Roma è la città più poliglotta d’Europa. In mezzo ai turisti in cerca di vecchie pietre e ai cattolici arrivati dai cinque continenti per avvicinarsi a Dio sotto la finestra del papa si sentono parlare tutte le lingue del mondo. Ma questa non è l’unica particolarità della capitale italiana.

Roma è anche la città più europeista dell’Unione, l’unica dove il capo del governo (Enrico Letta) e il suo ministro degli esteri (Emma Bonino) possono sostenere il federalismo senza passare per due illusi, due servi di Bruxelles o due traditori della nazione. In realtà anche in Italia l’eurofobia ha fatto le sue vittime, e la collera contro le politiche dell’Unione è la stessa che troviamo negli altri paesi europei. Silvio Berlusconi non perde occasione per attaccare la Germania a spada tratta, mentre Beppe Grillo, fondatore e capo assoluto di quel Movimento 5 stelle che riunisce i delusi della destra e della sinistra più radicali, punta sul rifiuto di Bruxelles per serrare i ranghi di una formazione messa in piedi raccattando i cocci della vecchia politica.

Anche in Italia, insomma, attaccare l’Europa è una scelta allettante. Eppure questo paese fondatore dell’Unione, che a suo tempo ha accettato senza battere ciglio una tassa speciale pur di entrare nell’euro, resta profondamente legato all’unità europea e all’ambizione di creare un unico soggetto politico continentale capace di affermarsi sulla scena internazionale. Tra le ragioni di questo legame ci sono il fatto che l’unità d’Italia è abbastanza recente (dopo una lunga storia di dominazioni straniere), che gli italiani sono gli eredi di quell’impero romano che ha unito l’Europa e le sue strade e che il paese è stato plasmato nel dopoguerra dalla Democrazia cristiana, una forza profondamente europeista.

La seconda peculiarità dell’Italia è che non esiste un paese dell’Unione in cui la crisi dei grandi partiti del novecento, di destra e di sinistra, sia più lampante. Il Partito comunista e la Democrazia cristiana, le due forze politiche che fino agli anni settanta hanno dominato la scena italiana, sono ormai scomparsi. A forza di ripudiare il loro passato, i comunisti si sono reinventati in un Partito democratico che occupa il posto del Partito socialista francese ma somiglia più al Partito democratico americano che alla socialdemocrazia europea.

La Democrazia cristiana, invece, è crollata sotto i colpi di una serie infinita di scandali di corruzione, derivati anche da un esercizio del potere troppo prolungato. Oggi la destra italiana è incarnata da un partito (anch’esso allo sbando) guidato da Silvio Berlusconi, capace per vent’anni di affascinare i conservatori promettendo di arricchire il paese mentre pensava ad arricchire se stesso mischiando il bene pubblico ai suoi interessi privati.

Come il resto d’Europa, anche l’Italia è alla ricerca di un nuovo scacchiere politico. Eppure solo da queste parti (ecco la terza stranezza) si discute con fervore della grande tentazione dell’Europa unita e della necessità di un grande partito di centrosinistra, dall’anima sociale ma allo stesso tempo europea.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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