15 gennaio 2015 15:54

“Ogni giorno che passa la situazione diventa più spaventosa”, dichiara Ife Afolabi, un’insegnante nigeriana, mentre guarda la prima pagina del quotidiano The Guardian di Lagos, il suo preferito. Il giornale parla dell’attentato del 10 gennaio al mercato di Maiduguri, il capoluogo dello stato di Borno, nel nordest della Nigeria. A portare l’esplosivo sarebbe stata una bambina di dieci anni. Bilancio: una ventina di morti. Qualche giorno prima Boko haram aveva massacrato in modo sistematico la popolazione di Baga, sempre nel nordest del paese. Secondo le stime di Amnesty international, i morti sarebbero duemila.

Manca un mese alle elezioni presidenziali del 14 febbraio e il gruppo estremista islamico sta dando prova di una violenza senza precedenti. L’esercito nigeriano non sembra all’altezza di Boko haram e capita sempre più spesso che i soldati fuggano di fronte ai miliziani. Le forze nigeriane non sono armate bene quanto i ribelli islamici perché negli ultimi vent’anni i leader nigeriani hanno cercato in tutti i modi di indebolire l’esercito per allontanare la minaccia di un colpo di stato. Allo stesso tempo, i politici hanno permesso agli alti vertici militari di sottrarre fondi al bilancio pubblico. Consentirgli di arricchirsi impunemente era un modo per comprare la loro “lealtà”.

Nella lotta contro Boko haram l’esercito ha dimostrato di essere efficace solo contro i civili. Le popolazioni del nord ormai temono i raid delle forze armate quasi quanto quelli di Boko haram. Questo significa che i soldati difficilmente riescono a ottenere informazioni dalla popolazione. Del resto, è evidente che i miliziani hanno complici nell’esercito. Inoltre, i civili che collaborano con i militari rischiano di essere denunciati a Boko haram e, di conseguenza, di essere uccisi.

Per ribaltare la situazione l’esercito contava sul sostegno degli Stati Uniti. Washington, però, non vuole più aiutare il governo di Goodluck Jonathan. Gli scandali di corruzione che hanno coinvolto il paese africano sono così ampi da spingere l’amministrazione Obama a fare orecchie da mercante di fronte alle richieste di aiuto nigeriane. E il presidente statunitense può mostrarsi ancora più intransigente perché, da qualche mese, gli Stati Uniti non hanno più bisogno del petrolio nigeriano.

Perciò siamo arrivati a un punto in cui Boko haram ha la possibilità di estendere la sua influenza nel nord del paese, creare il suo “califfato” e cominciare ad amministrarlo. Nei video pubblicati su internet, il leader del gruppo, Abubakar Shekau, non si presenta più come un esaltato signore della guerra ma usa toni più pacati.

Intanto il presidente Jonathan riceve sempre più critiche. Com’è possibile che non riesca a riprendere il controllo di quei territori? Gli attacchi aumentano man mano che si avvicinano le elezioni. Tuttavia il rafforzamento di Boko haram al nord non è necessariamente una cattiva notizia per il capo dello stato. Le zone attualmente controllate da Boko haram sono roccaforti dell’opposizione, dell’All progressives congress (Apc). Questo significa che meno persone andranno a votare per l’avversario di Jonathan, Muhammadu Buhari, un musulmano del nord. Del resto è difficile che i nigeriani delle zone colpite dalle violenze votino per un cristiano del sud, che cita continuamente la Bibbia. Jonathan, per esempio, va regolarmente in Israele, dove visita i luoghi santi cristiani ed ebraici, ma non quelli musulmani.

L’ipotesi di una separazione
Un altro vantaggio per il presidente è che l’insurrezione nel nord gli permette di serrare i ranghi dei cristiani intorno a lui. “Il governo è molto corrotto, ma è formato da cristiani, come me. Quindi voterò per Jonathan. Non posso sostenere Buhari, temo che voglia imporre la sharia in tutto il paese”, spiega una famosa attrice di Nollywood, la Hollywood nigeriana. Invece di puntare sulla corruzione della classe dirigente, la campagna elettorale si concentra sulle questioni legate alla sicurezza e il governo può evitare di rispondere a domande imbarazzanti sulla gestione dei fondi pubblici.

L’anno scorso l’ex direttore della banca centrale, Lamido Sanusi, ha accusato pubblicamente il regime di aver sottratto “decine di miliardi di dollari”. “Si stima che ogni giorno sia scomparso l’equivalente di almeno 200mila barili di greggio. È il 10 per cento della produzione nigeriana”, precisa un potente imprenditore, scandalizzato dalle dimensioni del furto.

Inoltre l’insurrezione nel nord divide soprattutto i musulmani. I principali nemici di Boko haram sono i musulmani moderati. Gli estremisti islamici hanno cercato di assassinare Buhari poco prima che fosse scelto come candidato dell’opposizione. Per farlo vincere le popolazioni del nord dovrebbero restare unite, ma Boko haram ha diviso le élite locali. In questo periodo di instabilità, il presidente uscente riesce a imporsi come un valore sicuro, una garanzia di relativa pace, quantomeno per il sud.

Nelle regioni meridionali il dramma vissuto dal resto del paese è spesso accolto con indifferenza. “Per noi è un altro paese, quello che succede là non ci riguarda. Finché non ci rovinano gli affari e non ci sono attentati a Lagos, per noi va tutto bene”, commenta un imprenditore. “I politici del nord hanno governato con il pugno di ferro per decenni. Hanno nutrito e finanziato l’islam radicale. Hanno giocato con il fuoco. Se ora c’è caos nella loro regione, verrebbe da dire che se lo sono meritato”, sottolinea un intellettuale del sud. Molti pensano che l’instaurazione di un “califfato” di Boko haram potrebbe favorire nel lungo periodo quello che molti sognano: la divisione del paese.

Il calo del prezzo del petrolio contribuisce ad alimentare le tensioni. Quando il prezzo del barile di greggio era di 120 dollari, gli abitanti del sud accettavano di dividere la ricchezza, ma ora che è calato a 50 dollari, la torta da dividere si è ridotta. Troppo piccola per un paese di 170 milioni di abitanti? L’idea della separazione diventerà presto accettabile? È questa la domanda che tormenta i “benestanti” del sud.

Le presidenziali del 2011 hanno causato la morte di 800 persone, prima e dopo il voto. Di nuovo il nord musulmano si contrappone al sud cristiano, com’era già accaduto quattro anni fa. Le élite del nord vogliono a tutti i costi recuperare il potere politico e controllare le ricchezze economiche. Si rincorrono già le voci di possibili frodi elettorali.

Se i risultati del voto saranno contestati, cosa piuttosto prevedibile, si possono immaginare nuove violenze. Troppo impegnata a dividersi il “bottino di guerra”, la classe politica farà della lotta contro Boko haram una priorità? Sembra davvero poco probabile.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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