02 maggio 2017 12:11

Una “conseguenza inattesa” è in sé qualcosa di controintuitivo: noi compiamo intenzionalmente certi atti proprio perché vogliamo ottenere certi risultati, no? Eppure, non sempre le cose vanno come ci aspettiamo o speriamo. Qualche volta le cose vanno perfino meglio di quanto pensassimo. Qualche volta vanno diversamente, e qualche altra vanno proprio peggio.

Le conseguenze inattese sono una possibilità reale quando la situazione su cui agiscono le persone, le imprese o i governi è dinamica e comprende molte variabili, difficili da analizzare o misurare. O quando la fretta di ottenere risultati immediati fa trascurare i rischi di lungo periodo. O quando la stupidità umana ci si mette di mezzo.

A parlare estesamente di conseguenze inattese, rendendo popolare la definizione, è stato nel secolo scorso un brillante sociologo americano, Robert Merton. Lo stesso che ci ha regalato un altro paio di chiavi di lettura utili a decifrare il divenire della cose: l’idea di profezia che si autoavvera (self-fulfilling prophecy) e il concetto di modello di ruolo (role model).

Positivamente inaspettato
Quando le cose vanno meglio del previsto (e per fortuna può succedere), parliamo di serendipità: ottenere qualcosa di totalmente inaspettato. È Cristoforo Colombo che trova l’America mentre cerca una rotta per le Indie. È Alexander Fleming che scopre la penicillina, il primo antibiotico e uno dei maggiori farmaci salva vita, imbattendosi in una muffa, il penicillium notatum, che ha distrutto una delle colture di batteri su cui stava lavorando.

Ma è anche, nel pieno della guerra fredda, la decisione di creare Arpanet, una rete di comunicazione tra scienziati impegnati a contrastare i russi nella corsa per la conquista dello spazio. Nel corso di un quarantennio, e al di là di ogni possibile previsione, Arpanet si evolverà fino a diventare internet, lo spazio virtuale in cui ci stiamo incontrando adesso.

O è la storia di un padrone di casa che aumenta la pigione ai due inquilini. La conseguenza inattesa è l’invenzione di Airbnb da parte dei due che, per far quadrare i conti, decidono di affittare i tre materassi ad aria che hanno in casa (ecco il perché del prefisso Air).

Ed è la storia di una mia conoscente che, tornando dall’India, rinuncia dietro un piccolo compenso offerto dalla compagnia aerea a prendere un volo in overbooking, e sul volo successivo incontra l’uomo che diventerà suo marito.

L’effetto cobra
Qualche altra volta le cose vanno diversamente dalle previsioni, e il risultato positivo atteso non si verifica, o è di breve durata, o si porta dietro effetti collaterali negativi. Gli esempi sono infiniti, e alcuni risultano davvero curiosi.

Per esempio: siamo nell’India coloniale e il governo è preoccupato per il numero eccessivo di cobra in circolazione. Quindi offre un premio a chiunque ne uccida uno. Risultato: all’inizio la popolazione dei cobra diminuisce, ma poi le persone cominciano ad allevare cobra per poi ucciderli e guadagnarsi la taglia. Quando il governo se ne accorge, sospende i pagamenti. Dunque i cobra non hanno più valore, e chi li allevava li lascia liberi. In conclusione, il numero dei cobra aumenta e la storia diventa nota come effetto cobra.

Oppure: negli anni trenta, il proibizionismo non riesce più di tanto a ridurre il consumo di alcol negli Stati Uniti, ma in compenso accresce enormemente gli affari del crimine organizzato (tutto ciò non ha insegnato nulla ai molti che continuano a sostenere logiche proibizioniste).

Qualche volta quelle che sulla carta sembrano decisioni ottime o necessarie producono risultati perversi

Ma c’è anche la storia dell’Airbus 380, progettato per essere molto silenzioso e migliorare così il confort dei passeggeri in volo. Il problema è che, silenziato l’aereo, si sentono molto di più rumori ancora più fastidiosi: lo sciacquone del bagno, bimbi che piangono, gente che russa…

Oppure: le password complicate dovrebbero rendere più sicura la navigazione, e in effetti è così. Ma, poiché sono complicate, le persone fanno fatica a ricordarle, quindi le appuntano su bigliettini che lasciano in giro, o le scrivono tutte assieme in un unico documento, riducendo così la sicurezza.

Qualche volta, infine, quelle che sulla carta sembrano decisioni ottime o necessarie producono risultati perversi. C’è, per esempio, l’effetto Streisand: siamo nel 2013, e Barbra Streisand sporge causa contro un fotografo che, effettuando riprese dall’alto per motivi scientifici (sta studiando l’erosione costiera), ha scattato un’immagine della sua villa e l’ha pubblicata sul proprio sito. Anche se la foto l’hanno vista solo sei persone, Streisand accusa il fotografo di violazione della privacy. Risultato: la notizia (foto compresa) fa il giro del mondo. Streisand, tra l’altro, perde la causa.

Oppure: siamo in Giappone, e il whisky Johnnie Walker Black Label è molto apprezzato e venduto, perché ben collocato, come tipico dono aziendale, all’interno della complessa ritualità nazionale dei regali. L’importatore pensa bene di abbassare il prezzo per conquistare ulteriori quote di mercato e sbaragliare i concorrenti. Risultato: con un prezzo inferiore la qualità percepita crolla, e con quella crollano l’immagine del prodotto e le vendite.

Sulle possibili conseguenze inattese dell’intelligenza artificiale si è di recente pronunciato Stephen Hawking, con Elon Musk e molti altri. Lo stesso discorso vale per la robotizzazione.

Infine: quando a decidere e ad agire non sono i singoli, ma i governi, si tratti di tasse, politica estera, sviluppo economico, immigrazione, le conseguenze inattese possono essere drammatiche e di lungo periodo. È un motivo in più per diffidare delle soluzioni sbrigative e ovvie in apparenza. Ma solo in apparenza.

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