05 giugno 2018 12:24

Rigenerazione è una parola magnifica e piena di promesse: cambiamento e riscatto, rinascita, redenzione e rinnovamento, risveglio. Poiché ci regala una prospettiva diversa e speranzosa, sarebbe una buona cosa se tutti noi riuscissimo ad appropriarcene e a inserirla, con tutti i suoi significati fertili, nel nostro paesaggio mentale e, magari, ad arricchirne i nostri talenti progettuali.

Be’, intanto ve la racconto.

Nel concetto di rigenerazione c’è un presupposto controintuitivo: che ciò che si è logorato o è diventato obsoleto, o che è stato danneggiato severamente, possa tornare integro attraverso un processo che ne riattiva le caratteristiche primarie virtuose, e può addirittura migliorarle.

È qualcosa di diverso sia dal rinnovamento (che implica l’aggiunta di un che di nuovo), sia dalla manutenzione, pratica comunque necessaria ma meno ambiziosa, sia dalla rinascita (che implica, be’, una morte antecedente. Cosa di cui di solito si fa volentieri a meno).

Si possono rigenerare le foreste degradate, i quartieri e le città

Come resilienza (la capacità di assorbire gli urti senza rompersi, mantenendo intatta la funzionalità) anche rigenerazione è un termine impiegato nella tecnologia dei materiali: si possono rigenerare, per esempio, la gomma e gli oli combustibili. Ma si possono rigenerare anche i segnali emessi dai circuiti elettronici (non chiedetemi come si fa), o le pellicole dei vecchi film, restituendo loro lo splendore perduto.

La cosa interessante è che la rigenerazione riguarda non solo roba inanimata, ma anche gli organismi. La cosa ancora più interessante è che può riguardare i costrutti sociali e le persone.

La capacità di rigenerazione dei viventi è sorprendente: per esempio, diverse piante riescono a rigenerarsi interamente a partire da un frammento (perfino io ce l’ho fatta, a rigenerare un bellissimo cespuglio di rosa rossa da una talea).

Ramarri e stelle marine, lo racconta Focus, sono in grado di rigenerare zampe che sono state amputate. Le lucertole, lo sa chi ha passato un po’ di tempo in campagna, possono rigenerare la coda. C’è una salamandra messicana che, oltre alle zampe, sa rigenerare parti del proprio cervello. Ma, più modestamente, la fisiologia di una quantità di organismi viventi, noi compresi, prevede che si rigenerino pelle e peli, ossa, unghie e (chi ce le ha) squame e piume.

La rigenerazione di ciò che è vivo può essere favorita. Si possono rigenerare le foreste degradate: è un’operazione più complessa del semplice piantare alberi in un’area che ne è rimasta priva, e chiede che siano riattivati i cicli biologici e coinvolte le comunità locali, ma sembra proprio che i risultati siano migliori e più duraturi. Lo si sta facendo in diverse parti del mondo, e questa è un’ottima notizia. Si possono rigenerare i terreni, combattendo anche il cambiamento climatico.

Si possono rigenerare i quartieri e le città, valorizzandone il capitale sociale e territoriale. Bisogna realizzare un non facile equilibrio tra interventi istituzionali e spontanei, tra innovazione e memoria. E – fondamentale anche in questo caso – bisogna lavorare in accordo con le comunità: le politiche territoriali non riguardano mai solo i territori, ma anche e in primo luogo le persone che ci vivono.

Parola d’ordine per il futuro
Si tratta, insomma, della versione virtuosa della gentrificazione, che migliora sì i quartieri e riduce la criminalità, ma ne espelle gli abitanti più poveri e i gruppi più vulnerabili, e arricchisce gli speculatori edilizi. Per esempio, ho visto di recente un esempio bellissimo e visionario di rigenerazione urbana a Napoli.

Rigenerazione potrebbe diventare la parola d’ordine del futuro: va oltre il concetto di sostenibilità perché non riguarda solo il non fare danni, ma anche il far sì che danni precedenti siano riparati. Provate a dare un’occhiata ai progetti di rigenerazione che hanno vinto lo Spring prize: vanno dai Paesi Bassi alla Malesia, dall’Etiopia al Nicaragua.

La rigenerazione è anche una delle nuove frontiere della medicina (se cercate regenerative medicine trovate centinaia di articoli recenti). E forse potrebbe essere la nuova frontiera della progettualità sociale e politica, se solo i termini del dibattito riuscissero a spostarsi dal breve al lungo termine, a considerare la complessità come valore e a superare la tentazione del nuovismo più spericolato.

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