Si diceva che fossero ai ferri corti, e invece sembra che non riescano a stare lontani. Dopo aver partecipato, mercoledì, al consiglio europeo straordinario di Bruxelles dedicato alla battaglia contro l’evasione fiscale, Angela Merkel e François Hollande si ritrovano giovedì a Lipsia per il centocinquantesimo anniversario del Partito socialdemocratico tedesco, l’Spd.
Giovedì prossimo il presidente della repubblica riceverà la cancelliera a Parigi per definire i dettagli del “contributo comune” per la crescita, la competitività e l’impiego che i due leader intendono presentare insieme al consiglio il 27 e 28 giugno. Fanno quattro incontri in sei settimane, e il quinto arriverà il 3 luglio quando Hollande e Merkel presiederanno a Berlino una riunione dei ministri del lavoro dell’Ue incentrata sulla disoccupazione giovanile.
Apparentemente si tratta di incontri inevitabili, ma un ritmo così serrato non può essere frutto del caso. La verità è che il presidente e la cancelliera si stanno avvicinando sempre di più. Mentre Hollande si appresta a tagliare la spesa pubblica, Merkel non può più ignorare il consenso emergente in Europa sulla necessità di un rilancio della crescita. Oltre alle preoccupazioni, i due leader condividono anche gli interessi. François Hollande vuole ridurre il deficit francese, e non lo fa per compiacere Berlino ma per risanare i conti della nazione. Allo stesso modo la cancelliera ha accettato la necessità di un rilancio, non per assecondare Parigi ma perché la crescita tedesca ha rallentato e la Germania rischia di sprofondare nello stallo che soffoca altri paesi europei.
Come sempre, ad avvicinare Francia e Germania è la realtà dei fatti e non la personalità o l’appartenenza politica dei loro leader. Tra i due paesi indispensabili per mantenere l’unità europea, la necessità diventa legge, come è emerso chiaramente mercoledì a Bruxelles. La crisi di Wall street e la crisi del debito pubblico hanno svuotato le casse dei paesi europei, e i loro leader non possono più chiedere ai contribuenti di stringere la cinghia mentre altri sfuggono al fisco. È per questo che fin dal 2008 l’Europa – Francia e Germania in testa – ha dichiarato guerra ai paradisi fiscali e all’evasione.
All’inizio molti pensavano che si trattasse solo di buoni propositi, e quasi nessuno credeva che Nicolas Sarkozy avrebbe davvero mantenuto la promessa di farla finita con i paradisi fiscali. E invece, cinque anni dopo, l’obiettivo sembra a portata di mano. Pressati dagli altri paesi dell’Unione, mercoledì Austria e Lussemburgo hanno finalmente promesso di non porre il veto sullo scambio automatico di informazioni bancarie tra gli stati Ue. Non è ancora il momento di cantare vittoria, perché i due paesi hanno ottenuto che nessuna decisione definitiva venga presa prima della fine dell’anno. A questo punto però è altamente probabile che lo scambio automatico diventi realtà dall’inizio del 2015, trasformando l’evasione fiscale in un ricordo lontano. In gioco ci sono miliardi di euro di tasse non pagate, e questa cifra spiega tutto.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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