13 gennaio 2017 19:22

The xx, Say something loving
Lo confesso, non sono un grande fan degli xx, pur avendoli apprezzati ai loro esordi nel 2009. Dopo il mezzo passo falso di Coexist, pensavo che fossero un gruppo con poca consistenza. Gli ottimi progetti solisti di Jamie xx non erano bastati a farmi cambiare idea. Insomma, non vedevo l’ora di stroncare il loro nuovo disco I see you, uscito oggi. E invece niente, l’album funziona. Jamie xx ha capito come deve vestire le canzoni indie pop del trio, trasportandole verso un suono più maturo e stratificato. Certo, I see you è un disco un po’ paraculo e a tratti risulta stucchevole, soprattutto a causa delle voci di Oliver Sim e Romy Madley Croft. Questa non è musica che lascerà il segno ma, onestamente, non ha neanche la pretesa di farlo. E nel lotto ci sono diversi ottimi pezzi, non lo si può negare: l’apertura un po’ alla Everything but the girl di Dangerous, la robotica Replica, che riprende gli intrecci di chitarra del passato, il minimalismo di Performance e il singolo On hold, che campiona gli Hall and Oates. Niente per cui strapparsi le vesti, ma un ottimo album di pop elettronico. Il che non è poco. Un avviso per i fan della band: il 16 gennaio ale 21 Radio2 trasmetterà in esclusiva il concerto degli xx Live in Tokyo durante la trasmissione Rock and Roll Circus.

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Bonobo, Kerala
Due anni fa il musicista britannico Simon Green, in arte Bonobo, si è trasferito da New York a Los Angeles. Questo spostamento, che l’ha costretto a piantare le sue radici in una nuova città, gli ha dato lo spunto per fare un album sulle migrazioni. Parlando del suo nuovo disco, Bonobo ha detto una cosa interessante: “A Los Angeles ci sono migliaia di persone che vivono in tende sotto i ponti e la cultura del posto ti incoraggia a girarti sempre dall’altra parte. Non vedevo questo genere di povertà da quando ero stato a Mumbai”. Migration parte proprio da qui. È un album nato in un contesto metropolitano, ma che sembra voler appoggiare il suo orecchio sul ventre del mondo intero. Green è bravo ancora una volta nell’abbattere i confini tra elettronica, jazz e musica etnica. Lo si capisce già ascoltando i primi minuti della titletrack di apertura, costruita su un loop di pianoforte e una batteria cosmica, o il singolo Kerala, arricchito da un sample della cantante pop Brandy. Migration è semplicemente un grande album, che vanta collaborazioni prestigiose con Chet Faker, Mike Milosh dei Rhye e la band marocchina Innov Gnawa. Mettiamocelo da parte, perché potrebbe tornarci buono per le classifiche di fine anno.

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Run The Jewels, Run the Jewels 3
A proposito di liste di fine anno, ma non è che abbiamo già per le mani il disco hip hop dell’anno? Non è escluso, visto che il terzo album dei Run The Jewels è all’altezza del fulminante esordio del duo statunitense formato da El-P e Killer Mike. In estrema sintesi, è una bomba. Il disco è uscito a Natale, ma è disponibile da oggi in formato fisico. Per far capire quanto questo disco funzioni in modo impeccabile non si sa da dove cominciare. Dal singolo Talk to me? Dall’oscura Hey kids, dove sul finale si scatena l’ospite d’onore Danny brown? Da Thieves! (Screamed the ghost), cronaca rap di un futuro distopico ispirata a Marthin Luther King, Amleto e Ai confini della realtà, che non è altro che il tentativo di criticare il razzismo e il finto perbenismo dell’America di oggi? Quando ci sono in ballo così tante idee e così tanta ispirazione, conviene solo arrendersi all’evidenza.

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Nine Inch Nails, Dear world
Trent Reznor ha promesso due “uscite importanti” targate Nine Inch Nails nel 2017. Per riscaldare i suoi fan, il musicista statunitense si è messo al lavoro con il compositore Atticus Ross, ormai suo compagno fisso anche nelle colonne sonore cinematografiche (e che insieme a lui ha vinto l’Oscar per quella di The social network) e ha pubblicato un ep di cinque brani intitolato Not the actual events. Il disco, sinceramente, non è granché. Ma un paio di episodi, come la cavalcata sintetica Dear world, ci fanno venir voglia di ascoltare un album nuovo dei Nine Inch Nails il prima possibile. E perché no, magari di vederli dal vivo.

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Amerigo Verardi, L’uomo di Tangeri
Il brindisino Amerigo Verardi è un nome storico della psichedelia italiana. Ha fondato nei primi anni ottanta gli Allison Run e in seguito ha dato vita a tanti progetti, tra i quali i Lula (se vi capita ascoltatevi la bellissima cover di Caffé de la paix di Franco Battiato). Il suo nuovo album solista, Hippie dixit, è un’odissea lisergica di cento minuti, spalmata su 14 brani che si legano l’uno all’altro come un lungo flusso di coscienza. Hippie dixit, uscito alla fine del 2016, ha i piedi a mollo nel Mediterraneo, ma con la coda dell’occhio guarda sempre verso Laurel Canyon. Una gran bella sorpresa. Da segnalare la canzone di protesta Brindisi (ai terminali della via Appia), scelta coraggiosamente come singolo di lancio.

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