30 agosto 2021 13:15

Nel maggio del 1994 il mensile musicale britannico Q (che ha smesso di essere pubblicato esattamente un anno fa) uscì con una copertina storica. C’erano Pj Harvey, Björk e Tori Amos insieme che, vestite di bianco, venivano presentate come una santa trinità del rock femminile. Il titolo, che oggi suona quanto meno maldestro, era “Hips, lips, tits, power” (la forza di fianchi, labbra e tette) e faceva riferimento al dibattito che c’era in quegli anni sul nuovo ruolo che le donne si stavano prendendo nella musica pop e rock, sulla scia delle rivendicazioni punk e femministe di una serie di band note collettivamente come riot grrrls. Pur avendo poco a che fare con la scena tutto sommato marginale e fieramente autoprodotta delle riot grrrls le tre famosissime artiste in copertina rappresentavano, in effetti, un nuovo modo di essere cantautrici. Soprattutto, ciascuna a modo suo, incarnava un modo inedito di mettere al centro del discorso musicale il corpo della donna, non più solo come oggetto del desiderio ma come soggetto attivo e come potente agente narrante.

Quel trio sulla copertina di Q però avrebbe dovuto essere un quartetto. Perché accanto a Björk, Tori Amos e Pj Harvey sarebbe stata molto bene la cantautrice statunitense Tanya Donelly che in quegli anni stava dando un contributo notevole al dibattito sul ruolo delle donne nel rock alternativo. Donelly, nata nel 1966 nel New England, è un’aristocratica dell’indie rock statunitense. A 14 anni fondò, insieme alla sorellastra Kristin Hersh, la band di culto Throwing Muses per poi dare vita insieme a Kim Deal, la bassista dei Pixies, a un altro caposaldo del rock femminile dei primi anni novanta: le Breeders. Dopo un album con le Breeders (l’imperdibile Pod del 1990, prodotto da Steve Albini), Donelly si mette in proprio e forma la sua band, i Belly.

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La musica dei Belly ha una paletta di colori molto più variegata di quella delle Breeders o dei Throwing Muses: si muove con grazia in una zona grigia tra dream pop, folk rock americano e pop elettrico e sghembo. Le canzoni di Star, il loro album di debutto uscito nel 1994, tutte scritte da Tanya Donelly, hanno una facilità melodica che manca a molto grunge di quegli anni. Donelly sa scrivere una canzone pop memorabile e poi sa vestirla di feedback, di riverberi e di ruvidezze in modo da renderla misteriosa e straniante. I suoi testi sono opachi e involuti; nonostante la dolcezza della sua voce un po’ infantile, dietro ogni sua canzone sembra esserci un mistero, una favola nera, forse un delitto.

L’album si apre con Someone to die for, una specie di ninna nanna tanto dolce quanto inquietante: “Poverino, poverino… tu ce l’hai una sorella? Qualcuna per cui ti sdraieresti sulle rotaie del treno? Hai qualcuna per cui moriresti?”. Proprio questa misteriosa sorella, questa inafferrabile presenza femminile che ci richiede, con la sua filastrocca stregonesca, devozione e sacrificio è lo spirito guida che pervade tutte le canzoni di Star. In Gepetto si rivive un trauma infantile: tra bambini cattivi e bambole decapitate e in Slow dog si evoca la figura inquietante di una donna che si aggira con un fucile e un cane morto sulle spalle. E poi paesaggi selvaggi illuminati da una strana luna rossa (Low red moon), ranocchi parlanti con mille pretese (Untogether) e streghe con cui ci si trova a dividere un letto (Witch). Il mondo di Tanya Donelly è fatto di un realismo magico sempre in bilico tra favola e incubo, tra veglia e allucinazione. Non è un caso che tra lei e Thom Yorke dei Radiohead ci fosse una grande affinità. Nel 1993 i Radiohead aprivano i concerti dei Belly, e Thom e Tanya cantarono insieme una memorabile versione di Untogether che si concluse con un lungo abbraccio.

Belly
Star
4AD, 1993

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