09 luglio 2013 16:15

Gli Arctic Monkeys alla cerimonia d’apertura delle Olimpiadi di Londra, il 27 luglio 2012. (Mike Blake, Reuters/Contrasto)

Domani sera gli Arctic Monkeys cominceranno il loro tour italiano, con l’esibizione [al Rock in Roma][1]. L’11 luglio saranno al festival [Ferrara sotto le Stelle][2]. Poi torneranno a novembre, con una data a Milano.

La band di Alex Turner si è formata nel 2002 a High Green, alla periferia di Sheffield. Il suo primo disco, Whatever people say I am, that’s what I’m not, è uscito nel 2006 ed è ancora oggi l’album di debutto che ha venduto di più alla sua uscita nella storia del Regno Unito.

Buona parte del successo degli Arctic Monkeys, e non è retorica, si deve anche a internet. La band infatti è diventata famosa grazie al passaparola e al successo dei demo distribuiti su Myspace, ancor prima di pubblicare del materiale ufficiale.

All’inizio della loro carriera, Turner e compagni mescolavano molti generi: dal punk al surf rock, dal britpop alla new wave. E avevano l’abitudine di ostentare le loro origini inglesi. Propri come facevano band come Blur, Oasis e Supergrass negli anni novanta.

Il singolo I bet you look good on the dancefloor è un esempio eloquente.

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Ma il vero pezzo forte del primo disco è When the sun goes down, una specie di rivisitazione di Roxanne in salsa South Yorkshire. Resta la mia preferita a distanza di anni.

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Il secondo disco, Favourite worst nightmare, è uscito nel 2007 e non è poi così diverso dall’esordio. Ma le sue canzoni lasciano già intravedere l’inquietudine di Turner nei confronti del rock britannico usa e getta. Le chitarre surf di Brianstorm cominciano a spostarsi gli Stati Uniti, per esempio.

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La svolta arriva con Humbug, uscito poco tempo dopo il progetto solista di Turner, The Last Shadow Puppets. Registrato in parte nel deserto del Mojave insieme a Josh Homme dei Queens of the Stone Age, Humbug abbandona un po’ la perfida albione e si lascia sedurre dallo stoner rock e da Nick Cave. Come nella traccia d’apertura My propeller.

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Con Suck it and see la svolta americana degli Arctic Monkeys è più che mai confermata. Anche se, rispetto a Humbug, le atmosfere sono più solari. Invece che una versione in studio, stavolta ne preferisco una acustica. Perché la titletrack Suck it and see è più bella chitarra e voce. E poi voglio farvi vedere la pettinatura alla Elvis di Alex Turner, ormai sempre più nella parte del crooner a stelle e strisce.

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Per chiudere, siamo alla stretta attualità. Ecco il nuovo singolo Do I wanna know?, che anticipa l’album AM, in uscita a settembre. La continuità con le ultime pubblicazione sembra più che intatta.

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Giovanni Ansaldo lavora a Internazionale. Si occupa di tecnologia, musica, social media. Su Twitter: @giovakarma

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