15 marzo 2022 13:35

C’erano una volta i settimanali musicali britannici. Nel 1991 ne uscivano ancora ben tre: Melody Maker, New Musical Express (Nme) e Sounds. Il loro lavoro, in quegli anni senza internet, senza social e senza blog, era creare hype, ovvero aspettativa febbrile sui nuovi gruppi e le nuove scene musicali. La parola hype l’avevo già sentita in un pezzo del 1988 dei Public Enemy, Don’t believe the hype, ma era una delle tante cose che dicevano di cui all’epoca non capivo il senso. Credo di aver finalmente capito cosa volesse dire hype nel 1990 leggendo Melody Maker, che a Roma si trovava quasi solo nelle edicole di via Veneto, malinconici lacerti di Dolce vita.

Nel 1991 lo hype per i World of Twist era alle stelle: non era ancora uscito il loro album di debutto ma i settimanali parlavano dei loro singoli e soprattutto dei loro sgangherati concerti dal vivo. Il critico Simon Reynolds, nella recensione di un loro show all’Astoria di Londra, scriveva: “Futuristiche onde d’urto di moog glutinoso c’investono in una beatitudine di plastica. Il terremoto kitsch sta arrivando e vi farà schizzare gli occhi fuori dalle orbite”. Insomma, non si stava più nella pelle. Io per primo.

I World of Twist si erano formati a Sheffield intorno al 1985, ma la loro line up è sempre stata più instabile di un isotopo radioattivo. La gente andava e veniva: o litigava o semplicemente si dimenticava di far parte di una band. Nella primissima compagine dei World of Twist c’era anche James Fry, il fratello di Martin Fry degli Abc. Nel 1989 i componenti del gruppo si stabilizzano: Tony Ogden (cantante), Gordon King (chitarra), Andy Hobson (tastiere e synth), Julia aka M.C. Shells (turbini e suoni marini. Sì, esatto) e Angela Reilly (effetti visivi). Il batterista Nick Sanderson si sarebbe aggiunto poco più tardi dando una raddrizzata al suono caotico e, come scriveva Reynolds, “glutinoso” della band.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Nel 1990, dopo la realizzazione di un primo ep, vengono messi sotto contratto dalla Circa records, un’etichetta sussidiaria della Virgin. Tutti i soldi dell’anticipo vengono spesi in effetti speciali per i concerti: faccioni semoventi che ritraggono i componenti del gruppo, un gigantesco vulcano che spara fiamme (subito dismesso perché troppo pericoloso e perché non entrava, anche smontato, nel tour bus), una spirale rotante e vari ammennicoli di retrofuturismo psichedelico. I World of Twist non hanno ancora messo a fuoco il loro suono, ma sicuramente hanno messo a punto la loro immagine di comparse scappate, in stato confusionale, da un episodio del Doctor Who degli anni sessanta. Nelle prime apparizioni televisive hanno qualcosa dei Velvet Underground di Andy Warhol: un suono pulsante e narcolettico, tanta stagnola avvolta dappertutto, sugli strumenti, sulle braccia, sulla faccia, plastica, bolle e fumo. I World of Twist del 1991 sono un happening per la generazione dei rave, l’ultimo sussulto della scena di Manchester, l’ultima ecstasy buona prima dell’esplosione, su scala transatlantica, del britpop. E a proposito di britpop: i fratelli Gallagher sono a Manchester nello stesso periodo e pensano, per un brevissimo momento, di chiamare la loro band non Oasis ma Sons of the Stage, come una delle prime, trascinanti hit dei World of Twist. L’amore per quel pezzo è rimasto nel tempo perché i Beady Eye (la band formata nel 2009 da Liam Gallagher) hanno inciso una versione di Sons of the stage come b-side di un singolo del 2011.

Retromania
Come tutte le cose pazze i World of Twist durano poco. Quando esce Quality street, il loro album di debutto, spasmodicamente atteso da stampa e fan, loro sono già spompati. Eppure è un album che, riascoltato oggi, è il frammento di un universo parallelo in cui i World of Twist potevano essere i più grandi di tutti. Avevano le canzoni, avevano l’estetica, avevano la visione. Avevano tutto tranne che la capacità di mettere a fuoco la realtà in cui vivevano.

Quality street è un capolavoro di eccentricità e di retromania fin dalla copertina, che richiama i personaggi vittoriani di quella famosa lattina viola di cioccolatini che si trovava in molti supermercati, anche italiani, insieme ad altre delizie britanniche come gli After eight e i biscotti Digestive. Gordon King, il chitarrista, ricorda: “Il giorno in cui abbiamo fatto le foto per la copertina è stato il più bello che abbiamo passato insieme come band”. Il gruppo, abbigliato e pettinato da compagnia di gentiluomini vittoriani, spera in una giornata tranquilla: è luglio e a Manchester si muore di caldo. Le strade invece sono piene di ragazzini europei in vacanza studio che fanno casino e li prendono in giro. Tra gli oggetti di scena c’è anche un pericolosissimo velocipede che tra le risate viene provato da tutti a rischio dell’osso del collo. “Il mio ricordo più bello di quella giornata”, conclude King, “è Andy vestito come Benjamin Disraeli che scruta serio serio i titoli di musica elettronica nella vetrina di un negozio di dischi”.

Quality street non fa in tempo a uscire, il 28 ottobre del 1991, che l’hype intorno ai World of Twist si sgonfia come un soufflé. L’imperdonabile difetto del disco non è nelle canzoni ma è in una masterizzazione sbagliata che ne appiattisce il suono. Quello che nelle intenzioni doveva essere un disco torrenziale, avvolgente e tridimensionale, una volta messo su il vinile sembra arrivare come un messaggio registrato da una segreteria telefonica all’altro capo del mondo.

Peccato perché i grandi pezzi non mancano: oltre a Sons of the stage (prodotta da The Grid, ovvero Dave Ball dei Soft Cell) c’è la magnifica The storm e la volutamente melensa e vagamente kitsch Sweets, nel cui video compare anche Bob Stanley dei Saint Etienne. A completare l’offerta, variegata come in una scatola di dolcetti Quality street, c’è anche una cover ultrapsichedelica di She’s a rainbow dei Rolling Stones.

I World of Twist avevano tutto: grandi pezzi, un’estetica forte, una presenza magnetica, un amore sincero per il progressive rock (forse la musica meno cool da amare agli inizi degli anni novanta), una passione per il pop degli anni sessanta, per il glam rock e per le sostanze psicotrope. Tutto questo non è bastato e la macchina dell’hype britannico è passata subito a macinare la sua grande storia di metà anni novanta, quella della rivalità tra Blur e Oasis. L’album dei World of Twist (finalmente rimasterizzato come si deve nel 2014 dalla volenterosa etichetta 3 Loop music) è lì a ricordarci che in un universo parallelo avremmo potuto avere Blur contro World of Twist invece che Blur contro Oasis. Allora sì che ci sarebbe stato da ridere.

World of Twist
Quality street
Circa, 1991 / 3 Loop music, 2013

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it