23 aprile 2015 13:31

E se nella paura dello straniero ci fosse un po’ di quell’insopportabile disprezzo provato da chi tace nei confronti di chi prende la parola in un silenzio di piombo? Come un invito al comodo imborghesimento di una vita sedentaria, asettica e priva di rischi?
François De Smet, La marche des ombres

Lunedì scorso a Bruxelles, davanti al parlamento europeo, erano presenti anche loro: i “sopravvissuti del Mediterraneo”, venuti a rendere omaggio a chi, come loro, ha tentato di raggiungere l’Europa e non ce l’ha fatta. C’era Abdoul, un ragazzo mauritano arrivato senza documenti in Belgio nel 2009, passato per un centro di identificazione ed espulsione dal quale è stato liberato perché l’ambasciata del suo paese, con grande scorno delle autorità belghe, rifiutava di concedergli un lasciapassare.

Dall’estate scorsa fa parte della Voix des sans sapiers (Vsp), un collettivo che ha occupato uno stabile non lontano dal centro storico di Bruxelles, nella commune di Molenbeek. Insieme ad altri collettivi, Vsp ha dato vita al Coordinamento dei sans-papiers di Bruxelles: ci sono i richiedenti asilo del Collectif ebola, provenienti da Liberia, Sierra Leone e Guinea; alcuni afgani che da anni non riescono a ottenere nessun tipo di protezione (né status di rifugiato né protezione sussidiaria); ci sono molte persone escluse dalla campagna di regolarizzazione attraverso il lavoro del 2009; ci sono infine i membri di un collettivo nato da poco, Latinos por la regularización.

A gennaio del 2015, attraverso il suo comitato di sostegno, Vsp aveva indirizzato una petizione al primo ministro belga Charles Michel : “I sopravvissuti del Mediterraneo fanno appello alla vostra umanità”. L’umanità di Charles Michel finora si è tradotta in una totale impassibilità di fronte alle loro proteste bisettimanali vicino al suo ufficio (hanno bloccato l’incrocio di Arts-Loi tutti i lunedì e i giovedì mattina).

Quella di definirsi “i sopravvissuti del Mediterraneo” era stata un’idea di Selma Benkhelifa, avvocata che prova un’inesauribile insofferenza verso il pietismo e l’ipocrisia di tanti discorsi sull’immigrazione. “Tutti a piangere quando affondano le barche nel Mediterraneo, poi una volta che arrivano qui ce ne freghiamo della fine che fanno”, spiega. “In Europa arrivano persone traumatizzate da quello che hanno vissuto, e noi gli provochiamo un secondo trauma”.

Un documento scritto d’urgenza
Il piano di azione in dieci punti presentato dalla Commissione europea lunedì scorso, su cui si concentreranno le discussioni al vertice straordinario indetto oggi, ha un solo pregio: non è né troppo pietista né troppo ipocrita. Scritto nell’urgenza del momento, è un documento schietto in cui la Commissione non parla di vite umane da salvare né di stragi da evitare. Lo scopo è un altro: approfittare del vertice per proseguire nell’opera di esternalizzazione dei controlli alle frontiere (motivo per cui è necessario stabilizzare la Libia) e rendere ancora più efficaci i meccanismi di identificazione ed espulsione dal territorio europeo.

Riassumendo, la Commissione propone agli stati membri di intensificare le operazioni militari e di intelligence già avviate contro il traffico di migranti (punti 1, 2, 3 e 10), di velocizzare il processo di identificazione ed espulsione delle persone senza documenti dal territorio dell’Unione europea (punti 5 e 8, forse ispirati ai “respingimenti a caldo” effettuati dalle autorità spagnole a Ceuta e a Melilla) e di rafforzare la cooperazione con alcuni stati terzi affinché ostacolino il passaggio degli indesiderati diretti in Europa (punto 9). Per un commento dettagliato dei dieci punti rimando all’ottimo post di Fulvio Vassallo Paleologo.

Stomachevoli frasi di circostanza
Alla vigilia del vertice, Statewatch ha diffuso una bozza della dichiarazione che il Consiglio dell’Unione europea potrebbe pubblicare oggi. Il documento si apre, a differenza del precedente, con le solite, stomachevoli frasi di circostanza (“La situazione nel Mediterraneo è una tragedia. L’Unione europea farà tutti gli sforzi possibili per prevenire la perdita di altre vite e affrontare alla radice le cause dell’emergenza umanitaria a cui assistiamo, in cooperazione con i paesi di origine e di transito”). Parole così mi fanno l’effetto di quegli assassini che, prima di essere smascherati dalla polizia, rilasciano in televisione dichiarazioni strappalacrime augurandosi di rivedere presto l’amato figlio, che loro stessi hanno sepolto nel giardino dietro casa.

Segue una lista in 13 punti, tra cui spiccano l’impegno a reinsediare ben – reggetevi forte – cinquemila rifugiati e a “promuovere la riammissione di migranti economici nei loro paesi di origine”, anche attraverso “la cooperazione allo sviluppo”. Strategia vecchia ma sempre efficace, che consiste nel concedere aiuti allo sviluppo solo in cambio di una collaborazione nella “lotta contro l’immigrazione irregolare”. La chiamano more for more policy: più collabori, per esempio dando un lasciapassare ai cittadini che devono essere rimpatriati nel tuo paese, e più aiuti riceverai.

Così, se in un primo momento avevo creduto che il vertice non avrebbe cambiato granché, ora tremo, perché oggi a Bruxelles s’incontreranno uomini e donne (soprattutto uomini) in preda a una sorta di malcelata frenesia guerrafondaia. “Individuare, catturare e distruggere le imbarcazioni dei trafficanti”: Renzi e colleghi giocano a battaglia navale in un mare di sangue senza spiegare che quel gioco l’hanno inventato loro. Il traffico di migranti è un gigantesco business, creato e alimentato dall’assenza di canali legali di immigrazione decisa dall’Unione europea, e in questo lucrosissimo mercato, “barconi” e “scafisti” non sono che pesci piccoli e facilmente sostituibili.

Distruggere le imbarcazioni non servirà a nulla, come non servirà a nulla spingere Tunisia, Egitto, Sudan, Mali e Niger a fermare chi prova a passare per il loro territorio diretto in Europa. Chi ha deciso di emigrare trova altre rotte, altri mezzi, corre altri rischi, come racconta Stefano Liberti nella serie di video Borderline.

“Combattere i trafficanti di uomini significa combattere gli schiavisti del ventunesimo secolo”: meglio la brutalità di un Salvini o di una Santanchè che simili monumenti di ipocrisia.

Le proposte di François Crépeau
Una delle poche persone che, pur ricoprendo una carica istituzionale, dice cose sensate sulla questione è il giurista canadese François Crépeau, dal 2011 relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani dei migranti. In un mondo ideale, il primo Commissario europeo per la migrazione, i diritti fondamentali e gli affari interni sarebbe stato una persona come lui (invece ci ritroviamo con un ex ministro della difesa, il greco Dimitris Avramopoulos).

Crépeau ricorda che negli anni settanta, per accogliere i profughi in fuga dall’Indocina, fu avviato un piano internazionale di reinsediamento che permise a due milioni e mezzo di persone di stabilirsi in un nuovo paese. Oggi, per reinsediare un milione di profughi siriani nell’arco di cinque anni attraverso un piano simile, l’Italia dovrebbe accogliere quindicimila siriani all’anno per cinque anni. Sembra poco, ma paragonati ai cinquemila che l’intera Unione europea sembra disposta ad accogliere, quei quindicimila diventano fantascienza.

Grazie a un piano del genere, non ci sarebbero più siriani tra le persone che tentano la traversata del Mediterraneo. Ma altre persone continuerebbero a prendere il mare rischiando la vita. Per questo Crépeau avanza una seconda proposta, che riguarda chi cerca di raggiungere l’Europa principalmente per trovare un lavoro. “I migranti non sono stupidi, non andrebbero in posti dove non c’è lavoro”, osserva. “I lavori ci sono, lavori pagati poco, nell’agricoltura, nell’edilizia, nella cura degli anziani o dei bambini”. E “poiché abbiamo bisogno di queste persone perché raccolgano i nostri pomodori e puliscano i nostri piatti, dovremmo creare un sistema di immigrazione per tutti i livelli di qualifica”.

Non sentirete la Commissione fare questi discorsi. In materia di immigrazione legale prevede solo di rivedere la direttiva sull’ingresso e il soggiorno dei lavoratori altamente qualificati. Gli altri sono pregati di continuare a crepare nel Mediterraneo o, se arrivano in Europa, a farsi sfruttare lavorando in nero. E tanto peggio se secondo alcune stime entro il 2050 in Europa mancheranno 35 milioni di lavoratori.

Le proposte di Crépeau andrebbero difese e discusse da un fronte il più ampio possibile di economisti, storici, giuristi e organizzazioni non governative.

La Convenzione di Ginevra sui rifugiati va aggiornata
Discutiamo della distinzione tra rifugiati e non rifugiati, presentata come una differenza che esiste in natura. È invece il risultato dell’interpretazione non sempre corretta di un insieme di testi giuridici, tra cui la Convenzione di Ginevra del 1951, che possono e devono essere rimessi in discussione e adattati ai tempi. Secondo il commissariato generale belga per i rifugiati e gli apolidi (Cgra), per esempio, Nosheen Sabir non è una rifugiata. Così venerdì scorso è stata espulsa verso il Pakistan, che aveva lasciato per sottrarsi a un matrimonio forzato. “Deve adattarsi alle tradizioni del suo paese”, ha riferito, incredulo, il suo avvocato. Dal giorno del suo rimpatrio di lei non si hanno più notizie.

Non era un rifugiato nemmeno Oumar Dansokho, un giovane richiedente asilo guineano che il 2 aprile si è dato fuoco ed è morto a Bruxelles dopo aver esaurito tutti i mezzi di ricorso possibili. Non era un rifugiato Aman ben Lamri, che quello stesso giorno si è strangolato con una cintura in una cella del Cie di Merksplas pur di non essere rimpatriato in Marocco. Parliamo dei sopravvissuti del Mediterraneo che a volte muoiono sulla terraferma, uccisi da quelle stesse, violente politiche di esclusione.

Discutiamo di proposte come quella dell’economista francese Emmanuelle Auriol di “vendere dei visti” ai lavoratori stranieri. Si può non essere convinti dai discorsi ultraliberali di chi auspica una libera circolazione di lavoratori poco qualificati e, per quanto in regola, facilmente sfruttabili: parliamone.

Parliamo delle responsabilità dei paesi occidentali nelle situazioni di povertà e di instabilità che scuotono tanti paesi. “La cosa principale da fare per fermare la migrazione”, scrive sul Guardian il drammaturgo Anders Lustgarten (autore di Lampedusa, in scena fino al 26 aprile al Soho Theatre di Londra), “è abolire la mafia dello sviluppo: la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, la Banca per gli investimenti europea e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo”. Parliamo anche di questo, e parliamone con i diretti interessati, con le persone che fuggono da quei paesi e con quelle che sono ancora lì e hanno un punto di vista ben diverso dal nostro sulla “cooperazione allo sviluppo”.

Cambiare il discorso prevalente sull’immigrazione
Solo così comincerà a cambiare il discorso dominante sulla migrazione, portato avanti da responsabili politici ma anche da istituzioni internazionali come l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, un discorso che catalizza paura e volontà di controllo intorno alla generica figura del “migrante”. È giusto chiedere delle missioni di salvataggio marittimo, ma solo se queste richieste si accompagnano a rivendicazioni più ampie e ben argomentate. Altrimenti si rischia di fare il gioco di Renzi e compagnia, che forse ci faranno la grazia di mandare qualche nave a salvare i “disperati” mentre con le loro politiche continueranno indisturbati ad alimentare le cause di quelle traversate.

Possiamo fare altro. Piangere i morti nel Mediterraneo senza sostenere chi è arrivato fin qui vivo ma sprovvisto dei documenti “giusti” è un’offesa a quei morti e a quei vivi. Oggi, come ogni giovedì, il Coordinamento dei sans-papiers di Bruxelles manifesterà all’incrocio di Arts-Loi, per poi dirigersi verso la sede del Consiglio dell’Unione europea, al rond-point Schuman, mentre domenica 3 maggio è prevista una grande marcia. In ogni paese europeo esistono collettivi simili, e contano sulla solidarietà di chi s’indigna guardando il Mediterraneo.

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