16 gennaio 2016 11:43

Soffocata dalle polveri sottili e dalla pioggia di guano degli uccelli, Roma si sta trasformando in una specie di gigantesco non-luogo asfissiante e sfibrato. Una città senza sindaco e con due papi, e sotto la tutela di due commissari: Francesco Paolo Tronca – un prefetto che mai si era occupato di questioni romane – per gestire il comune; e Franco Gabrielli – un esperto di protezione civile – per gestire il giubileo appena cominciato (e già deludente per gli operatori turistici che si lamentano per le prenotazioni cancellate dalla paura degli attentati). Un duumvirato poliziesco che sta amministrando la città senza che stia stato eletto da nessuno, per un tempo emergenziale di cui non si conosce ancora un termine: si voterà forse a giugno, forse a settembre, forse chissà.

La defenestrazione di Ignazio Marino e della sua giunta ha creato una tale sfiducia nella classe politica che il governo e il Pd stanno cercando di rinviare il più tardi possibile la data elettorale, sperando di far dimenticare la scena grottesca di un sindaco sfiduciato perché non aveva rendicontato degli scontrini e perché era bizzarro. Nel frattempo l’amministrazione di Tronca è tutta all’insegna di una retorica vizza di decisionismo.

Dopo aver inaugurato il suo mandato con un saluto urbi et orbi dal Campidoglio e un incontro con papa Bergoglio – come se veramente fosse il salvatore della patria – Tronca si è circondato di sei collaboratori (ex prefetti vari) e ha provato ad amministrare la città come se si trattasse di un condominio. Multe e repressione in nome del feticcio del decoro, riduzione della spesa sociale e privatizzazioni in nome del feticcio del risparmio e dell’efficienza.

Quello che non si è voluto imparare dalla vicenda Mafia capitale è che Buzzi e Carminati non sono nati dal niente

Così accanto a provvedimenti di facciata come i controlli sui centurioni al Colosseo e alle bancarelle abusive a Termini, a rischio sono spazi culturali come Esc atelier, gli asili nido comunali, le associazioni sul territorio, le linee di autobus periferiche e tutto quello che non rientrerà nel rigidissimo documento di programmazione 2016-2018 che il commissario ha fatto pubblicare qualche giorno fa.

Ottocento pagine – consultabili qui e qui – che formano un testo davvero eloquente su cos’è la politica oggi: c’è scritto molto spesso “ottimizzazione e razionalizzazione”, si legge: tagli su servizi essenziali. Neoliberismo de noantri. Si registra un buco di bilancio che sembra connaturato all’amministrazione di Roma? Invece di immaginare come investire, si pensa come impoverire ulteriormente un sistema sfiancato e poco qualificato come quello della macchina amministrativa romana.

Quello che non si è voluto imparare dalla vicenda Mafia capitale è che Buzzi e Carminati non sono nati dal niente: se depauperi sempre di più il settore pubblico, se la mancanza di organico comunale è strutturale, il rischio di infiltrazioni criminali e mafiose attraverso le esternalizzazioni e i subappalti al ribasso è quasi scontato.

Per il resto Roma è rimasta e probabilmente rimarrà la città spenta qual è. Luoghi generativi come il Rialto e il teatro Valle sono chiusi ormai senza nemmeno un alone di attivismo a difenderne il ruolo centrale che hanno avuto per la cultura degli ultimi dieci anni. Una lunga lista di sale cinematografiche storiche in dismissione: Colorado, Academy, Tristar, Arena Flora, Ariel, Aurora, Arizona, Excelsior, Luxor, Belsito, Archimede, Holiday, Missouri, America, Avorio… Un turismo parassitario che lucra su quattro, cinque monumenti storici e lascia nell’abbandono – per esempio – i musei periferici; un turismo consumistico, mordi e fuggi, fatto di tour di 24 ore in pullman 30 euro tutto compreso: Colosseo e l’outlet di Castel Romano, negozietti di souvenir da paccottiglia e osterie finto-tipiche con le recensioni di Trip advisor truccate che hanno occupato ogni angolo di un centro storico disabitato (da 420mila a 120mila abitanti in vent’anni) e ridotto alla scenografia sghangherata di se stesso.

Inquinata e sporca come una città coloniale, l’emblema del fallimento anche di Tronca è probabilmente la gestione rifiuti, che aveva messo al primo posto del suo mandato. È evidente a chiunque che proprio su una questione di questo genere non è sufficiente un approccio emergenziale perché si rivela palliativo: i dissuasori contro gli storni, le targhe alterne, eccetera.

Occorre interrogarsi sul destino di questa città, non solo a partire dai suoi evidenti problemi di spicciola amministrazione

Ma il presente non è nemmeno il tempo più avvilente per questa città. A Roma manca totalmente l’idea di un futuro, di una vocazione. E non solo perché da sempre vive in modo retroflesso, schiacciata dai miti (dell’impero, del papato, della repubblica…), ma perché continua a sperare in rinascite legate a grandi eventi: non bastano le costruzioni dei Mondiali di Italia ‘90 e le chiese del giubileo del 2000 che cadono a pezzi, lo stadio del nuoto mai completato, la nuvola di Fuksas che è ancora un cantiere. Oggi una città che non sa come regolarsi con la cacca degli uccelli si candida alle Olimpiadi del 2024, con l’ambizione meschina di svilupparsi ancora sull’unico prodotto su cui ha investito dal dopoguerra in poi: il cemento.

Nel 1962 fu approvato un piano regolatore per una città che si immaginava avrebbe raggiunto nel corso di un paio di decenni i cinque milioni di abitanti. Oggi non sono nemmeno tre milioni, eppure si continuano a costruire quartieri che mangiano l’agro romano, espandendo la periferia in uno sprawl indefinito, creando dal nulla comuni grandi come città – vedi Guidonia con i suoi quasi 100mila abitanti, di cui quasi un terzo ogni giorno fa il pendolare con Roma – e finanziando economie passive come quelle dei palazzinari e degli affittacamere.

E se forse i candidati sindaci – per adesso Matteo Renzi e Matteo Orfini hanno fatto il nome di Roberto Giachetti, e Stefano Fassina si è autocandidato per Sinistra italiana – concorderebbero su questa diagnosi desolante, è proprio sulla prognosi che sembrano già annaspare. Perché occorre interrogarsi sul destino di questa città, non solo a partire dai suoi evidenti problemi anche di spicciola amministrazione.

Cosa è e come immaginiamo che sarà Roma tra vent’anni? Una specie di fondale per un turismo anagraficamente vecchio? La succursale della burocrazia nazionale per campare ancora di questo terziario arretrato e del suo sempre più misero indotto? Un’infinita periferia di centri commerciali?

Un’idea per Roma

Chi governerà questa città dovrà non solo conoscere in modo profondo una città sfiancata dallo sfruttamento millenario della sua eredità genetica, della bellezza storica e naturale, ma avere una visione di lungo raggio.

Per far diventare Roma una vera metropoli europea, come è riuscito a Berlino o a Barcellona, darle un ruolo centrale nel Mediterraneo, farne una città della conoscenza – dell’università, della ricerca, delle arti (come è per esempio nella splendida prospettiva di Walter Tocci) – non è sicuramente sufficiente un commissario prefettizio ma nemmeno un bravo amministratore: serve rivendicare l’indipendenza dalla tutela del Vaticano e dalla famelicità dei costruttori, ed è necessaria ancora di più un’intelligenza di quelli che sono i grandi processi sociali e un progetto ispiratamente pedagogico.

Questo è forse avvenuto in due brevi fasi nel novecento: nel 1907 con Ernesto Nathan e tra la fine degli anni settanta e gli inizi degli ottanta con Carlo Giulio Argan, Luigi Petroselli, Ugo Vetere (e i loro collaboratori: Renato Nicolini, Antonio Cederna, Ludovico Gatto). Altrimenti l’ennesima occasione andrà dolorosamente sprecata.

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