Il generale Wojciech Jaruzelski ha vissuto due vite diverse (di cui una disprezzabile) che però sono meno contraddittorie di quanto si possa pensare. Morto domenica scorsa e sepolto nella giornata di venerdì, l’ultimo leader della Polonia comunista passerà alla storia come l’uomo con gli occhiali da sole che ha dichiarato lo “stato di guerra” nel suo paese per combattere Solidarność, il sindacato libero i cui 18 mesi di esistenza hanno annunciato la fine del blocco sovietico.

Nella notte del 13 dicembre 1981 le autorità polacche arrestarono tutti i quadri e gli intellettuali del sindacato. Le linee telefoniche furono tagliate, e l’esercito prese posizione nelle strade delle grandi città e lungo le principali arterie del paese. Le comunicazioni ferroviarie e aeree furono interrotte. In tutto il territorio nazionale venne imposto il coprifuoco, e la Polonia si ritrovò sconfitta dal suo stesso esercito.

Jaruzelski non era nuovo a iniziative di questo tipo. Nel 1970, da ministro della difesa, aveva già organizzato la brutale repressione degli scioperi sulla costa baltica, il cui bilancio era stato di 45 morti e un migliaio di feriti. Due anni prima aveva preso parte alle purghe antisemite condotte persino all’interno dei ranghi militari.

Riassunta in questo modo, la vita di Jaruzelski è quella di un servitore zelante del comunismo diventato un agente sovietico dopo essere stato deportato in Urss insieme alla famiglia ai tempi della guerra (suo padre è morto per le sofferenze patite nel Gulag). Traditore della famiglia e della patria, il generale è stato paragonato a Pinochet per la sua fermezza e per i suoi occhiali da sole.

Ma c’è anche un altro modo per raccontare Jaruzelski. Deportato nell’Unione sovietica in guerra contro la Germania quando era ancora un adolescente, questo figlio della piccola nobiltà cresciuto dai gesuiti non aveva altra scelta, per quanto avesse sempre odiato quella Russia contro cui avevano combattuto il padre e il nonno. Se voleva sopravvivere e lottare per l’indipendenza del suo paese (occupato dai nazisti), non poteva fare altro che arruolarsi in Unione sovietica. Chi non ha vissuto quell’epoca non può giudicare la scelta di Jaruzelski. Allo stesso modo, per comprendere la sua sinistra carriera di apparatchik, dobbiamo ricordarci che il comunismo è sembrato a lungo immortale (ai suoi sostenitori come ai suoi nemici) e che Stalin aveva ristabilito le frontiere che hanno poi definito la Polonia democratica.

Il generale Jaruzelski è stato un conformista della peggior specie, l’esatto contrario dei dissidenti il cui coraggio ha saputo abbattere il comunismo. Eppure resta il fatto che il suo “stato di guerra” non ha provocato un bagno di sangue. Jaruzelski non è stato un altro Pinochet, ma un uomo che ha creduto (a torto, ma sinceramente) di dover salvare la Polonia da un’invasione sovietica. Poi, quando Michail Gorbačëv ha fatto soffiare il vento della libertà sul blocco sovietico, il generale non ha opposto alcuna resistenza alla democratizzazione del paese, e ha subito aperto un dialogo con l’opposizione.

Appena ne ha avuto la possibilità, Wojciech Jaruzelski ha contribuito alla fine di un regime che aveva difeso senza coinvolgimento. Per questo motivo la Polonia ha deciso di seppellirlo senza odio, ma soltanto come un ricordo di un passato lontano.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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