20 gennaio 2020 14:17

Sembra che ormai le emozioni siano diventate non il principale, ma addirittura l’unico strumento disponibile per persuadere, catturandone l’attenzione, e di conseguenza il consenso, pubblici disorientati. E definitivamente sovrastati dall’eccesso di stimoli, di problemi e di complessità.

Sono pubblici fluttuanti, permeabili e fragili, perché spesso costituiti da una somma di solitudini.

Chiariamoci. Non è certo una novità il fatto che per proporre qualsiasi idea, per incentivare a prendere qualsiasi decisione (e anche per vendere qualsiasi cosa) sia non solo opportuno, ma addirittura indispensabile agire anche sulla leva emozionale.

La somma delle solitudini
Del resto, già un paio di millenni prima che il marketing stesso, e il marketing politico, fossero inventati, Cicerone affermava che il bravo oratore deve “docere o probare, delectare, movere o flectere”.

Cioè: per orientare il pubblico e persuaderlo, l’oratore dev’essere capace non solo di spiegare, ma anche di intrattenere e di coinvolgere emotivamente.

Ancora prima (e qui siamo nel 329 avanti Cristo), Aristotele diceva che la persuasione passa dall’ethos (la credibilità di chi parla), dal logos (la chiarezza e la verosimiglianza del discorso) e dal pathos: la capacità di suscitare emozioni.

Altro che storytelling come invenzione contemporanea.

Però.

Però sembra che oggi il suscitare emozioni si vada trasformando, da mezzo indispensabile qual era, a obiettivo ultimo (e contenuto unico) della comunicazione persuasiva. In altre parole: ti emoziono (cioè ti impaurisco, ti faccio arrabbiare, ti intenerisco, ti scandalizzo) per convincerti a fare qualcosa, senza neanche prendermi la briga di provare a spiegarti bene che cosa, e perché.

Farai quel che ti dico perché te lo dico io. E io sono autorevole in quanto ti emoziono. Sono credibile e autentico in quanto ti emoziono. Amen.

“La nausea politica. Quando i sentimenti sostituiscono i fatti”, titola l’Economist, a partire dalle considerazioni dell’economista politico William Davies.

C’è un pubblico della paura e della rabbia. C’è un pubblico del rancore e della rivalsa. Inutile insistere con discorsi solo razionali

Seguono alcune considerazioni che meritano di essere riportate: le società europee hanno smesso non solo di essere razionali, ma perfino di agire come se, almeno un po’, lo fossero. L’autorevolezza e la credibilità degli esperti, capaci di distinguere tra oggettività fattuale e soggettività emotiva, sono collassate. Per esempio, non importa se la situazione generale è migliorata rispetto al passato, e se questo fatto è incontrovertibile perché attestato dai numeri: dati e fatti non contano se non corrispondono all’esperienza soggettiva e (rieccoci alla somma di solitudini) individuale, che trova in sé la sua sola misura.

Aggiungo che certe emozioni sembrano diventare esse stesse uno strumento per segmentare i pubblici. Cioè, per identificarne una o più caratteristiche o bisogni salienti, allo scopo di costruirci attorno messaggi e appelli mirati.

C’è un pubblico della paura e della rabbia. C’è un pubblico del rancore e della rivalsa. C’è un pubblico della diffidenza e della paranoia. Ce n’è uno della tristezza e della disillusione.

Insistere con i discorsi puramente razionali non basta a contrastare questa tendenza né a conquistare quei pubblici. L’approccio tecnocratico è fallimentare perché non è empatico, ignora l’esperienza delle persone, ne trascura i punti fragili e dolenti. Sembra marziano.

E quindi non risulta, in fin dei conti, né autorevole né credibile.

C’è un altro elemento degno di nota: i discorsi razionali si sviluppano attraverso verbalizzazioni articolate (e lente) che chiedono un’attenzione sostenuta nel tempo, e la cui componente visiva è scarna: sono fatti di espressioni pensose e gestualità contenuta. Con il sostegno, ben che vada, di serie di dati, e di immagini che sono curve e istogrammi.

È tutta roba che mal si veicola, per esempio, sui social media, che chiedono messaggi veloci, che si capiscano subito, con una componente visiva intuitiva e d’impatto.

Una missione quasi impossibile
Una soluzione logica sembrerebbe l’aggiunta di una dose di emozione agli appelli razionali, pagando il pedaggio non indifferente costituito dall’imperativo di comunicare in modo, oltre che più empatico, anche semplice e chiaro. Non è una missione impossibile, ma quasi. Se il gioco è a chi emoziona di più, qualsiasi appello che conserva una componente razionale non può che risultare perdente rispetto a uno che è solo emozionale.

Un’altra soluzione, più brillante e controintuitiva, consiste nel provare a cambiare le regole del gioco, facendo leva sui pubblici e sui linguaggi. Questo significa in primo luogo segmentare un nuovo, diverso pubblico (e prima ancora andare a vedere se effettivamente esiste, e quanto è grande). Rivalutare l’idea dell’incontro, restituendo alla “somma di solitudini” un senso di comunità, di contiguità e di condivisione. Con queste, un po’ di calore e di sollievo.

Significa in secondo luogo proporre, prima ancora che discorsi alternativi, linguaggi alternativi, più gentili e accoglienti. Una nuova tavolozza emozionale.L’operazione può ottenere un successo che va al di là delle aspettative nella misura in cui il linguaggio forte ed estremo, che è proprio delle emozioni forti ed estreme, a lungo andare risulta logorante, e a sua volta si logora in fretta.

Significa, in terzo luogo, spostare il luogo in cui nascono i discorsi dal contesto isterico e immateriale dei social media al contesto reale delle strade, delle piazze e delle città.

Non è un progetto politico. È un progetto linguistico, emozionale e comportamentale. Riguarda, prima ancora che i contenuti, i modi in cui quei contenuti vengono espressi. Proprio per questo potrebbe essere dirompente (anzi: gentilmente dirompente).

Solo dopo aver cambiato linguaggio, dopo avere trovato pubblico e contesti differenti, e quindi dopo aver tolto spazio alla retorica fondata esclusivamente sulle emozioni forti, potrebbe risultare possibile introdurre nuovamente nel discorso persuasivo il logos e l’ethos, per dirla con Aristotele. O le prove e le argomentazioni (e magari anche un pizzico di diletto, perché no?) per dirla con Cicerone. O una componente razionale, fattuale, progettuale. Ma prima è indispensabile trovare, proponendo emozioni diverse, persone e linguaggio nuovi. Sarà interessante vedere come, quanto, e soprattutto se succede.

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