vituperare Dall’imperatore di Russia Pietro il Grande (per inciso: leggo che era anche alto circa due metri) a Lorenzo il Magnifico, che peraltro condivide questo appellativo con il sultano ottomano Solimano I. Da Alessandro il Grande (detto anche il Conquistatore, o il Macedone) a Guglielmo il Conquistatore (Guglielmo I, re d’Inghilterra poco dopo l’anno Mille).

Se gli appellativi distinguono, gli epiteti connotano. Eccone alcuni, antichi e moderni: l’astuto Ulisse e Achille piè veloce. Ma ci sono anche Ivan il Terribile, e Maria la Sanguinaria (Maria I d’Inghilterra, detta anche la Cattolica. Il motivo dei due appellativi è il medesimo: distrugge l’opposizione protestante).

E poi: Palmiro Togliatti è il Migliore; Mina, la Tigre di Cremona; e Milva, la Pantera di Goro (be’, abbiate pazienza: erano gli anni sessanta). Famosi gli epiteti sportivi del giornalista Gianni Brera (Gigi Riva “rombo di tuono”, Gianni Rivera “l’abatino”). Sull’impiego intensivo di epiteti (Psiconano, Gargamella, l’Ebetino) è costruita la parte più sanguigna della retorica di Beppe Grillo.

Per vendersi In un mondo in cui aziende e prodotti tendono a personificarsi, non è sorprendente che abbiano anche dei soprannomi. Ed eccovi un’altra storia curiosa: negli Stati Uniti e non solo, CocaCola è Coke, Federal Express è FedEx e Chevrolet è Chevy, sia nella parlata comune sia in diversi romanzi e canzoni.

Non c’è niente di male, anzi: un soprannome esprime familiarità e affezione per il prodotto o l’azienda. Ma ai dirigenti di General Motors, che controlla Chevrolet, la cosa non piace perché “toglie consistenza alla marca”. Così, nel 2010 parte un’assurda campagna di divieti contro “Chevy”. Se ne occupa, sghignazzando, perfino il New York Times.

Per delinquere Leggete l’articolo di Roberto Saviano sui soprannomi della camorra: senza, nel mondo criminale non esisti. Ed è incredibile come si accettino i soprannomi più ridicoli, feroci e offensivi. Un soprannome è in qualche modo un destino. Dai grandi capi di camorra ai piccoli gregari, tutti hanno soprannomi, o meglio, tutti hanno “contronomi”.

Per combattere Sandokan, Ursus, Falco, Camoscino, Lupo, Fulmine, Dindòn, Miniga, Carota, Ciuch, Athos: sono i nomi di battaglia dei partigiani. La scelta di un nuovo nome serve non solo a proteggere identità e familiari, ma si configura come un rito di iniziazione: un battesimo.

A Cuba, Ernesto Guevara diventa il “Che”. Quando era ragazzo e giocava a rugby, invece, era soprannominato Fuser, la contrazione di Furibondo Serna, il suo grido d’attacco. Ma c’è anche il generale di brigata Harry Antonio Villega Tamayos, detto Pombo, Eloy Gutierrez Galloyo, detto El Gallego, Gino Doné Paro, tenente medico, detto “el Italiano”.

Lev Davidovich Bronstein, che noi conosciamo come Leon Trotsky, adotta in realtà molti pseudonimi, ma viene soprannominato “penna” perché sa scrivere bene. Josif Vissarionovic Dzugasvili si fa chiamare Stalin da stahl, acciaio, mentre vive in clandestinità durante lo zarismo. In precedenza era stato Koba, Soselo, Ivanov.

Lenin è il più noto tra le diverse decine (qualcuno dice una settantina, qualcun altro addirittura 160, ma non sono riuscita a trovare una lista completa e ho mollato il colpo) di pseudonimi utilizzati da Vladimir Ilič Uljanov. Il quale però, durante la sua permanenza a Capri, viene soprannominato “signor drin drin” dai pescatori.

Si accontenta di due soli nomi di battaglia (Yasser Arafat e Abu Ammar) il palestinese Mohammed Abd ar Rauf. Basta un singolo nome di battaglia (Pancho Villa) all’eroe popolare della rivoluzione messicana Doroteo Arango Aràmbula.

Infine: non c’è tuttora certezza sulla reale identità anagrafica del subcomandante Marcos, anche se il governo messicano sostiene di sapere chi è. In compenso nel maggio del 2014 Marcos ha personalmente comunicato di essere morto.

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