09 marzo 2016 18:13

È la prima volta per un festival del cinema, almeno per uno importante come quello di Locarno. Dopo i registi Aleksandr Sokurov e Edgar Reitz e lo scrittore Emmanuel Carrère, quest’anno gli ospiti d’onore sono due maestri del fumetto d’autore. L’italiano Lorenzo Mattotti e il francese Blutch sono stati invitati a parlare del loro rapporto con il cinema e gli è stato chiesto di selezionare alcuni titoli appartenenti alla storia del cinema. L’appuntamento è con L’immagine e la parola, l’edizione breve marzolina (dal 10 al 13 marzo) curata da Daniela Persico.

Il festival di Locarno, cogliendo la crescente importanza del fumetto – ma, come scrive il direttore artistico Carlo Chatrian, “guardando oltre le mode del momento” – ha deciso di puntare l’attenzione su due autori riconosciuti.

Uno è Lorenzo Mattotti, che si appresta a pubblicare il nuovo atteso graphic novel, a cui lavora da circa dieci anni, e che in Francia è appena stato consacrato da una mostra che ha avuto un enorme successo di pubblico. E l’altro è il francese Blutch, autore di diversi ottimi graphic novel, alcuni fondamentali, purtroppo solo in parte pubblicati in Italia da Coconino press, Rizzoli Lizard e Q Press.

Gli appassionati di cinema e di fumetto, ma anche di arte e letteratura, potranno così capire, in un percorso inedito, cosa unisca l’arte di Mattotti a Les années lumière di Alain Tanner o cosa unisca l’arte di Blutch a film come The wind del danese Viktor Sjöström o la commedia Comme un avion del francese Bruno Podalydès.

Dunque due autori cinefili: Mattotti ama Herzog, Antonioni, il Coppola di Apocalypse now, il Wenders degli inizi e ovviamente Tarkowski; Blutch guarda invece a Godard, all’Orson Welles di F for fake e ad Alain Resnais. Da segnalare, tra l’altro, che il festival avrà come evento di chiusura proprio il nuovo film di Werner Herzog, Lo and behold. Reveries of the connected world.

Il fumetto antinarrativo

Mattotti è uno tra i più affermati illustratori al mondo (collabora con Internazionale, Le Monde, New Yorker, il Corriere della Sera e la Repubblica) e pur avendo compiuto diverse escursioni di prestigio fuori del mondo dell’illustrazione (come quella per Lou Reed con The raven oppure nel cinema d’animazione, dal Pinocchio di Enzo d’Alò al film collettivo Peurs du noir che saranno riproposti a Locarno) è sempre rimasto legato all’universo del fumetto, dove ha cominciato con opere in bianco e nero introducendo successivamente il colore pittorico. Quando apparve Fuochi per molti fu una rivelazione e una rivoluzione, come l’uscita della Ballata del mare salato di Pratt o Arzach di Moebius.

Anche Blutch, pseudonimo di Christian Hincker, è autore di una vasta serie d’illustrazioni, ampiamente esposte quando fu presidente, nel 2010, del prestigioso festival di Angoulême. Stéphane Delorme, direttore dei Cahiers du Cinéma (per il quale Blutch ha realizzato la copertina dedicata alla strage di Charlie Hebdo), ha scritto che il libro di Blutch, Per farla finita con il cinema, è “uno dei più grandi saggi teorici sul cinema” .

Sia Blutch sia Mattotti amano il fumetto popolare, e i loro libri ne sono intrisi: Blutch viene dal giornale umoristico Fluide Glacial, Mattotti fu segnato, per esempio, dalle sperimentazioni di Off Side, dove si univa il fumetto popolare in modo nuovo, da Bonvi a Crepax, in maniera più sperimentale e più pop rispetto a Linus. I due autori sono lontani e al contempo vicini, anche su alcuni aspetti di fondo strettamente artistici.

Vicini perché entrambi hanno gradualmente preso la strada del fumetto antinarrativo, non una destrutturazione della narrazione alla Frank Miller o alla Alan Moore che riescono a trascendere il sistema dei generi, ma piuttosto una sua dissoluzione in qualcosa di astratto ed etereo. Una narrazione liquida al pari dell’approccio grafico, dove le citazioni, dalla storia della pittura, del disegno e del fumetto stesso, si fondono in un tutt’uno per divenire qualcos’altro, andando così oltre la palude del postmoderno, e creando un organismo nuovo, onirico, sempre sospeso tra la vita e la morte.

Galleggiare in una dimensione altra

Sarà interessante vedere come Mattotti, segnato dalla questione della luce nell’ombra e dalle vestigia umane e non (da qui il suo grande amore per il russo Tarkovski, regista-pittore di vestigia avvolte nella luce oscura e viceversa), analizzerà quello che figura tra i suoi rari graphic novel narrativi, più “carnali” e tra i pochi in bianco e nero, ma che in realtà illumina meglio la restante bibliografia. Le tre ore di workshop a lui dedicato vivisezioneranno il pasoliniano Stigmate, la cui sceneggiatura è dovuta allo scrittore Claudio Piersanti.

Nel workshop dedicato a lui Blutch presenterà Per farla finita con il cinema. E poi tutti e due saranno protagonisti di un incontro con il pubblico.

Le immagini sembrano concepite in uno stato di sospensione, tra la vita e la morte, tra il sogno e il reale

Quando si leggono opere storiche di Mattotti come Il Signor Spartaco, viaggi di un epicentrico, Fuochi o La zona fatua (quest’ultimo su sceneggiatura di Jerry Kramsky), capolavoro-presagio del 1987 sull’odierno sentimento di guerra e apocalisse che ci insegue dalla guerra di Jugoslavia, quando si guardano opere di Blutch inedite in Italia come La volupté, definito da alcuni come un “Jean Renoir rivisto da David Lynch”, C’était le bonheur, il secondo volume di Il piccolo Christian, o ancora tante illustrazioni dei due autori, si ha la sensazione di galleggiare in una dimensione “altra”.

Le immagini, specie quelle di Mattotti, sembrano concepite in uno stato di sospensione, tra la vita e la morte, tra il sogno e il reale, tra l’incubo e il sogno, tra un universo parallelo e l’altro. Non solo nell’interstizio degli opposti ma perfino negli opposti nascosti all’interno degli opposti stessi, come in una spirale, come in un vortice di specchi.

E i personaggi di Mattotti, dall’apparente immobilità, sembrano correre nella luce metafisica – e nella storia dell’arte metafisica – come tanti Bonaventura in fuga sia tenera sia disperata dalla condizione umana, proprio come i personaggi di Blutch sembrano avere occhi condannati a essere perennemente spalancati, reincarnazioni dei personaggi protagonisti e soprattutto dei fantasmi del Topolino nella casa dei fantasmi (1936), del raffinato Floyd Gottfredson. Un’infanzia (grafica e non) per sempre gelata nello spavento, che sembra non essersi mai ripresa dall’urlo di Munch, più di una volta citato da Mattotti, ma reinventato con finezza e profondità.

Questo fumetto ectoplasmico è in piena sintonia con le tendenze più avanzate del cinema d’autore contemporaneo, dal tailandese Apichatpong Weerasethakul, palma d’oro a Cannes nel 2010 (Zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti), al portoghese Miguel Gomes (in particolare quello di Tabu), che trova finalmente propaggini importanti anche nel cinema italiano, in particolare con Pietro Marcello, come abbiamo cercato di spiegare proprio da Locarno al momento della presentazione in concorso di Bella e perduta.

Ecco quindi registi e autori di fumetti che cercano di esprimere forme nuove dalla memoria sedimentata del cinema, mostrando che esiste un futuro per le forme dell’arte se si esce dal citazionismo postmoderno come gioco narcisistico, per indagare in modo nuovo l’inquietudine dell’uomo contemporaneo con la poesia. Film e fumetti dove chiusura o apertura degli occhi sono inscindibili, una simbiosi, un tutt’uno.

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