È morta la mattina presto nei tunnel della metropolitana, nelle viscere inospitali sotto la stazione Termini. In una domenica in cui i vagoni erano meno affollati del solito. Mentre alcune persone cercavano di aiutarla, la sconosciuta viaggiatrice sdraiata sulla banchina è morta per una grave crisi respiratoria. È stata Laura Bogliolo del Messaggero a dare un identità a questa donna e a svelare la sua storia.

Isabella Viola, 34 anni, madre di quattro bambini, stava per raggiungere il suo bar per cominciare la sua lunga giornata. Quel bar dipinto di rosa nel quartiere Tuscolano che aveva preso in gestione e che era diventato un punto di ritrovo. Veniva da Torvaianica, sul litorale romano devastato dal cemento. Ogni mattina si alzava alle quattro per preparare colazione e pranzo ai bambini e andare al lavoro.

Prima l’autobus sulla Pontina fino all’Eur. Poi la metro A per arrivare a Termini, dove cambiava treno per Furio Camillo. Pochi minuti prima di morire aveva rassicurato al telefono la sua collega, Faith: “Intanto apri. Sto arrivando”. Sette giorni su sette Isabella saliva su sei mezzi pubblici diversi per coprire una distanza di quasi cento chilometri. Sognava di aprire un piccolo forno tutto suo per vendere i dolci che aveva insegnato a preparare anche a Faith.

Oltre ai figli, Isabella doveva provvedere anche al marito disoccupato. Era una delle migliaia di donne che non possono permettersi il lusso di riposarsi. Lavoratrice instancabile che si divideva tra casa, famiglia e lavoro. Non si sentiva bene, ma non aveva il tempo di badare alla salute. Inserita nel paziente esercito di pendolari che all’alba s’infilano muti negli autobus per tornare esausti con il buio.

Tornando a casa trovava quattro figli che l’aspettavano, i compiti, la cena da preparare, la lavatrice, la biancheria da stirare. Dice la giornalaia dell’edicola vicino al bar: “Era tosta, in gamba, ma forse credeva troppo nelle sue forze”. Isabella apparteneva a quel tipo di donne che riescono a fare miracoli, ma non compaiono mai nei talk show, dove da anni gli stessi maschi litigano sugli stessi futili problemi senza riuscire a risolverli.

La sua tragica morte ha aperto un breve squarcio sulla vita reale, sconosciuta a ministri tecnici e parlamentari che ignorano cosa significa spingersi nella metropolitana all’alba per  tornare a casa la sera. Isabella pagava un affitto di 700 euro ed era obbligata a un controllo ferreo della propria spesa. Ma non lo chiamava

spending review.

La sua storia struggente è riuscita a rompere quel muro di indifferenza, sospetti e diffidenza che regna nella capitale. Dal quartiere Tuscolano è partita una gara di solidarietà per la sua famiglia. La gente ha messo dei fiori davanti al bar, la giornalaia ha organizzato una colletta. Poi la solidarietà è esplosa su internet. E alla fine si è aggiunto anche il Campidoglio. Isabella a 34 anni è morta come un’eroina del paese reale.

Morta di fatica. Simbolo di milioni di famiglie per le quali la vita è diventata un lotta quotidiana per la sopravvivenza. Dice il parroco, don Gianni: “Ai funerali ho visto gli occhi smarriti dei suoi bambini e la disperazione del marito. Ma sono stato colpito dalla dignità di questa famiglia”.

Isabella Viola di dignità ne aveva da vendere. Ora la chiamano “principessa di Torvaianica”. Peccato che per essere incoronata abbia dovuto morire a 34 anni.

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