07 dicembre 2017 12:40

Il mondo arabo è stanco, a cominciare dai palestinesi. È stanco delle guerre, della violenza e delle illusioni. Le rivoluzioni arabe del 2011 non hanno prodotto frutti, così come il panarabismo, l’islamismo e la decolonizzazione. Questa stanchezza è talmente profonda che probabilmente non ci sarà alcuna esplosione di rabbia nelle città arabe dopo il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele annunciato da Donald Trump.

Ci saranno manifestazioni e magari anche attentati contro gli interessi americani, la Lega araba e l’Organizzazione per la cooperazione islamica condanneranno questa adesione, ma la protesta non andrà lontano, anche perché quel che è fatto è fatto.

Resta da capire se il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha davvero tutti questi motivi per esultare e se Donald Trump avrà i mezzi (oltre all’intenzione che dice di avere) per lavorare a un accordo di pace basato sulla coesistenza dei due stati, quello israeliano e quello palestinese.

La città irrinunciabile
La risposta è “no”, in entrambi i casi. La soluzione dei due stati passa inevitabilmente per una condivisione di Gerusalemme, città che israeliani e palestinesi considerano come capitale e a cui nessuno può rinunciare.

Il presidente palestinese, il moderato e realista Mahmud Abbas, ha già risposto a Donald Trump parodiando la costituzione israeliana e dichiarando che Gerusalemme resterà la “capitale eterna” della Palestina. Gli israeliani, a questo punto, non hanno alcun motivo di rinunciare a una Gerusalemme unica e indivisibile che hanno unificato dopo la vittoria nella guerra dei sei giorni.

In parole povere non c’è via d’uscita e non ci sarà per molto tempo. Il paradosso è che Benjamin Netanyahu non ha alcun motivo per esultare, anche se non ha mai voluto dividere Gerusalemme e ha aderito solo a parole alla soluzione dei due stati.

I paesi sunniti, a cominciare dall’Arabia Saudita, si erano riavvicinati a Israele

Questo perché, a pensarci bene, l’annuncio di Donald Trump ha smentito e forse compromesso un altro processo, meno evidente e spettacolare, ma molto più profondo rispetto al suo discorso del 6 dicembre.

Davanti all’avanzata dell’Iran sciita in tutto il Medio Oriente sunnita con la proiezione, attraverso Hezbollah, fino alla frontiera settentrionale di Israele, i paesi sunniti – a cominciare dall’Arabia Saudita – si erano riavvicinati a Israele.

La collaborazione tra i rispettivi servizi segreti era sempre più intensa, e i contatti politici sempre più frequenti. Poteva essere la strada giusta per ottenere un accordo di pace, ma molte cose sono state compromesse dalla volontà di Trump di arginare l’inchiesta russa rafforzando i legami con le destra cristiana che è più israeliana degli israeliani.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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