Alberto Cavaglion, Verso la Terra Promessa. Scrittori italiani a Gerusalemme
Carocci, 134 pagine, 16 euro
Questo libro parla del modo in cui gli scrittori italiani hanno raccontato la Palestina, dall’ottocento, quando cessò la dominazione ottomana, fino alla guerra dei sei giorni del 1967. Oltre alla letteratura è in gioco la politica, e questa storia riguarda il complesso rapporto tra italiani e Israele.

La prima scoperta è che per molto tempo a Gerusalemme non c’è andato nessuno. Fino alla prima metà del novecento, infatti, gli italiani hanno descritto una terra promessa sognata, letteraria, che, con poche eccezioni, non si preoccupavano di visitare. Lo stesso, del resto, avevano fatto Petrarca e Tasso e lo stesso hanno fatto a lungo anche gli stessi scrittori ebrei, appassionati di un’Italia che cominciava a non ricambiare il loro amore. Poi le cose sono lentamente cambiate e a Gerusalemme hanno cominciato ad andarci Moravia, Meneghello e Parise, riuscendo talvolta a cogliere alcune contraddizioni della società israeliana destinate a esplodere drammaticamente.

È però verso la metà degli anni sessanta che Israele entra nell’orizzonte degli intellettuali italiani in modo dirompente, divenendo oggetto di una polemica feroce tra Pier Paolo Pasolini e Franco Fortini. Uno scontro che, in ultima analisi, verte sulla necessità di andare a vedere le cose per adattare la propria interpretazione.

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Questa rubrica è stata pubblicata il 11 marzo 2016 a pagina 86 di Internazionale, con il titolo “Gli intellettuali italiani e Israele”. Compra questo numero | Abbonati

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