31 agosto 2015 09:06

“Vattene!”, gridavano nel 2011 i primi manifestanti tunisini, egiziani e siriani delle primavere arabe. “Puzzate!”, scandiva invece la gigantesca folla che sabato scorso ha invaso le strade di Beirut. Il passaggio dal singolare al plurale nasce dal fatto che in Libano non c’è un dittatore.

La folla libanese, pacifica nonostante la rabbia, non chiedeva la caduta di un uomo ma quella di un’intera classe politica, improvvisamente diventata insopportabile per gran parte della popolazione, composta soprattutto da giovani che vivono in città. A scatenare la protesta, a metà luglio, è stato un problema legato alla spazzatura, quando i residenti delle zone vicine all’enorme discarica della capitale ne hanno imposto la chiusura perché conteneva ormai 15 tonnellate di rifiuti anziché le due previste all’epoca della sua apertura, dieci anni fa.

La vicenda si era trasformata in un problema di salute pubblica, ma il movimento di protesta – spontaneo, popolare e interreligioso – ha assorbito anche la questione delle interruzioni dell’elettricità, fino a quando al centro della contestazione è finito l’intero sistema politico del Libano.

Quel “Puzzate!” non si riferisce soltanto alla spazzatura, ma all’incapacità dei ministri, alla corruzione generalizzata e allo stallo istituzionale in cui la crisi siriana ha fatto precipitare il Libano, spaccato tra gli sciiti di Hezbollah con i loro sparuti alleati cristiani che sostengono Bashar al Assad e i sunniti appoggiati dalla grande maggioranza dei cristiani, ostili al regime perché sostenuto dall’Iran sciita, protettore anche di Hezbollah.

Il governo non decide più nulla perché in sostanza non governa più

Il grande conflitto tra le due confessioni dell’islam paralizza il Libano ormai da quattro anni. Le elezioni sono sospese perché ormai impossibili da organizzare, il governo non decide più nulla perché in sostanza non governa più e questo movimento di ribellione, nato simbolicamente da una discarica, è arrivato a mettere in discussione il “confessionalismo”, il sistema politico libanese che prevede la divisione degli incarichi statali in funzione della confessione religiosa e dunque delle clientele anziché delle qualità e dei programmi.

Oggi non possiamo dire quanta strada farà questo movimento. La classe politica tenterà di incanalarlo superando le divisioni reciproche, ma difficilmente potrà riuscirci. I manifestanti di sabato dovranno scegliere tra nuove manifestazioni (inevitabilmente più violente) e la lenta e paziente costruzione di una nuova opposizione superando le differenze religiose. Il Libano ci fa capire che, a prescindere dalle dittature, il mondo arabo non tollera più il malgoverno, e che i giovani cittadini, cresciuti con internet e aperti al mondo, costituiscono l’avanguardia del rinnovamento.

Il messaggio è lo stesso lanciato dalla primavera araba del 2011, a cui hanno fatto seguito il caos sanguinario e l’esodo dei profughi. Oggi in Medio Oriente le cose vanno male, ma le rivoluzioni non si fanno in un solo giorno. Di sicuro, tra venti o venticinque anni, saranno i giovani a prendere il potere, perché hanno dalla loro parte l’età e il sapere.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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