07 dicembre 2018 12:20

Sono rossi o sono neri? Qual è il colore dei gilet gialli che nelle ultime tre settimane hanno scosso la Francia? Movimento spontaneo lanciato dal basso, fuori dai partiti e fuori dai sindacati, nato per protestare contro l’aumento del prezzo del carburante, è diventato rapidamente qualcos’altro.

È un movimento molto eterogeneo e plurale, con spinte contraddittorie. Intervistato da Libération, lo storico Gérard Noiriel, esperto di movimenti popolari e classe operaia, osserva che siamo passati da una democrazia del partito, in cui la democrazia parlamentare si basava su partiti autonomi, a una democrazia del pubblico, in cui i politici dipendono dall’attualità e dai sondaggi. È questo, dice Noiriel, che lega Emmanuel Macron ai gilet gialli: anche il presidente francese era inizialmente un outsider, estraneo ai partiti, e anche lui si è affermato facendo leva sui social network, uno degli strumenti che hanno contribuito al successo dei gilet gialli.

La rabbia del movimento si concentra su Macron perché nel suo programma le classi popolari sono state dimenticate: non per disprezzo, forse solo per un accecamento di classe. Ma il fatto che un presidente chiamato a rappresentare l’intera nazione dimentichi proprio i ceti popolari la dice lunga su una forma di etnocentrismo che oggi gli si ritorce contro in modo violento, spiega ancora Noiriel.

Non solo. Che un presidente eletto un anno e mezzo fa con il 66 per cento dei voti oggi abbia contro l’80 per cento dei cittadini è una circostanza degna di nota, soprattutto per un leader la cui legittimità si fondava sulla pretesa di risolvere la crisi di rappresentatività dei partiti tradizionali. “A forza di condurre una politica di classe”, scrive l’economista francese Julia Cagé, Emmanuel Macron “ha fatto ricominciare la lotta di classe”.

Questo articolo è uscito il 7 dicembre 2018 nel numero 1285 di Internazionale, a pagina 5. Compra questo numero| Abbonati

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