10 novembre 2014 15:20

Niente da fare: il modo più semplice, più rapido, più divertente, più efficace e (quasi) infallibile per trovare buone risposte è farsi buone domande. “Giudicate un uomo dalle sue domande più che dalle sue risposte”, dice Voltaire.

Farsi domande è un atto creativo: l’espressione di un atteggiamento che comprende curiosità, pensiero indipendente, apertura mentale, capacità di negoziare con il caos e l’incertezza.

Se per caso avete voglia di tuffarvi nella sterminata produzione internazionale di testi per l’azienda volti a migliorare la capacità di problem finding (cioè saper scoprire problemi) di problem shaping o problem setting (cioè saper configurare i problemi correttamente) e, finalmente, di problem solving (il saper trovare soluzioni) scoprirete che molte delle tecniche proposte hanno a che vedere con il farsi domande.

Trovano problemi da risolvere facendosi le giuste domande gli innovatori seriali.

Insomma, santa polenta!, fatevi delle domande. Sempre. Avete notato che un punto interrogativo a testa in giù somiglia a un amo? Bene: buttatelo nel mare del possibile, e vedrete che qualcosa di interessante ci resterà attaccato.

Se per caso vi state chiedendo quali domande conviene farsi (anche questa è una buona domanda), ecco qui:

  • Domande ingenue, le migliori per trovare nuove prospettive: che cos’è? Come funziona? Perché succede? Come comincia? Che senso ha? Quanto mi piace? … e perché?
  • Domande paradossali, ideali per cambiare punto di vista: è il magico what if, “che cosa succederebbe se…” (fosse più pesante? Più leggero? Capovolto? Peloso? Se costasse il doppio, oppure niente? Se avesse le ali… se fosse una pizza? Un cane? Che cosa succederebbe se la forza di gravità sulla Terra raddoppiasse? Se sparisse il denaro? Se fossimo alti tre metri?).
  • Domande ossessive, perfette per ottimizzare o finalizzare: si può fare meglio? In meno tempo? Con costi (economici, ambientali, umani…) inferiori? È utile? È efficace? È coerente? È equilibrato? O c’è qualcosa che non va? E che cos’è?
  • Domande metodologiche: qual è l’obiettivo? Qual è il prossimo passo? Quali sono i rischi e le opportunità? Quali sono i vincoli? Quali sono le risorse necessarie?
  • Domande oniriche, ottime per trovare soluzioni inaspettate. Si tratta di andarsene a dormire avendo chiare tutte le coordinate di un quesito. Nel sonno, il cervello continua a lavorare per conto suo e può trovare risposte. Per esempio, il chimico Friedrich August Kekulé si domanda (siamo nella seconda metà dell’ottocento) come accidenti è fatta la molecola del benzene. Ci lavora indefessamente, senza risultato. E finalmente, come racconta Scientific American, una notte, mentre dorme, trova la soluzione nel sogno di un serpente che si morde la coda.
  • Domande altrui, perfette quando avete finito le vostre: è un metodo proiettivo che funziona piuttosto bene. Pensate a una persona brillante o saggia che conoscete, mettetevi nei suoi panni e chiedetevi che cosa quella persona, se fosse al vostro posto, si domanderebbe.
  • Occhio. Domande da non fare (specie se siete a una conferenza, ma non solo): le elenca Times Higher Education, e ve le ripropongo perché sono anche domande da non farsi. Domande di cortesia (sono inconsistenti), domande vaghe del tipo “rispondi quel che vuoi”, domande per attirare l’attenzione su di sé (lo scopo è pavoneggiarsi, non certo avere una risposta), affermazioni speculative (in realtà si tratta di sproloqui non pertinenti), domande ostinate (esprimono irritazione in forma di quesito), domande per dimostrare di saperla lunga (be’, queste non sono neanche domande, ma qualcos’altro).

Ah: infine, un piccolo trucco. Per farvi delle buone domande, dovete dimenticarvi – ma sul serio – tutte le risposte che presumete di conoscere già.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it