Grimes, So heavy I fell through the earth
La cantautrice canadese Grimes ha un modo strano di gestire la sua immagine pubblica. A volte si lascia scappare dichiarazioni incomprensibili, ogni tanto decide di cambiare nome, neanche fosse Prince. Da quando sta insieme all’imprenditore Elon Musk sembra aver abbandonato le sue posizioni femministe e anticapitaliste di inizio carriera, una cosa che le ha attirato parecchie critiche. Inoltre è diventata materia per le riviste di gossip: ormai si parla più del modo in cui ha annunciato la gravidanza e delle feste a casa di Kanye West che non delle canzoni. L’uscita del nuovo disco Miss Anthropocene quindi è un sollievo, perché ci permette di dedicarci di nuovo alla musica.
Miss Anthropocene è un concept album e ha per protagonista una specie di demone che è la personificazione del cambiamento climatico. Ogni brano del disco, ha spiegato Grimes, è una tappa dell’estinzione della razza umana, schiavizzata da un’intelligenza artificiale suprema e incapace di relazionarsi con un pianeta ormai al collasso.
L’idea è affascinante, ma come si traduce in musica? Grimes ha scelto un suono molto più oscuro rispetto a quello del precedente Art Angels, con sintetizzatori pomposi che si accostano a chitarroni un po’ anni novanta. Alcuni brani, come My name is dark, sono praticamente dei pezzi nu metal, anche se la ricerca costante della melodia è tipicamente pop.
Il problema è che questo tentativo di cercare la stranezza a tutti i costi suona forzato. A tratti riesce, per esempio in brani come Darkseid (anche grazie al contributo della rapper taiwanese Aristophanes, già comparsa nel pezzo Scream) o nell’iniziale So heavy I fell through the earth, che sembra riprendere il filo melodico di Art angels. In altri momenti però la scrittura e gli arrangiamenti cozzano in modo maldestro: Delete forever, con quella chitarra acustica alla Wonderwall, è un pezzo vuoto in modo sconcertante, mentre la conclusiva Idoru, il brano più ambizioso del lotto, zoppica sopra una melodia di mellotron.
Miss Anthropocene è un disco che va a corrente alternata, molto inferiore a Visions e ad Art angels (per chi scrive l’album migliore di Grimes). Non sempre le ambizioni vanno di pari passo con l’ispirazione.
King Krule, Stoned again
Archy Marshall, in arte King Krule, ha messo la testa a posto: ha fatto un figlio e si è trasferito a Warrington, lontano da Londra. Eppure scrive canzoni come se stesse ancora facendo le ore piccole insieme agli artisti del sud della capitale britannica. I pezzi del suo nuovo album Man alive! non sembrano quelli di un giovane padre pacificato, tranne la dolce Airport antenatal airplane, che campiona Nilüfer Yanya ed è dolce come una carezza.
C’è la solita paranoia strisciante nei testi, nel modo in cui King Krule lascia andare a briglia sciolta la sua chitarra Fender e in cui dà spazio a un sassofono fumoso. Il cantautore regala brani incendiari come Stoned again e la surreale Cellular, ma anche pezzi quasi ambient come l’ipnotica Theme for the cross (“Sometimes I watch the tv in my head” è uno dei miei versi preferiti del disco). E il tipico miscuglio di musica confidenziale, punk e hip hop. Insomma è sempre il solito vecchio King Krule, incostante e incapace di convogliare tutti i suoi incredibili lampi creativi in un disco inattaccabile, eppure sempre affascinante e imprevedibile. Che dio ce lo preservi così.
The Strokes, Bad decisions
Il nuovo singolo degli Strokes provoca gioia e malinconia al tempo stesso, e sembra uscito direttamente da Room on fire, il secondo e sottovalutato disco della band di Julian Casablancas. Ci sono tutte le ricette del suono degli esordi del gruppo, dai riff semplici ma orecchiabili di chitarra alla batteria quadrata di Fabrizio Moretti. Dopo la sorprendente At the door qui gli Strokes hanno giocato sul sicuro. Difficile non essere perlomeno curiosi riguardo al nuovo disco, in uscita il 10 aprile.
Obongjayar, Dreaming in transit
Steven Umoh, in arte Obongjayar, è cresciuto in Nigeria e si è trasferito a Londra all’età di 17 anni. Nella sua musica i due continenti in cui si è formato dialogano costantemente. I suoni africani si affiancano a quelli più urbani, creando un pop che somiglia molto a un moderno afrobeat. Dreaming in transit, nella quale il cantante ripete “War is ready”, è un pezzo dedicato ai migranti che fuggono dalle guerre e un sentito omaggio all’immortale Fela Kuti.
Jpegmafia, Bald!
Il rapper di Baltimora Jpegmafia il 20 febbraio ha pubblicato il nuovo singolo Bald! Non so perché ce l’abbia con le persone senza capelli, ma è un bel pezzo.
P.S. Playlist aggiornata, buon ascolto!
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