Un altro film eccezionale, arrivato in chiusura di festival veneziano, è l’iraniano* The paternal house* (Khaneh Pedari) di Kianoosh Ayyari, presentato però in Orizzonti e non nel concorso ufficiale. Un film che tutte le donne dovrebbero vedere. Ma anche noi uomini. E che ha rischiato di non passare le maglie della censura del paese d’origine.
Il regista, classe 1951, innumerevoli opere alle spalle, ha annullato la conferenza stampa di venerdì 7 e non se ne conoscono ancora i motivi.
Ambientato per intero in una casa iraniana, nelle sue stanze, soprattutto nella sua cantina e nel suo (meraviglioso) cortile, il film ci fa attraversare insieme a una popolosa famiglia varie epoche dell’Iran moderno. L’esterno è sempre visto da spiragli: da finestre, porte, ornamenti di verande – spiragli che lungo la narrazione saranno sempre estremamente esigui e stretti, metafora della società iraniana. Tutto, qui, è uno specchio del mondo sociale iraniano al pari del luogo d’ambientazione.
È infatti un affresco della storia iraniana vista con il prisma di un microcosmo familiare: sullo schermo scorrono circa ottantacinque anni. Tutto è catacombale e in nero, eppure nessuna cupezza formale. Un film che “funzionerebbe” nelle sale. La camera è mobile, vivace, quanto è concitata e mediterranea la recitazione e lo spostarsi nell’abitazione dei personaggi. Ecco un dispositivo, quello dell’abitazione, che pur essendo evidente nella sua allegoria – sulle clausure imposte alle donne con il velo e più in generale sull’attuale chiusura della società iraniana come pure su quella pregressa – riesce, grazie alla precisione nel riportare comportamenti, dialoghi (grande il lavoro per dar loro naturalezza e credibilità) e psicologie umane, a restituire un dramma vivido all’interno del flusso della quotidianità di una famiglia con una grande scioltezza di narrazione, dalla regia al montaggio. L’approccio formale è l’unica cosa non “costretta”. Bel cavallo di Troia che contiene al suo interno i soldatini del contenuto e della constatazione implacabile.
Potremmo definirlo un film sulla circolazione del Male. Ma è privo d’inquietudine metafisica, siamo il più vicino possibile all’umano, come forse in questo festival è riuscito a far meglio solo il filippino Brillante Mendoza con
Thy womb. Il che non vuol dire che la coscienza, l’interrogazione interiore, non pesino sottotraccia. Pesano come un macigno invece.
Pesava molto meno, al contrario, il sasso acuminato con cui un figlio, un ragazzetto di dieci-dodici anni, viene indotto dal padre ad uccidere la sorella, dopo averla trascinata per le gambe giù per le scale, poi coperta con un cappuccio di tela. Il motivo è una questione d’onore familiare insensata e futile, se vista con occhi moderni. Ma gravissima se vista con occhi antichi.
Un peso che schiaccerà un’intera famiglia. Famiglia a cui ci si affeziona malgrado tutto, perché il film rimane molto umano nel suo sguardo dall’inizio alla fine. Prima la madre, che morirà di crepacuore piangendo sulla tomba segreta situata nella cantina, poi il padre stesso, principale ma stanca autorità familiare, che pur non rinnegando mai il gesto criminale lo vive come una condanna da sopportare con rassegnazione. Una predestinazione. Infine il figlio, il quale, ormai vecchio, interrompe la catena maledetta vendendo l’abitazione nel frattempo abbandonata. Verrà distrutta, emblema di grande bellezza di un Iran antico che andrà perduto per sempre, nel bene e nel male. Il figlio, infine, fa dissotterrare le ossa della sorella per dargli giusta sepoltura. Lo shock è tale che avrà un ictus, forse non mortale.
Il peso delle tradizioni, la camicia di forza che rappresenta il potere patriarcale, feroce quanto risibile, i carnefici che sono anche vittime, e la grande freschezza di regia, sono tutti elementi che lo avvicinano al capolavoro Una separazione dell’iraniano Asghar Farhadi. Senza raggiungere quei livelli, ci troviamo però di fronte a una rappresentazione della società iraniana precisa, inesorabile, realizzata con modalità mai viste prima. La compressione in 99 minuti dona al film ulteriore densità. Unica costrizione in positivo.
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