03 ottobre 2019 12:51

A cosa somiglia la “buona informazione”? Risponde Alan Rusbridger, a lungo direttore del Guardian di Londra: “È informazione che non solo è vera ma è anche credibile. E questo è un problema: non siamo più molto disposti a credere a nessuno. Quasi due terzi delle persone dicono di non essere in grado di distinguere il buon giornalismo dalle voci o dalle bugie. Un disastro, è il meno che si possa dire”.

Rusbridger ne parla perché il dibattito che in questi mesi divide i britannici sull’opportunità di un nuovo referendum sulla Brexit deve tener conto del ruolo, e del contributo, dei mezzi d’informazione. Se anche si tornasse a votare, “chi ci dice che gli elettori prenderebbero una decisione ‘migliore’ rispetto alla volta scorsa?”. Il ruolo che dovrebbe avere la stampa è chiaro, secondo Rusbridger: fornire ai cittadini dati di fatto, nudi e crudi, dando conto di tutte le posizioni; non far finta che una questione complessa sia semplice; dire qual è il proprio punto di vista, ma solo dopo aver pubblicato le notizie. Invece negli ultimi anni molti giornali britannici hanno fatto l’opposto: “Hanno fatto finta che l’Europa fosse una questione molto semplice; non si sono preoccupati di presentare entrambi i lati della questione; e sono apparsi entusiasti nel proclamare a gran voce la loro opinione prima ancora di aver presentato i fatti”.

C’è un’altra cosa che i giornalisti possono fare. Ed è uscire dalle redazioni, cercare i lettori e le lettrici, ascoltarli, dialogare. Proprio quello che vorremmo succedesse anche quest’anno a Ferrara, dove nel fine settimana, da venerdì a domenica, arriveranno 250 giornalisti da 38 paesi del mondo per partecipare a 122 tra dibattiti e appuntamenti: altrettante occasioni d’incontro tra chi i giornali li fa e chi li legge.

Questo articolo è uscito sul numero 1327 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati

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