21 dicembre 2014 15:58

Il 20 maggio 2015 David Letterman andrà in onda per l’ultima volta con il suo Late show. In Italia lo trasmettono dal 1999 ed è stato lui, più degli altri suoi colleghi o pupilli che abbiamo imparato a conoscere, a insegnarci l’ambiguo piacere di guardare l’attrice che presenta il film, e allo stesso tempo il conduttore che la prende in giro con distacco. Che forma di piacere è? Che genere di carriera e di vita ci ha costruito sopra David Letterman?

L’altro mistero, da leggere in controluce, è chi siamo noi spettatori, che a Letterman abbiamo sempre chiesto due cose insieme: un po’ di intrattenimento – il trailer del film di Jennifer Aniston, due chiacchiere con Julia Roberts – e allo stesso tempo quell’ironia che ci dia l’idea che in fondo non crediamo allo star system. Se lui, così ironico, così sveglio, così più chic di quel rozzone di Jay Leno, poteva non sentirsi in colpa a fare per lavoro il promotore di star, anche noi potevamo non sentirci in colpa a guardare il suo programma.

(Quest’articolo è molto lungo, e quindi, come si fa nei late show, vi annuncio gli ospiti: nella seconda parte del pezzo troverete delle top 5 dedicate alle donne, ai matti e ai grandi discorsi di Letterman. Dentro ci sono Joaquin Phoenix, Julia Roberts, Andy Kaufman, Charlie Rose, le Kardashian e molti altri. Dopo le top 5, in chiusura, La versione di Wallace, dove David Foster Wallace dice la sua sulla questione. E ora cominciamo).

La quinta colonna della società dello spettacolo

Come genere, il late show è condotto da un comico: sia che nasca stand up comedian, come Letterman e Leno, sia che nasca autore comico, come Stephen Colbert o Conan O’Brien. Il late show è fondamentalmente un contenitore brillante per la promozione di prodotti di intrattenimento – gli ospiti sono artisti, attori, politici, uomini di sport, personaggi del momento, tutti invitati a pubblicizzare o un prodotto, o più in generale quel che oggi si definisce “il proprio brand”. Come mai proprio dei comici devono presiedere a questo rito pubblico? Forse, la comicità è l’arma con cui lo spirito americano compensa la serietà che lo showbiz si attribuisce come sistema simbolico ed economico. Il comico entra in scena, fa qualche minuto di introduzione, un suo numero comico con cui racconta alcuni fatti importanti di attualità, scritti da sé e dai propri autori, poi si accomoda alla scrivania e lascia sfilare due o tre ospiti che vengono a farsi pubblicità.

La posizione del comico è particolare: è il buffone che può gridare che il re è nudo, ma allo stesso tempo è il padrone di casa. È l’organizzatore della festa, e ne è il disturbatore. A seconda delle inclinazioni del presentatore, questa ambiguità di fondo si gioca in vari modi, ma fondamentalmente, per fare un esempio italiano, sarebbe difficile immaginare in America una conduzione di un late show nello stile del Luttazzi di Satyricon.

“Il Letterman italiano”, più o meno

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Con la sua geniale sgradevolezza e le scenografie freddissime, una quindicina di anni fa Daniele Luttazzi sabotava il meccanismo del late show americano. Se si poteva pensare che, rispetto al più addomesticato Fabio Fazio, Luttazzi importasse il vero spirito beffardo degli americani, in realtà a ben vedere era il contrario. Fazio aveva capito il rapporto tra commedia e promozione che hanno stabilito gli americani, e ne dava e ne dà l’interpretazione più leggera possibile; Luttazzi era interessato per lo più ai propri monologhi grotteschi e alle ospitate politicamente rilevanti, come quella in cui lanciò Marco Travaglio.

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La ragione di questo fraintendimento è che Luttazzi ama i comici americani più duri e politicizzati, che nei late show andavano a fare i monologhi, ma mai a condurre. Luttazzi sognava di portare in Italia la comicità scomoda e seghettata dei Bill Hicks, dei George Carlin, morali, moralisti e irregolari.

Per quanto noi italiani abbiamo idealizzato il seducente e piacevolissimo format del talk show notturno, il modello americano vive sempre e comunque di una contraddizione: il comico che conduce lo show deve rendere accettabile a un pubblico intelligente quel che non è altro che pubblicità fatta con gusto. L’ultima generazione di conduttori, i pupilli o ex pupilli di Leno e Letterman come Conan O’Brien, Jimmy Fallon e Jimmy Kimmel, pendono, con tutta l’urgenza di chi ogni giorno deve diventare virale e trending, verso il polo più compiacente della faccenda, quello promozionale.

Letterman è stato il più bravo perché è stato il più snob

Letterman è il più laterale di tutti, il più in grado di soddisfare lo spettatore che ha bisogno di sapersi rappresentato, di fronte alla star-feticcio, da un uomo che non ci casca, che non crede minimamente allo show business e sa, all’occorrenza, distruggere i suoi invitati (Paris Hilton è il caso principe, “ti è piaciuta la prigione?”), o al contrario, se il personaggio merita, superare le formalità per dimostrare un’empatia che trascendere la circostanza promozionale.

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Letterman è il conduttore che meglio ha saputo usare il triangolo tra platea, poltrona dell’ospite e scrivania. Guarda sempre il suo ospite di traverso, approfittando del triangolo e della posizione classica della sua scrivania rispetto alla poltrona dell’ospite. Usa l’asimmetria per farsi indietro comicamente, o avvicinarsi, toccare una gamba; ma, tra l’avvicinarsi e l’allontanarsi, il suo movimento che ho sempre in mente è quello all’indietro: nella mia testa gli vedo fare il movimento di buttare indietro le spalle, tutto il peso, per distanziarsi dalle cose dette dall’ospite, specialmente quando l’ospite sta perdendo la dignità (il che capita spesso, perché non tutti hanno un controllo perfetto della propria immagine).

Questa possibilità di fuga, di distanza, è il suo marchio. Il suo genio sta nel mischiare con perfezione stilistica il distacco all’avvicinamento, l’abitudine di dire qualcosa all’orecchio all’ospite in arrivo, o prima della pubblicità, per creare una complicità con la “persona” dietro il personaggio, facendo vedere al pubblico che c’è questo legame segreto.

Questo doppio movimento dà una forma fisica, una narrazione tutta del corpo, chaplinesca, slapstick, all’ambiguità fondamentale del compito – pubblicizzare e dissacrare: se Mike Bongiorno, secondo Umberto Eco, non faceva sentire inferiore lo spettatore italiano, Letterman, col suo stile, ci fa sentire elevati nel momento stesso in cui ci facciamo imboccare, volontariamente, della pubblicità.

Letterman comico, l’alfiere del riflusso

Per capire come David Letterman sia arrivato a questa combinazione di show business e stoico distacco interiore credo si possano percorrere due strade: considerare com’è Letterman le rare volte in cui viene intervistato, e quali sono stati il suo percorso e il suo stile di comico.

Cominciamo dal secondo punto.

Letterman diventa famoso grazie agli inviti al Tonight show di Johnny Carson, il più importante late show d’America, dove è approdato a soli tre anni dalla decisione, nel 1975, di lasciare il Midwest per andare in California a tentare la fortuna. Diventa subito un ospite assiduo, e i suoi numeri di stand up si rivelano l’opera di un compassato stilista del nonsense conservatore.

Per il cane che soffre di costipazione

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Eccolo ospite nel talk show del suo maestro, nel 1979. Il primo sketch del filmato parla di cibo per cani: Letterman dice che ha visto la pubblicità di un prodotto “per il cane che soffre di costipazione”. E la sua battuta è: “Se il vostro cane è costipato, che senso ha rovinare una bella cosa?” L’aria furbetta di chi dice una battuta un po’ stramba e sinistra su un tema del tutto innocuo. Tiene le mani sulla cintura come un cowboy e registra la reazione del pubblico.

Lo stesso anno, sedendosi in poltrona accanto alla scrivania di Carson, comincia (52,57) a raccontare di una spiaggia di nudisti. Qui fa la parte del conservatore invece che dello strambo, che viene lasciata ai nudisti. La comicità di Letterman è una camera di compensazione per stramberia e normalità, e lui difende la necessità che entrambi i due elementi convivano per creare una società sana.

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Dei nudisti dice che sono brutti, “e a me in genere le persone nude piacciono”. Ci sono donne di centocinquanta chili, dice, di cui una che insegue un frisbee: “Sai quando vedi un camion in curva e hai paura che spostando il peso possa collassare? … E poi ci sono varie parti del corpo che sbattono una contro l’altra: alla fine della giornata quella donna dev’essere piena di lividi”. Ma lui, dice, non ha pruderie. Ciononostante, non andrà coi nudisti: “Ci sono certe parti del mio corpo che preferirei non coprire di sabbia. Figuriamoci ustionarle al sole”.

La faccia bianca e liscia di Letterman giovane, monello adorabile, non ha conflitti sociali in faccia, ha una faccia che si vede benissimo, come disegnata.

Non sono stato influenzato da Lenny Bruce

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Questa comicità leggerissima la teorizza in un’intervista nei primi anni californiani. Sono i tempi in cui si esibisce al Comedy store di Los Angeles. L’intervista è definita una “conversation with the struggling comics”, i comici che si sbattono e cercano di sfondare: lui è ancora uno di loro, e in quanto tale viene intervistato. Un Letterman concentrato e determinato, direi intensamente inespressivo, ascolta l’intervistatrice che lo imbocca: “Lenny Bruce è stato molto importante per i comici…”. Lui risponde: “Non ha avuto nessuna influenza diretta su di me, almeno a livello consapevole”.

Nella metà degli anni settanta, Lenny Bruce, che negli anni sessanta gridava “moriremo tutti!” e svariava nei monologhi come un John Coltrane della blasfemia, della droga e della contestazione, e che era morto da una decina d’anni, è un nome da cui ci vuole quasi del coraggio per prendere le distanze. Letterman ammette che Bruce e Richard Pryor hanno dato ai comici il senso che sul palco si fosse più liberi, ma il suo mito è Johnny Carson, che poi definirà il gold standard di cui lui, Dave, sarebbe, a proprio stesso dire, la versione anemica. Carson è l’idea platonica di sano divertimento intelligente per la gente.

Ero bravo a parlare in pubblico

Questa comicità conservatrice ha una premessa, che ho trovato ascoltando un’intervista fattagli da Regis Philbin nel 2013, di cui parlerò più avanti, ma che va citata qui perché è una sorta di prova, mai citata, di quali fossero le intenzioni del giovane David Letterman quando decise di fare il comico.

Philbin, icona della tv del mattino, e suo amico caro spesso preso in giro al Late Show, dove si lascia trattare come uno sfigato, è curioso di sapere come Letterman sia diventato Letterman. Ora, mi aspettavo di sentirgli dire della sua grande vocazione di comico, ma il racconto, che Letterman definisce una “silly story”, contiene qualcosa di decisivo.

Era il 1969, stava finendo il college. “All’università ero un po’ perso. Avevo qualche amico, e mi resi conto che era importante avere voti alti per rimanere al passo con loro”. Un semestre, decise di iscriversi al corso che insegnava a parlare in pubblico. Come primo esercizio si doveva parlare in pubblico a piacere per cinque minuti. La reazione dei compagni di corso fu incoraggiante: “Mi resi conto che potevo salvarmi così. Smisi di preoccuparmi di ogni altra cosa. Dovevo solo trovare un modo per farmi pagare per parlare”.

“E la comicità?”. domanda Philbin.

“Nel 1975 io e mia moglie ci trasferimmo in California”. Lì si farà conoscere al Comedy store, ma in sostanza la commedia non sembra essere stata la vocazione: la vocazione, se ce n’era una, era parlare in pubblico.

Ospite da Jerry Seinfeld: la comicità è una cosa di cui è meglio non parlare in pubblico

In questi ultimi anni, Letterman, considerato un eremita, si è fatto intervistare con insolita frequenza. Cominciamo dalla sua apparizione al nuovo programma di Jerry Seinfeld, il più importante comico americano degli anni novanta grazie alla quasi omonima sit-com Seinfeld. Altro comico disimpegnato a oltranza, ma campione dell’observational comedy, quella in cui i comici trasformano in arte il racconto di una fila alla posta, Jerry Seinfeld ha inventato una trasmissione online che si chiama Comedians in cars getting coffee. Il format è semplice e geniale: siccome i comici preparano il loro materiale cazzeggiando nei bar e girando per la città, lui si presenta con una macchina curiosa che gli ricorda l’ospite, lo passa a prendere a casa, e insieme vanno a fare colazione.

Seinfeld ha invitato chiunque, da Louis CK a Jay Leno, da Sarah Silverman a Jon Stewart, da Chris Rock a Mel Brooks. A differenza di quasi tutti gli altri ospiti, che, essendo appunto comici, parlano volentieri di ciò che vedono intorno a sé alla ricerca costante di materiale comico, Letterman, amico di lunga data di Seinfeld, si scopre pochissimo. Girano in macchina per il Connecticut, su un’auto di Letterman che è un regalo di Paul Newman, con cui condivideva la passione per le corse, non parlano di quasi niente, anche se Jerry cerca di lanciare argomenti vari.

Bello con la barbetta bianca, gli occhiali dalla montatura trasparente, Letterman parla poco, racconta poco. Giacca blu, ma non il solito blazer da tv, una felpa bianco sporco dal colletto rotondo, i jeans grigio scuro dall’aria costosa, morbida, e gli stivaletti rossi stringati. È soprattutto un bell’uomo misterioso. È timido, ride, si tiene, è nordeuropeo. Come se esistesse una confidenza con Seinfeld che non deve essere rivelata agli spettatori.

Ha gli occhi stanchi, ascolta l’amico tenendo la testa piegata. Guarda fisso un bicchiere d’acqua, smette di rispondere. Ride, è educato, fa rare battute. Stringe i pugni quando ride. Ha degli occhi verdi che guardano nel vuoto. Si scandalizza quando Seinfeld dice una cosa estrema sulla morte dei propri figli. Gli risponde: Good Lord. Sembra non voglia far vedere il lato comico della sua personalità.

Come vedremo nel prossimo paragrafo, Letterman invece in questi ultimi anni si confessa spesso e volentieri, con candore quasi avanguardistico, specie quando è intervistato da presentatori per un pubblico mainstream che vuole sentire le cose popolari, le grandi storie, i grandi sentimenti.

Tre interviste per capire cosa è diventato.

Il Letterman intervistato nell’ultima fase della sua carriera è un contrappunto dolente al Letterman comico e al quello cinico intervistatore.

Letterman è un uomo del Midwest che ha lasciato l’America profonda a ventotto anni già completamente formato. Gli interessa la gente che soffre, le buone maniere in pubblico, un’educata sfida alle medesime tanto per non perdere la libertà di movimento. Ama parlare di famiglia, di malattia, della fatica di vivere. Su tutto ciò fa delle battute, ma mai con il vigore antisociale, viscerale, di certi suoi colleghi. È come se Letterman pensasse che la comicità non dev’essere in opposizione alla società, ma in contrappunto, e che se gli altri comici sono dei disadattati, lui invece è in grado di conservare il posto fisso e portare a casa lo stipendio insieme al rispetto da parte della comunità.

Negli ultimi due anni, ha cominciato a farsi vedere in selezionati programmi altrui, come a preparare nel pubblico l’idea che di qui a poco non sarà più lui a condurre il gioco. Il Letterman intervistato è un grande vecchio buono consumato dalla vita, ma ancora strambo, monellesco come da ragazzo.

Da Charlie Rose: la depressione

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Alla fine del 2013, quando si fa intervistare dal gigante Charlie Rose, non ha ancora annunciato il suo ritiro, ma col senno di poi si sente nell’aria. Si parla solo di cose serie, ma per Letterman, la tv è il posto dove di cose serie si può parlare onestamente. In questo non è diverso da Oprah Winfrey e il suo talk confessionale: solo che lei lo fa sempre, lui invece solo ogni tanto. Se nelle interviste agli altri spesso di scherza fino a mettere tra parentesi il fatto stesso che le vite dei suoi ospiti sono vite reali, nelle interviste fatte a lui (che conosce ogni contromossa possibile a ogni genere di intervistatore) è bravissimo a tenere il punto, a dire cosa gli sta cuore, e poi è il primo a scherzarci sopra, ma in un modo che fa come da lacca a ciò che stato detto, e non lo cancella, non lo seppellisce con una risata.

Questo gioco, a cui evidentemente tiene molto, gli viene bene nelle trasmissioni mainstream, dove arriva come un messia.

A Charlie Rose, che è forse il più serio ed empatico intervistatore d’America, dice: “Devi imparare a fidarti della gente”, a proposito dei medici che gli hanno impiantato i bypass che gli hanno salvato la vita.

Per spiegare come ce l’ha fatta nel lavoro, cita con grave autoironia due forze fondamentali: il senso di colpa e la paura di fallire. “Sono perseguitato dai sensi di colpa, sia reali che inventati, e l’altra grande motivazione è la paura di fallire”. Ma chiosa questa battuta con una frase costruttiva, da mentore, e da uomo perfetto per i grandi sentimenti del pubblico generalista: “Quando ci si concentra tanto su una sola cosa, ci si perde quel che succede intorno”. Biasima se stesso per essersi perso tante cose belle della vita a causa del lavoro.

Rose lo porta con delicatezza a parlare della depressione. “C’è stato un momento in cui hai combattuto con la depressione e hai scoperto che le medicine aiutano molto”.

Letterman è libero di parlare senza interruzione di qualcosa di serio di cui lui faticherebbe a lasciar parlare gli ospiti del Late Show. Spiega come ha accettato l’idea di prendere medicine. “Pensavo mi facessero allucinare o addormentare. Prova dieci millimetri, mi ha detto il dottore. Avevo il fuoco di sant’Antonio. Ho smesso di prenderle. Mi è venuta l’ansia nervosa. Allora ho deciso di curarmi bene: tutto pur di superare la depressione”. E ancora, sempre più a cuore aperto: “Non so cosa lo causa. Non so se è trauma o sfortuna. Ma ce l’ho”.

Poi si critica per come gestì il periodo in cui Johnny Carson, andando in pensione, consegnò il proprio show a Jay Leno invece che a lui. “Ho dato il mio peggio, in quel periodo. Era insicurezza, rabbia, paura di fallire”.

E poi, una dichiarazione di poetica: “Oggi ciò che mi fa ridere è qualcosa di molto scemo, ma che abbia qualcosa di reale”.

Il finale è strappalacrime. Dice a Rose che si pente di essersi comportato male con la Pbs, il network per cui lavora Charlie Rose: “Mi avete sempre trattato bene”.

“Perché ti vogliamo bene”, è la risposta seria di Rose.

Aaaaaaaw”, dice Letterman.

Da Regis Philbin: anche i ricchi si vogliono bene

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Analogo sentimento misto a equilibri di potere lo troviamo quando Regis Philbin, vecchio amico, deve sostituire Piers Morgan nel talk show Cnn, maggio 2012. È Letterman che appena l’ha saputo ha proposto a Regis di intervistarlo, facendogli un grande onore, perché Dave non lo “vedete camminare per New York. Non lo vedete al Waldorf. Non fa cose del genere”. Letterman è un eremita, ma allo stesso tempo ha rapporti intensi con questi re della televisione americana. Ed è capace di creare in studio un’intimità paradossale, performativa ma disarmante.

Qui entra in scena parlando delle luci dei bagni dello studio di Piers Morgan, molto più belli dei bagni del vecchio programma di Regis. Poi subito una cosa intensa: parla dell’Ed Sullivan theater, di come lo salvarono stabilendo lì il Late show. Parla della produzione, dell’intimità. Sembra vecchio, serio, autorevole, quasi un politico. Parla del bypass, e della faticosa prima puntata del Late show dopo l’undici settembre.

Dove porta tutto ciò? È un inno alla tradizione e alle cose ben fatte, condito di battute. Una chiave di lettura la dà la sua difesa del suo stile bipartisan nel fare satira politica: “Tutto dipende da chi è più facile da prendere in giro”. Cioè si pone come centro equilibrato, distanziandosi implicitamente dai comici liberal come l’amico Jon Stewart, che sono considerati profeti per una minuscola élite snob e lontana dal paese. Considerate tutte le differenze, è un po’ come quando da giovane si smarcava dall’influenza di Lenny Bruce.

In questa intervista, come nell’altra, ci tiene a non sembrare un comico, ma una persona vera, che ha vissuto e sofferto, e che non guarda dall’alto in basso la gente.

Da Barbara Walters: il monello irresistibile per signore

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  1. Terza intervista con i grandi della tv americana: va al talk di Barbara Walters. In un divano con quattro donne, tra cui Walters e Whoopi Goldberg, fa il monello irresistibile, che dice una battuta simpatica e scandalosa ma poi parla della famiglia.

Ha la posa da pennellone geniale che vuole inserirsi nei giri giusti ma senza ridicolizzarsi, sempre mantenendo il proprio stile fatto a metà di aplomb e di battute impertinenti perdonate dalle signore perché hai quella fessura tra gli incisivi che ti fa sembrare Bugs Bunny. Per farsi appunto perdonare il non essere mai andato in trasmissione dice a Barbara: “Be’, tipicamente non mi alzo prima dell’una, le due di pomeriggio”.

Uomo del popolo, si mette a parlare dell’esperienza della pensione, che lo aspetta. “Sono stufo della gente che mi dice ‘Oh, vai in pensione, cosa farai?’. Mi scordo sempre che sto per andare in pensione, quindi non so cosa rispondere, allora dico ‘sì, anch’io’, e tiro dritto”. Si sta pentendo di aver preso la decisione. Lo dice col tono leggero, in punta di becco, perché a volte usa la bocca come un becco. Deve trovarsi qualcosa da fare: “Avete lavori da offrire, qui?”.

Poi, seriamente, con la solita alternanza di serio e sdrammatizzante: “È ora per me di lasciare questo lavoro. Troppe volte mentre stavo facendo qualcosa di bello a un certo punto mi dicevo, Eh, purtroppo devo tornare al lavoro”.

Quindi di nuovo scherza, stavolta sulla sala trucco dello studio di Barbara Walters: “È come una fabbrica, un magazzino. Ci si possono truccare mille persone contemporaneamente. E c’è una squadra di liceali – allarga le braccia – che massaggiavano le gambe di questa donna” (un’ospite bionda che non riconosco) “vigorosamente. È la battuta sfacciata ma accettabile, che non mette in crisi ma stuzzica il pudore e l’orgoglio. Mentre le signore se la ridono lui chiede alla massaggiata: “Cos’è? Un problema di circolazione? Stai bene? Good Lord, che scena!”.

Dove Good Lord ha quel suono di esclamazione sana, un po’ come il Good Grief di Charlie Brown, che per noi era Misericordia!

Lo schema è sempre lo stesso: il conformista strambo. E monello: vuole rassicurare le signore che il suo successore Stephen Colbert, un pupillo di Jon Stewart, molto politico quindi, sarà in grado di sostituirlo: “Guardate la mia faccia… Io l’ho fatto per trent’anni, lo può fare anche Colbert”.

Che di per sé non significa assolutamente niente, ma tutte le donne fanno soddisfatte mmm mmm…

Alla fine una delle ospiti gli chiede: “Ma cosa ci trova Barbara in te?”.

E lui: “Per questa domanda, puoi chiedere a ogni donna nel pubblico”.

Tripudio. Ma la futilità viene compensata dall’argomento figlio, di cui parla affettuosamente, imitandone la voce col falsetto. Le donne sono rapite. Lui mette la mano sulla coscia di Barbara Walters e dice che lei, venendo ospite al suo show quando lui non era nessuno, gli ha dato molta credibilità.

Quando i grandi sportivi vanno in pensione, come è capitato quest’anno al leader dei New York Yankees Derek Jeter, si chiama victory lap, il giro d’onore, l’intera stagione fatta giocando per l’ultima volta nei vari stadi delle squadre avversarie, che gli rendono omaggio. Questo è il giro d’onore di Letterman, e lui lo usa per ringraziare, ma pure in qualche modo per stabilire la sua legacy, il modo in cui vuole essere ricordato: come una persona sana, con i valori, che può guardare dall’alto in basso i suoi ospiti, ma non le persone: con quelle fa sempre sul serio, e parla col cuore in mano.

Top 5: cose che hanno fatto diventare Letterman un vecchio saggio

Il Letterman alle soglie della terza età trova lo stile che cercava da sempre: ora è un uomo schivo, ma capace di vivere con stile in mezzo agli altri potenti d’America; timido con i comici, caldo ma sbirulino con tutti gli altri. È, con il suo doppiopetto e l’aria quasi da senatore, la voce perfetta dell’America profonda, tutta valori e semplicità d’animo, ma pure riottosità, irriducibilità al sistema. È un individualista rispettoso degli altri e del senso di comunità e di patria.

Questa maturazione, questa definitiva registrazione del suo stile, è arrivata nel corso di un decennio, il primo del nuovo secolo, di eventi importanti della sua vita.

In occasione di questi eventi, tutti privati a eccezione della tragedia collettiva dell’undici settembre, Letterman ha sviluppato la parte più interessante della sua voce. Condividendo con il pubblico le sue gioie e i suoi dolori si è proposto come una sorta di Proust da telecamera, perfezionando una narrative non-fiction esistenziale con fard e gobbo, in cui ha trovato una forza di comunicazione che di solito non ha quando è occupato a veicolare intrattenimento. Potremmo anche dire, visto che quello è stato il decennio del reality, che il suo intermittente reality personale è stato più intenso e avvincente dei reality normali.

Queste cose hanno fatto di lui il vecchio saggio intervistato dai grandi della tv nel secondo decennio del nuovo secolo, e allo stesso tempo rappresentano il culmine dell’aspetto artistico, creativo del suo lavoro, che non si è mai davvero espresso nel medium tradizionale dei comici americani, ossia il palco con microfono della stand up comedy.

2000. Quintuplo bypass

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Torna in scena dopo una lunga assenza accompagnato, baciato e abbracciato da due bellezze vestite da infermiere. Poi fa i caratteristici piegamenti toccandosi le punte per dimostrare di essersi rimesso, mentre il pubblico in piedi lo acclama.

Dice: “Non avete idea di cosa mi è successo”.

Ovazione, visto che in tv non si è parlato d’altro.

“Non mi crederete mai”, rincara la dose. Ride. “Manco da un po’”, dice: ha avuto un quintuplo bypass: “Al cuore! E in più, mi sono tagliato i capelli”. Balla sulle punte, gigione. “Sono felice di poter di nuovo portare dei vestiti che si aprono sul davanti”.

Poi fa un’analogia: un bypass è quando si trovano altre vie per far scorrere il sangue. E dice: “Che è ciò che mi è successo quando non hanno dato a me il Tonight show”, che da Carson fu consegnato a Jay Leno.

Arriva in scena Jerry Seinfeld, che incarna la parte del comico che sperava di vederlo morto per soffiargli lo show. “Pensavo fossi morto”. Uscendo dallo studio, Seinfeld si ferma dal capo della band, Paul Shaffer, e gli dice: “Sai dove trovarmi”.

2001. L’undici settembre

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Chiede pazienza e indulgenza perché vuole dire un paio di cose. “Se intendiamo continuare a fare lo show devo sentirmi parlare un paio di minuti… È tristissimo qui a New York. Abbiamo perso cinquemila concittadini… È terribilmente triste”. Loda il sindaco Giuliani e dice che bisogna essere coraggiosi, e che (battuta minima) fingere di essere coraggiosi è altrettanto buono che esserlo. Dice che la religione non c’entra con questi attentati, e poi racconta la storia commovente di una comunità del Montana: sono nel mezzo di una carestia, non possono crescere niente e dunque non possono né coltivare né pascolare il bestiame, perché non c’è di che nutrirlo. Bene, in quella comunità hanno fatto una raccolta fondi per New York. “E se ciò non vi insegna cos’è lo spirito degli Stati Uniti, non so come aiutarvi, mi dispiace”.

La conclusione è comica: “Ho un’altra cosa che vi voglio dire e poi meno male che c’è Regis [Philbin], così abbiamo qualcosa da prendere in giro”. E la cosa che deve dire è che “New York City is the greatest city in the world”.

2003. La nascita del figlio

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(Minuto 1.00) “Ho un annuncio da fare, sono un po’ nervoso… Mi sento un po’ stupido. È una di quelle cose che non avrei mai pensato potessero succedermi, ed eccomi qua, a cinquantasette anni, non potrei esserne più felice. Ma non possiamo farci niente. … Muoio di paura. Sarò padre”. E poi: “Sarà bello perché non sarò solo suo padre. Ma anche suo nonno”. “Non so niente di bambini… Devo trovargli un posto dove mandarlo a vivere”.

2009. Sei mesi dopo le nozze, il ricatto

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Pochi mesi dopo essersi sposato con la compagna Regina Lasko, con cui aveva una relazione da vent’anni, Letterman un giorno racconta una storia al suo pubblico.

“Sono felice che siate qui stasera, e sono felice che siate di quest’ottimo umore, perché ho una storiella che vorrei raccontare a voi e ai telespettatori. Vi va di sentire una storia?”.

Boato del pubblico. Questo è il momento che lo esalta, quello in cui sente che presto il pubblico capirà di cosa si tratta e non saprà più se deve ridere o no, e in questo equivoco quasi psichedelico sta il vero talento narrativo del Letterman intimista: far sentire l’assurdità della vita nei momenti in cui l’assurdità della vita è grave.

La storia è questa (la racconta in gran dettaglio, da vero narratore): tre settimane prima andando al lavoro, sul sedile di dietro della macchina ha trovato un pacchetto. “Di solito non ricevo pacchetti alle sei del mattino sul sedile di dietro della mia macchina”. E il pubblico ride…

La storia è avvincente: un uomo lo sta ricattando: “’So che hai fatto delle cose veramente terribili, e lo posso dimostrare’”. Il pubblico ride. “E nel pacco c’era della roba a dimostrare le cose terribili”. Risate. “E sono sicuro che questa cosa sembra meno grave a mezzogiorno”. Risate. “Ma alle sei del mattino puoi solo pensare a ogni cosa terribile che puoi aver fatto in vita tua”.

Questo tipo vuole scrivere una sceneggiatura su Letterman. “Il che è sempre una bella notizia, no?”. Il pubblico ride, un po’ bovino, senza chiedersi se è tutto vero, se deve preoccuparsi.

Per dire di cosa si tratta, aspetta un bel po’, e lascia che il pubblico rida e venga coinvolto dalla storia. Ci mette anche dentro, a proposito di queste minacce: “I’m a towering mess of Lutheran Midwestern guilt”, sono devastato da un enorme senso di colpa luterano del Midwest.

Il tipo mi chiede due milioni di dollari, dice Letterman. Il pubblico ride.

“Ho dovuto dire al grand jury tutte le cose inquietanti che ho fatto”. Il pubblico ride. “Ma perché lo trovate divertente?”, li stuzzica. Tutta questa faccenda, dice, è stata spaventosa, e il tipo è stato arrestato.

Finalmente al minuto 7.30 racconta cos’era la roba inquietante per cui è stato ricattato: “Ho fatto sesso con donne che lavorano per me in questo show? La mia risposta è: sì, l’ho fatto”. Silenzio, poi una risata, e un applauso leggero. “Sarebbe imbarazzante se la cosa venisse resa pubblica? Forse sì. Soprattutto per le donne coinvolte”. Ridono.

Ha quindi deciso di confessare lui in trasmissione per vanificare il ricatto. A questo punto ringrazia le autorità. “Sento che devo proteggere queste donne, la mia famiglia, me stesso, il mio lavoro… E non credo che dirò molto altro sull’argomento. Grazie per avermi lasciato parlare”.

Conclude così: “So cosa state pensato: Maledizione, Dave ha fatto sesso! L’ha detto anche il grand jury”.

È una delle cose più belle che ho mai visto in tv. La quantità di battute su una cosa tanto grave e personale è una forma d’arte all’altezza quantomeno dell’apprezzatissimo Louie di Louis CK, una sitcom psichedelica, emotiva e surreale in cui il comico più hip d’America racconta di sé, della sua vita e della sua famiglia.

2014. Annuncia il ritiro

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Usa lo stesso metodo per dire che ha deciso di andare in pensione. Comincia annunciando che è arrivato il suo compleanno. Sessantasette anni. “La sola ragione per cui ne parlo è che quando abbiamo cominciato io e Paul [Shaffer], avevo trentaquattro anni”. Quindi ha passato metà della sua vita dietro a una scrivania davanti alle telecamere. “Vi imploro di smettere di applaudire per ogni cosa che vi dico”. Ci gira intorno per vari minuti. Racconta la storia di una battuta di pesca col figlio. L’avvistamento di un’aquila, la foto scattata dal figlio. Dice che stanno passando molto tempo fra i gruppi di appassionati, per capire di che tipo di aquila rara si tratta. Alla fine, dice, ha raccontato tutta la storia alla moglie, che ha risposto: “Bello. Chi viene ospite in trasmissione?”. Ho detto che non me lo ricordavo. E qui tira le somme: “Se passi la giornata a cercare di identificare un uccello”, dice, “è il caso di continuare a condurre una trasmissione su un network nazionale?”.

All’ottavo minuto lo dice finalmente: smetterà di condurre il Late show un giorno del 2015.

Paul Shaffer domanda: “Ho un attimo per chiamare il mio commercialista?”.

E Dave comincia a ringraziare tutti. Per poi fare la battuta: “Ciò che significa tutta questa storia è che ora io e Paul possiamo sposarci”.

Letterman contro gli strambi

Se Letterman somiglia più a un autore di memoir che a un comico, è vero che osservare il suo comportamento in presenza delle decine o forse centinaia di comici che ha fatto esibire al Late show è rivelatore. Più in generale, per conoscere Letterman bisogna vedere come si comporta con i grandi weirdos, gli strambi e scoppiati, generalmente artisti, che invita spesso in trasmissione. C’è un’attrazione complicata, che contiene elementi di repulsione: li difende, ma li svergogna pure davanti a tutti. A volte lo fa per creare una dinamica, a volte il disprezzo sembra genuino.

Nel trattamento degli spostati, Letterman mostra una doppia faccia: campione dei freak, Letterman allo stesso tempo li bastona davanti a tutti per la loro stranezza, e in questo bastonamento sembra uno di quei personaggi conservatori dei romanzi di Thomas Pynchon, che hanno un debole empatico per gli strambi e perciò li devono punire.

Va detto per onestà intellettuale che i comici hanno bisogno di lui, e che tutto ciò che organizzano richiede la sua complicità, perché lui fa risaltare la loro stranezza e li rende riconoscibili. Perché Letterman è quello che fa il Normale con gli Strambi e lo Strambo coi Normali.

I miei cinque momenti preferiti di Letterman con gli Strambi sono questi:

1. Andy Kaufman

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Il grande comico surrealista, situazionista post-litteram, amava costruire storie assurde da proporre al pubblico, confondendo il confine tra performance e vita. Nel periodo di questo filmato, si è dato ormai a esibizioni di lotta libera nei palazzetti, per lo più contro donne. Kaufman vuole usare per la sua comicità le potenzialità drammaturgiche e metanarrative del wrestling, che già di suo è una delle forme tipicamente americane di narrazione popolare.

Al momento ha cominciato a organizzare degli incontri con il wrestler professionista Jerry Lawler. Lawler è seduto accanto a lui nello studio di Letterman, e spiega come mai ha scelto un avversario così in forma (1.40): “Ho fatto così tanti incontri di wrestling con le donne, vincendo sempre, che ho cominciato davvero a credere di essere un bravo lottatore…”.

Ovviamente farlo solo sul ring non ha senso, d’altronde anche il wrestling viene recitato tanto fuori quanto dentro al ring. Così vanno da Letterman e, quando la discussione si scalda, Jerry, provocato per finta, dà una sberla (9.17) a Kaufman, che di lì a poco gli tira addosso il caffè lungo che ha nella tazza (e che è stato versato già tiepido per evitare ustioni, ma Letterman pare non ne sia al corrente).

Il pubblico si diverte, Letterman gongola mentre gioca a fare quello che prosegue la conduzione in mezzo al caos. Tornati dalla pausa pubblicitaria forzata, Letterman dice: “Siamo ancora qui. Andy Kaufman è ancora qui, più o meno”. E quando Kaufman inizia a insultare il lottatore, Letterman tiene i fogli in mano e con la schiena dritta finge di cercare di riportare la situazione alla normalità con la sola forza del sussiego.

2. Harvey Pekar

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Con l’autore di graphic novel Harvey Pekar, un geniale disadattato di Cleveland ripetutamente invitato al Late show, Letterman parte prevenuto, e anche se quasi certamente lo fa per finta sembra disprezzarlo davvero.

Prima che l’ospite entri, Letterman dice al pubblico: “Sentitelo, Harvey che si lamenta là dietro [le quinte]. Secondo lui lo show migliora all’istante in cui entra in scena lui… Che c’hai, Harvey?”.

E Pekar entra in scena con la sua camminata da gambero e una scatola di donuts in mano.

Qui vedi la disponibilità di Letterman a farsi trattare come uno square, un preciso noioso. Allo stesso tempo leggi in fondo allo sguardo allucinato di Pekar una sofferenza per i modi di Letterman. Si crea una misteriosa alchimia. Pekar è lo squattrinato poeta urbano di quart’ordine che si esprime con fumetti di cui scrive solo i testi, ispirati alla propria vita. Letterman lo rende famoso e lo aggiunge alla sua scuderia di weirdos. La distanza che Letterman stabilisce tra sé e il weirdo massimo Harvey Pekar, facendogli domande su come sta la moglie, fa digrignare i denti, eppure è come se Letterman controllasse artisticamente il proprio disgusto per farne intrattenimento. (7.06) “Parlami della tua vita. Cosa fai nel tempo libero? Hai detto che hai pochi amici. So che sei sposato: come sta tua moglie?”.

Pekar, dopo una pausa, quasi esterrefatto: “Come sta mia moglie? Dai, vuoi davvero che ti parlo di…? Mia moglie sta benissimo. Non sapevo fossi capace di inventarti da solo le domande, David. Mia moglie sta bene, è una persona stupenda…”.

“È la tua prima moglie, Harvey?”.

Pausa e sorriso rivelatore di Pekar: “No, David, è la mia terza moglie. Ricordi che te l’ho detto? Terza moglie. Da quanto? Tre anni e mezzo”.

3. Crispin Glover

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Il padre di Marty McFly in Ritorno al futuro è interpretato da un giovane attore che si considera un artista e che non avrà fortuna con i suoi progetti dopo aver abbandonato la saga di Bob Zemeckis rinunciando ai due sequel.

Due anni dopo il suo primo successo, Crispin Glover va da Letterman per promuovere Rubin and Ed, una commedia indipendente.

Si presenta sotto acido e/o impersonando il Rubin del titolo.

“Ho notato che hai una cosa in quella borsa”, dice Letterman.

“Lo sapevo che sarebbe successo. Io… non posso dirtelo. La stampa sa fare delle cose, può rovesciare la verità”.

E passa a leggere degli articoli in cui viene criticato dalla stampa. Poi, agitatosi e alzatosi, fa per dare un calcio in faccia a Letterman, che prende e se ne va in un’altra parte dello studio. Stacco.

Dopo la pubblicità, Crispin Glover è sparito, probabilmente cacciato dallo studio, e Letterman spiega che si è assicurato che arrivasse in tempo, in taxi, al suo prossimo appuntamento. “Credo sia la prima volta che un ospite prova a darmi un calcio”.

“Credo si sia trattato di un’opera concettuale”, dice Paul Shaffer.

“Non ho bisogno di queste cose nella mia vita. Ho quarant’anni, ho una laurea… E arriva un matto qualunque e…”.

Il pubblico fa buuu.

“Ma smettetela. Volete andarci a cena?”.

Due settimane dopo, Glover gli fa una visita diciamo riparatoria (è evidente che per Glover Letterman è il male):

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4. Joaquin Phoenix

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Joaquin Phoenix e Casey Affleck hanno inserito questa comparsa in I’m still here, il loro finto documentario sull’esaurimento nervoso da show business simulato da Joaquin Phoenix, di cui è protagonista nei panni di un se stesso mezzo vero mezzo esagerato. Per intepretare in presa diretta questo film bellissimo del 2010, Phoenix è andato in giro per lo show business, ai party e nelle trasmissioni come il Late show, fingendo il proprio disfacimento: grasso, barbone, fuori di testa, l’attore dichiarava di non voler più recitare e di voler diventare rapper. Letterman, all’oscuro di tutto, abboccando all’amo, offre una delle tappe decisive di questa autofiction tridimensionale.

“Sei diverso da come ti ricordavo”.

5. Bill Hicks

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Nel 1993 il giovane e già grande comico Bill Hicks era ammalato e nessuno nell’ambiente lo sapeva. Andò da Letterman e disse che quella era la sua ultima apparizione. Nessuno gli credette. Registrarono il suo set, ma Letterman decise di non mandare in onda la performance, perché troppo spinta: parlava di religione e del movimento antiabortista. Hicks morì qualche mese dopo.

Nel 2009, David Letterman invita in studio la madre di Bill Hicks per mostrare al pubblico quella performance inedita e per parlare del comico con lei, e così onorarlo e chiedere scusa per aver pensato che quella performance non dovesse andare in onda. “Ho preso la decisione per insicurezza”. Il pubblico ride, come sempre quando Letterman racconta qualcosa di serio e non si è ancora capito che è qualcosa di serio.

Dopo aver trasmesso il filmato, con coraggio dice alla signora Hicks e al pubblico: “Viene da farsi una domanda: che cosa mi saltò in mente, all’epoca? È una performance incredibile … Questa vicenda dice di me più di quanto non dica di lui. Lui era davvero avanti coi tempi”.

Top 5. Letterman contro le donne?

In un racconto di cui parlo in conclusione di questo pezzo, David Foster Wallace fa dire a un personaggio che Letterman è misogino. Siccome non sono accuse che di questi tempi si possano rivolgere con leggerezza, invece di dire la mia faccio la classifica personale delle cinque comparsate femminili più interessanti per capire l’atteggiamento di Letterman con le donne.

Farrah Fawcett

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Un capolavoro. Fine anni novanta, Farrah Fawcett, non più giovanissima ma ancora selvaggia, è appena apparsa su Playboy. Letterman la invita in trasmissione e la trova, con sua somma gioia, fattissima. Flirta con lei ma non la difende da se stessa.

Il risultato è memorabile:

“Volevo dipingere col mio corpo”.

“Una di quelle cose astratte…?”.

“Ma anche no”.

“Difficile dipingere ritratti a quella maniera”.

“Devo dirtelo, ho fatto un incredibile gluteus maximus”.

“Il tuo sedere. Stai parlando del tuo culo, giusto?”

Julia Roberts

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Questa potrebbe stare anche nella classifica delle cose della vita privata che Letterman ha vissuto in pubblico e raccontato nel memoir a puntate in cui si trasforma di tanto in tanto il Late Show.

La Roberts, a cavallo mi pare tra anni ottanta e novanta, gli dice: “C’è stato un tempo, Dave, in cui ti ho chiesto se uscivi con me”. Lui fa spegnere le telecamere e nel nero dello schermo le dà un bacio in bocca. Quando tornano le immagini lui è trionfante e lei rossa.

Nell’apparizione successiva, dopo un lungo abbraccio frontale, si baciano di nuovo. Quando poi comincia la parte promozionale dell’intervista, per lanciare la clip Letterman esclama: “E ora, il film! Ah, proprio un bel film! Se non lo andate a vedere siete pazzi!”

Negli anni, si baceranno ancora.

Jennifer Lawrence

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Letterman è stato criticato perché la prima cosa che dice a una ospite donna è sempre quanto è bella. Al giorno d’oggi lo si può considerare sessismo. Prendo per tutti questo filmato: “Look at that! You look beautiful, you look great. You look wonderful”.

Snookie

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Snookie è una starlette insulsa e va demolita, a quanto pare; perché è una truzza del New Jersey che ha fatto fortuna con il semi-reality Jersey Shore e spin-off annessi. Letterman la fa sentire una completa idiota, il che produce comunque Grande Televisione, perché è raro, da noi, vedere in un contesto così istituzionale un’invitata famosa che non sa che pesci prendere e nessuno la aiuta.

Oltre alle domande molto personali su prole e fidanzato, Letterman si crogiola in un momento di confusione di Snookie, in cui la ragazza del Jersey non capisce se domandando “quanti show hai fatto in tutto?” Letterman intenda “quanti programmi” oppure “quante puntate”, visto che in inglese la parola vale per entrambe le cose. Lei è persa, lui la lascia andare alla deriva, per la gioia del pubblico.

Kim e Kourtney Kardashian

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Con Kim e Kourtney Kardashian, che in America rappresentano, con i propri famigliari e acquisiti, il più grande impero fondato sulla reality tv, Letterman fa un gioco che adora: lasciare che una donna montata – in questo caso due – risponda seriamente alle sue domande ironiche.

“Che fate a New York?”.

E loro: “Facciamo le cose normali”, dicono, cose molto da newyorkesi, tipo prendere la metro… Lui le lascia parlare, per mostrare quanto sono montate e allo stesso tempo che aria ignorante hanno conservato.

Poi, riportandole alla realtà come un reverendo in una chiesa evangelica, chiede a una delle due se il suo fidanzato ha smesso di bere. Poi le dà una lezione su come si crescono i figli. A Kim, che è la più sveglia delle sorelle e non è affatto contenta di come Letterman le sta trattando, chiede se al momento è sposata. Tira in ballo gli scandali dell’ex marito con una violenta leggerezza che mi ricorda la prima scena di Bastardi senza gloria di Tarantino, quando l’ufficiale nazista finge di parlare del più e del meno con un contadino ebreo mentre in realtà lo sta interrogando.

La versione di Wallace

A vedere tutte insieme queste apparizioni femminili mi viene per la prima volta di dare ragione a David Foster Wallace, che scrisse negli anni ottanta un racconto ambientato al Late Show.

“La mia apparizione”, contenuto in La ragazza dai capelli strani (Minimum fax 2011, traduzione di Martina Testa), racconta la storia di una donna, attrice di mezza età sposata a un dirigente tv, che viene invitata da Letterman. Preparandosi alla comparsata, viene istruita dal marito su come evitare che Letterman la copra di ridicolo, come certamente tenterà di fare, perché ha venduto il suo volto e la sua recitazione a una pubblicità di wurstel.

Mio marito (…) sosteneva di sapere per certo che Letterman adorava fare a pezzi le ospiti femminili, che era misogino

Marito e moglie si preparano guardando repliche dello show, finché lui non impone a lei di farsi guidare attraverso un’auricolare color carne da inserire nell’orecchio e coprire con i capelli, in modo che il marito le dia consigli a distanza durante la registrazione della puntata. Fra gli esempi delle cattiverie di Letterman nei confronti delle donne:

‘Edilyn, stiamo parlando della persona che ha domandato pubblicamente a Christie Brinkley in che stato si corre il Kentucky Derby’.

Mi tornò in mente quello che mi aveva detto Charmian al telefono e sorrisi.

‘Ma lei è stata o no incapace di dare la risposta esatta?’

Anche mio marito sorrise. ‘Era nel pallone’

La moglie però difende Letterman con l’argomento:

‘…mi è sembrato che gli piaccia rendersi ridicolo tanto quanto gli piace mettere in ridicolo gli ospiti. Quindi non è un ipocrita’.
(…) ‘In parte è proprio questo che lo rende così pericoloso’, disse mio marito, sollevandosi gli occhiali per massaggiarsi il dorso del naso. ‘L’intera trasmissione si nutre della ridicolaggine di tutti. È il fatto che il pubblico capisce che lui sceglie consapevolmente di rendersi ridicolo a renderlo immune dall’essere ridicolo, quel figlio di puttana non è scemo’

Per Wallace, questo genere di ironia era una delle malattie d’America o del mondo occidentale, e la tv era al centro di questo meccanismo, dunque in queste pagine l’autore sta cercando di fare giustizia poetica e segnalare il problema.

La cosa interessante è che Wallace è un uomo del Midwest anche lui, ed è interessante che l’equilibrio da lui escogitato tra intensità emotiva e umorismo – una verità di fondo che l’ironia postmoderna deve esaltare e non annullare – non è poi lontanissimo da quello del Letterman maturo che racconta i suoi guai in televisione e condivide con il pubblico gli aspetti più importanti della sua vita.

Entrambi sono arrivati a mescolare pubblico e privato, serio e faceto, con una combinazione tutta centrata sullo spirito serio e sano del Midwest, il cuore dell’America.

Ma il giovane Wallace aveva solo appena stabilito le questioni che gli stavano a cuore; in più erano gli anni ottanta, e il Letterman di allora non è ancora quello che alterna alle interviste brutalizzanti iper-ironiche le proprie confessioni intime, divertenti e serissime.

Ed ecco infatti che il Letterman anni ottanta prende di mira la sua ospite chiedendole della pubblicità dei wurstel:

‘E allora Edilyn, una nazione intera si sta chiedendo chi te lo fa fare di metterti a girare queste pubblicità di… wurstel’, chiese con una specie di tono semilagnoso che subito calcò trasformandolo in un tono lagnoso.
(…) ‘Perché non sono una grande attrice, David’, dissi.

Letterman parve affranto. Per un attimo, sotto le bianchissime luci oblique lo guardai e aveva l’aria affranta per me. Fui sicura che quello che avevo di fronte era un uomo sostanzialmente sincero.

La donna conclude con una battuta paradossale: lei la pubblicità l’ha fatta gratis, implorando la ditta di wurstel di ingaggiarla: ha accettato il consiglio del marito di abbracciare la logica del late show per cui ci si deve ridicolizzare di buon grado (cosa che per esempio non hanno saputo fare le Kardashian, pur intuendo che Letterman le stava distruggendo).

Wallace temeva che la televisione avrebbe creato, a causa di personaggi come Letterman, un mondo di persone abili a nascondere le cose importanti, a seppellirle con una risata mediatica, anaffettiva, bulimica. Letterman allo stesso tempo ha realizzato le paure di Wallace e le ha smentite: ha continuato a ridicolizzare i suoi ospiti, ma quando doveva parlare di sé ha preteso rispetto e partecipazione, e li ha ottenuti.

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