23 luglio 2018 13:19

Una nostra anziana vicina di casa si ostina a usare il termine negro. Dovrei chiederle di non farlo davanti ai bambini? –Elisabetta

Al saggio di fine anno di mia figlia ho notato che i watussi della canzone di Edoardo Vianello erano diventati “altissimi neri”. E anche se ero perplesso sulla scelta della canzone, ho apprezzato che almeno avessero evitato espressioni apertamente razziste. Quando abitavamo nel Regno Unito una maestra mi raccontò del loro problema con la conta. Il corrispettivo inglese del nostro “ambarabà ciccì coccò” dice: “Eeny meeny mynie moe catch a nigger by the toe, if he hollers let him go eeny meeny mynie moe” (acchiappa un negro per le dita dei piedi, se grida lascialo andare). Oggi il “negro” è stato sostituito da una tigre.

In passato, un’altra filastrocca inglese per bambini arrivò perfino a dare il titolo a uno dei libri più famosi di Agatha Christie: la prima edizione di Dieci piccoli indiani s’intitolava “Dieci piccoli negri”, dalla filastrocca ottocentesca “Ten little niggers”. Anche se il razzismo è tutt’altro che superato, in linea di massima i bambini italiani di oggi hanno chiaro che “negro” è un insulto e, se accettano con bonaria tolleranza che qualche nonna continui a dirlo, sanno che per tutti gli altri non ci sono giustificazioni. Però la lingua è in continua evoluzione e i rapper afroamericani di oggi si sono gioiosamente riappropriati del termine nigga che, usato da loro, vuol dire amico o fidanzato. Nel frattempo mia figlia, che ha già dimenticato i watussi, canticchia una canzone del festival di Sanremo del 2016 che s’intitola N.E.G.R.A.

Questa rubrica è uscita il 20 luglio 2018 nel numero 1265 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero | Abbonati

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