11 settembre 2003 00:00

Prendi una città di provincia del nord Italia a metà settembre, quando le giornate sono ancora calde. Portaci decine di scrittori e scrittrici. Che siano italiani, ma soprattutto stranieri: l’israeliano David Grossman, l’iraniana Marjane Satrapi, il senegalese Boubacar Boris Diop, lo statunitense Jonathan Franzen, l’indiana Arundhati Roy, l’inglese Tobias Jones, il tedesco Hans Magnus Enzensberger, l’ungherese Imre Kertész, l’inglese Antonia Byatt e tanti altri. Riempi tutti gli spazi in cui si svolgono gli incontri con migliaia di persone, giovani e anziani, bambini e famiglie, coppie e gruppi. Persone che ascoltano, ma soprattutto che fanno domande e cercano di capire. Ecco: a Mantova, la scorsa settimana, è successo proprio questo. Si è parlato di letteratura ma tanto anche di politica. E tutti avevano l’aria contenta. Forse perché, come ha ironizzato Hebe de Bonafini, presidentessa delle Madres de Plaza de Mayo, “il rivoluzionario ha sempre la faccia allegra, sono gli imperialisti quelli con la faccia di culo”.

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