04 maggio 2017 13:07

L’anno scorso dagli aeroporti italiani sono transitati 164 milioni di passeggeri, il 4,6 per cento in più rispetto al 2015. Il mercato mondiale del trasporto aereo è in piena crescita. La Boeing e l’Airbus prevedono che nei prossimi vent’anni il numero di viaggiatori aumenterà del 4,5 per cento all’anno e che serviranno 33mila nuovi aeroplani, 560mila nuovi piloti e 540mila tecnici. Con questi numeri, c’è da chiedersi come sia possibile che la compagnia aerea di un grande paese industrializzato, e tra le prime mete turistiche del mondo, sia sull’orlo del fallimento.

La risposta è in vent’anni di scelte sbagliate, fatte da governi e azionisti. Errori pagati dai contribuenti, a cui sono costati sette miliardi di euro (è una stima), e dai dipendenti, scesi in dieci anni da 21mila a 11mila. E stupisce dunque che qualcuno si sia potuto stupire per il referendum con cui lavoratori e lavoratrici hanno respinto il verbale di incontro firmato da sindacati e azienda, che senza un serio piano industriale prevedeva tagli, un peggioramento delle condizioni contrattuali e riduzioni salariali tra il 10 e il 20 per cento. Il presidente del consiglio Gentiloni aveva anticipato che se il no avesse vinto non ci sarebbe stato nessun salvataggio pubblico.

Alessia Romagna, assistente di volo dell’Alitalia, su Facebook ha sfatato i luoghi comuni sui privilegi di chi lavora in una compagnia aerea, raccontando di turni pesanti e stipendi nella norma per l’Italia: “Abbiamo detto no tremando di paura ma pieni di coraggio. Sappiamo di avere messo la firma a un futuro a dir poco incerto, ma non potevamo accettare l’umiliazione e il ricatto. Vi chiedo quindi di non guardare a noi con astio e antipatia. Guardate a noi semmai con speranza, perché se migliaia di lavoratori hanno detto no a un contratto umiliante, possono farlo tutti, in ogni realtà lavorativa; sarebbe allora il mercato del lavoro ad adeguarsi alle persone e non le persone alle leggi del mercato”.

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