24 novembre 2011 00:00

Una mia amica ha subìto la perdita più grande, quella di suo figlio. Noi la guardiamo dilaniarsi senza poter fare nulla e questo ci distrugge. Siamo davvero così inutili? –Chiara

Anni fa ho sentito una scrittrice dire in tv: “Per affrontare la morte di un figlio credo che chiederei rifugio alla follia”. All’epoca la frase di Barbara Alberti mi aveva colpito. Oggi, tre figli più tardi, ce l’ho ancora stampata in testa, perché la trovo vera. L’unica cosa che mi permetto di consigliarti, Chiara, è di rispettare la follia della vostra amica. Tra tanto tempo, quando avrà imparato a domare quella bestia feroce che è il suo dolore, quando avrà imparato a conviverci senza l’aiuto della follia, voi sarete lì a braccia aperte, perché l’avrete aspettata in silenzio.

Ti lascio con una poesia di Debbie Gemmil intitolata The last day, che mi prendo la libertà di tradurre dall’inglese: “Piccolo mio, se avessi saputo che quello sarebbe stato il nostro ultimo giorno insieme, avrei fatto tutto in modo diverso. Ti avrei portato in spiaggia a sentire il rumore delle onde e sulle montagne a toccare la neve. Ti avrei fatto vedere l’arcobaleno e gli alberi di natale e le giostre. O, forse, avrei fatto solo quello che ho fatto davvero: ti ho cantato una ninna nanna, ti ho rimboccato le coperte con il tuo orsacchiotto e ti ho bisbigliato buonanotte”.

Internazionale, numero 925, 25 novembre 2011

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