05 agosto 2016 20:00

Il 13 gennaio del 2012, il jet privato di Bono, la voce degli U2, atterra sull’unica pista polverosa dell’aeroporto di Timbuctù, in Mali. Il musicista è atteso al Festival au désert, la manifestazione musicale che Manny Ansar ha ideato e diretto dal 2001. Ansar va ad accoglierlo e lo trova rilassato sul suo divano, ancora sull’aereo, in conviviale conversazione con la moglie e Renzo Rosso, patron della Diesel. Un video musicale scorre sullo sfondo. Bono gli domanda se Timbuctù è sicura e Ansar risponde titubante che sì, lo è, mentre fuori, in un clima tutt’altro che disteso, uomini armati e mezzi dell’esercito circondano l’area a difesa dell’evento.

Il giorno successivo Bono sale sul palco con i Tinariwen, la band di musicisti tuareg famosa oltre i confini del Sahara. Le luci inondano il pubblico esultante, Bono lo incita, grida, abbozza qualche frase in francese e balla con i membri della band. Il resto è tutto un “viva Timbuctù”, “siamo tutti fratelli”, “la musica è più forte della guerra”. O no: quattro giorni più tardi, un gruppo di combattenti armati guidati da Iyad Ag Ghali attacca un campo militare ad Aguelhok, a nordest di Timbuctù, facendo prigionieri e poi uccidendo brutalmente 90 soldati maliani.

È l’inizio dell’occupazione jihadista del nord del Mali, la cui onda oscurantista travolgerà tutte le città dell’area prendendo il sopravvento sulle iniziali istanze separatiste dei tuareg. E costringendo all’esodo centinaia di migliaia di persone. Ma, mentre Timbuctù si svuota di umanità e gioia di vivere, una rete di attivisti e volontari riesce a mettere in salvo il suo patrimonio più grande: i 377mila manoscritti che la città custodisce nelle biblioteche.

I libri erano nascosti nelle case, nei ripostigli, in anfratti segreti dall’epoca della colonizzazione francese

I dettagli di questa complessa operazione di contrabbando, messa a segno sotto il naso dei jihadisti, sono al centro del libro di Joshua Hammer The bad-ass librarians of Timbuktu – and their race to save the world’s most precious manuscripts (”I bibliotecari temerari di Timbuctù – e la loro corsa per salvare i manoscritti più preziosi del mondo”, in uscita in Italia l’anno prossimo per Rizzoli), il cui protagonista è Abdel Kader Haidara. “Come giornalista, ho visitato Timbuctù una mezza dozzina di volte dal 1995”, mi racconta Hammer. “Nel corso del tempo ho avuto la possibilità di stringere rapporti con molti dei protagonisti di questa storia e della vita della città”.

L’idea del libro è nata spontaneamente da questo e ha preso forma durante l’ascesa del gruppo Stato islamico e la distruzione dei monumenti in Iraq e in Siria. “Per molti aspetti”, prosegue Hammer, “mi sembrava che Al Qaeda nel Maghreb islamico, il gruppo jihadista attivo in Mali, ne fosse il precursore. L’impresa di Abdel Kader Haidara è un esempio di coraggio e di fermezza contro l’estremismo radicale, una storia che meritava di essere raccontata”.

Un tuareg vende oggetti di artigianato durante il Festival au désert di Timbuctù, nel 2010. (Barbara Lomonaco)

Figlio di un intellettuale, cresciuto a Timbuctù tra le pagine di quei manoscritti, Haidara ne aveva recuperati a migliaia negli anni novanta viaggiando tra le dune sahariane per conto dell’Ahmed Baba Center, l’istituto che ne assicura la conservazione. Copie del Corano, poesie sulla musica e sull’amore, traduzioni in arabo degli scritti di Aristotele, Platone e Ippocrate, testi di algebra, chimica e astronomia. I libri erano nascosti nelle case dei proprietari, nei ripostigli, in anfratti segreti dall’epoca della colonizzazione francese e testimoniavano, scrive Hammer nel libro, “di una cultura sofisticata e di una società intellettualmente libera mentre l’Europa era ancora nel Medioevo”.

Il triumvirato radicale

Un Medioevo che arriva a Timbuctù con il “triumvirato radicale” di Al Qaeda nel Maghreb islamico. Mokhtar Belmokhtar, Iyad Ag Ghali e Abdelhamid Abou Zeid instaurano la sharia vietando musica, danza e ogni manifestazione contraria a una visione ultraconservatrice, e distorta, dell’islam. Mentre la situazione si deteriora progressivamente e in città si moltiplicano fustigazioni, lapidazioni, amputazioni a opera della spietata polizia islamica, Haidara comincia a temere anche per i manoscritti.

Nell’aprile del 2012 insieme a Mohammed Touré, suo nipote, già coinvolto nella rete delle biblioteche cittadine, recluta decine di archivisti, impiegati, guide turistiche e parenti. Li invia nei negozi di Timbuctù a comprare bauli di metallo al regime di due, tre al giorno per non destare sospetti. Quando le scorte cittadine si esauriscono, gli attivisti ne comprano di legno, poi si dirigono a Mopti, una città 280 chilometri a sud di Timbuctù. Quando neanche lì si trova più un baule, i volontari comprano barili di metallo a Timbuctù che inviano via fiume, il Niger, a Mopti dove gli abili fabbri cittadini li trasformano in bauli e li rimandano indietro. In un mese ne avranno accumulati 2.500. Poi di notte, dopo il coprifuoco, al riparo da sguardi indiscreti, le biblioteche si svuoteranno per riempire nuovamente ripostigli e case fuori città. Corsi e ricorsi storici.

La situazione precipita quando, nel luglio del 2012, i jihadisti distruggono una dozzina di mausolei sufi, considerati da sempre luoghi di culto dagli abitanti dell’area. Haidara, che si è trasferito a Bamako, raccoglie fondi attraverso la sua rete di donatori internazionali e coordina da lì la seconda e più complessa fase dell’operazione. Decine di giovani, rimasti senza impiego in una città ormai fantasma, trasportano le migliaia di casse contenenti i manoscritti lungo gli 800 chilometri accidentati che separano Timbuctù dalla capitale. Via terra in macchina o via fiume in piroga, attraverso i pericolosi posti di blocco dei jihadisti, l’impresa durerà mesi e sarà interrotta dall’operazione Serval, l’intervento francese nel nord del Mali nel gennaio del 2013.

A oggi 14 mausolei sono stati ricostruiti nella città che attende ancora il rientro dei manoscritti

Ma nel libro c’è molto di più di questa avventura rincuorante: come la storia dell’ambiguo Iyad Ag Ghali, passato da consulente sulla sicurezza del governo maliano, amante dell’alcol e della musica, creatore del festival che fu d’ispirazione per il Festival au désert, a pericoloso fondamentalista intransigente: “Per lui ero un vecchio amico, al quale aveva voluto bene e che non era riuscito a salvare dalle grinfie di Satana”, racconta Manny Ansar a proposito di Ghali nel libro. O la storia del generale Bernard Barrera, il marsigliese veterano della Bosnia, del Kosovo, dell’Afghanistan e del Darfur, che nella valle di Amettetai, insieme a un contingente ciadiano, sconfigge i jihadisti: “Abbiamo una settimana, massimo dieci giorni o la battaglia sarà persa”, avverte i suoi uomini costretti alle condizioni estreme del deserto maliano.

I manoscritti di Timbuctù nell’Ahmed Baba Center. (Barbara Lomonaco)

Joshua Hammer, fine conoscitore dell’area, per anni capo dell’ufficio di corrispondenza dall’Africa di Newsweek, ricostruisce la storia gloriosa e buia della città attraverso i suoi protagonisti dipingendo a pennellate sottili un affresco complesso e seducente della città dei 333 santi. “La prima volta che ero stato a Timbuctù nel 1995”, mi racconta, “l’avevo trovata triste e affascinante allo stesso tempo. Aveva una storia straordinaria, centro di un impero perduto dove si potevano ancora rintracciare i passi degli esploratori europei che avevano attraversato il Sahara per arrivare fin lì. Credo di aver voluto condividere quella curiosità”.

Hammer è di nuovo in Mali nell’agosto del 2013. A Bamako, dove ha appuntamento nel quartiere di Badalabougou con Haidara, attraversa la città fino a una villa non finita circondata da un giardino incolto. Lì, e in altri 25 edifici della capitale, in una stanza chiusa a chiave difesa da un uomo armato, si trovano molte delle casse contenenti i manoscritti. Lo sforzo di Haidara ne ha reso possibile il salvataggio ma anche la catalogazione: per la prima volta, durante l’operazione, è stato pazientemente compilato a mano il database di un tesoro inestimabile, ora in corso di digitalizzazione.

“E Timbuctù l’ultima volta che l’ho visitata, nel febbraio del 2014, ‘stava meglio’”, conclude Hammer. “Molti residenti ci erano tornati dopo due anni nei campi profughi ma la sicurezza restava fragile. I jihadisti lanciavano razzi contro l’aeroporto ed ero stato avvisato dai caschi blu dell’Onu di non lasciare il perimetro cittadino. La situazione era molto tesa”. A oggi 14 mausolei sono stati ricostruiti nella città che attende ancora il rientro dei manoscritti. E con quelli, tra le sue dune, le note del Festival au désert.

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