21 aprile 2005 00:00

“Quando si parla del 1945, sono irritato dalle parole usate per definirlo: la gioia della vittoria. Quale gioia? Erano morte tante persone, avevamo sepolto milioni di corpi. Migliaia avevano perso le braccia e le gambe. La vista e l’udito. La ragione. Ogni morte è una tragedia. La fine di una guerra è sempre triste: si vince, ma a quale prezzo? La guerra è la dimostrazione che l’uomo, in quanto essere pensante e senziente, ha fallito, ha deluso se stesso, è stato sconfitto”. Il giornalista polacco Ryszard Kapuscinski era un bambino quando scoppiò la seconda guerra mondiale. Aveva sette anni. Oggi tocca a lui e a tutti i bambini di allora raccontare cosa fu quella guerra. Non come esercizio retorico fine a se stesso, non per l’ennesima celebrazione ufficiale e svogliata, ma solo per tentare di non ripetere gli stessi errori. E quindi, in definitiva, per dare un senso a quella spaventosa carneficina.

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