11 giugno 2014 20:57

(M. Martinez)

Non capitano spesso cose come Il Pan Del Diavolo nella musica italiana. Perché è difficile trovare una band in grado di fondere in modo così brillante la vitalità della musica mediterranea con il mito americano della frontiera, l’irruenza del punk con la riflessività del folk. Fred Buscaglione, Rino Gaetano, White Stripes, The Stooges. Dentro la musica del gruppo ci sono tanti riferimenti. Una miscela che rende al massimo sul palco, durante i concerti.

Dietro a questo nome luciferino si nascondono due palermitani classe 1985: Pietro Alessandro Alosi (voce, chitarre e grancassa) e Gianluca Bartolo (chitarre e seconde voci). Dopo [Sono all’osso][1] e [Piombo, polvere e carbone][2], il duo siciliano è tornato sulle scene il 3 giugno con il suo terzo disco, FolkRockaBoom.

FolkRockaBoom è stato registrato in presa diretta al Duna Studio di Russi, prodotto da Il Pan del Diavolo e Antonio Gramentieri, e infine mixato a Tucson da Craig Schumacher (già produttore di [Calexico][3], Neko Case e Giant Sand). È un disco scarno, desertico, che alterna momenti cupi (FolkRockaBoom, Nessuna certezza) ad altri più solari (Mediterraneo, Un classico). Ma è soprattutto un album intenso e senza tempo. Ho raggiunto al telefono Alessandro e Gianluca, per farmi raccontare il nuovo disco e il loro tour estivo, che [li porterà in giro per l’Italia][4].

Come nasce il titolo del disco?

C’è [un video][5] degli anni sessanta, una scena scartata dal documentario su Bob Dylan Eat the document, che mostra una conversazione tra Dylan e John Lennon su un taxi. Ad un certo punto Lennon, riferendosi forse dell’esplosione della musica folk rock in quel periodo, usa l’espressione: “Folkrockaboom”. La folgorazione per questo nome è nata da lì. FolkRockaBoom però è soprattutto un modo per descrivere la nostra musica, sempre in bilico tra diversi generi.

FolkRockaBoom è anche il titolo della prima canzone, scelta anche come singolo di lancio.

In questo pezzo la parola FolkRockaBoom diventa una specie di grido liberatorio, per uscire da una situazione difficile. Non è per forza un pezzo pessimista, ma sicuramente di ambientazione sinistra.

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Una delle canzoni più riuscite è la ballata Vivere fuggendo. Qual è il suo significato?*

Quella è una canzone sui disastri, che unisce incubi e immagini surreali, mescolate ad avvenimenti quotidiani. L’ispirazione nasce dagli incontri con persone che non vedevamo da tempo, che nel frattempo hanno cambiato vita, magari messo su famiglia. A quel punto ti chiedi: “Chi è che ha sbagliato tutto? Io o loro?”.

Questo album insiste molto sul tema del viaggio, con riferimenti particolari a un’immaginario da frontiera un po’ statunitense. Perché?

Il disco racconta le nostre vite in modo intimo e personale. Le nostre esperienze a New York e al festival South by southwest nel 2012 ci hanno influenzato. Ma la musica statunitense è solo uno strumento, una chiave inglese per tirare fuori le vicende che ci appartengono, che invece sono profondamente italiane. La nostra frontiera non è il West. È Palermo, è Roma, è Volterra, è Milano.

Com’è andata l’esperienza del mixaggio con Craig Schumacher a Tucson?

Benissimo. Di solito quando fai un mixaggio tu stai sempre molto dietro all’ingegnere del suono. Con Craig ci siamo visti la prima sera, lui ha ascoltato i pezzi e sembrava già avere le idee molto chiare. È un guru, un santone della musica. Craig ha tolto diversi strumenti rispetto alle registrazioni originali, rendendo le canzoni ancora più essenziali.

Le vostre ispirazioni musicali sono cambiate in questi anni?

Quelle si evolvono, è naturale. Ma alcuni punti di riferimento restano costanti. La musica italiana degli anni sessanta, il folk, il bluegrass, Elvis, Josh Homme, Jack White.

Che tipo di spettacolo avete preparato per il tour estivo?

Suoneremo diverse canzoni di Folrockaboom, ovviamente, ma anche i vecchi pezzi di Sono all’osso e Piombo, polvere e carbone e del nostro primo ep. Sul palco saremo accompagnati da Francesco Motta (Nada, Criminal Jokers) che ci darà una mano a rendere al meglio gli arrangiamenti del disco.

Avete altre date in programma, oltre a quelle già annunciate?

Sì, faremo quasi tutto l’anno in tour. Ripartiremo durante l’autunno, probabilmente.

Ma un disco dal vivo non lo fate?

Ne abbiamo registrato uno l’anno scorso al Magnolia di Milano, ma abbiamo deciso di dare la priorità a FolkRockaBoom, per ora.

Giovanni Ansaldo lavora a Internazionale. Si occupa di tecnologia, musica, social media. Su Twitter: @giovakarma

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